Corte d'Appello di L'Aquila: rigettate le richieste del MIUR contro il ‘pettine’ ANIEF

La Corte d'Appello di L'Aquila conferma le tesi dell'ANIEF sul diritto all'immissione in ruolo in virtù dell'inserimento a “pettine” nelle graduatorie 2009/2011 e rigetta la richiesta presentata dal MIUR di sospensione dell'efficacia della sentenza di primo grado emanata dal Tribunale di Chieti in favore di una nostra iscritta.

Non pago delle centinaia di sentenze che lo hanno visto soccombente nei tribunali del lavoro di tutta Italia - con relative e spesso sostanziose condanne al pagamento delle spese di lite - il MIUR persevera nella sua ostinazione “azzardandosi” in ricorsi d'appello motivati più che altro dall'assurda volontà di non ammettere le proprie responsabilità e di continuare a protrarre un contenzioso che lo ha visto più volte condannato anche per lite temeraria. Dopo il rigetto delle richieste cautelari ottenute dagli Avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli presso la Corte d'Appello di Palermo di qualche mese fa, questa volta è il legale ANIEF Francesca Marcone a ottenere nuovamente ragione sul MIUR in Abruzzo incassando un'ulteriore vittoria e la piena conferma che le tesi portate avanti dal nostro sindacato sono ben più solide di quanto il Ministero non voglia ammettere.

Anche quando ricorre in appello, dunque, il MIUR continua a soccombere sull'annosa vicenda delle “code della vergogna” istituite nelle Graduatorie a Esaurimento 2009/2011 che l'ANIEF ha da subito denunciato come irrispettose del merito e della libera circolazione dei lavoratori sul territorio nazionale. Le motivazioni che spingono il Ministero dell'Istruzione a perseverare in questa odissea giudiziaria protraendo all'infinito un contenzioso che conta già centinaia di pronunce definitive di condanna dell'operato dell'amministrazione, restano ignote. Ci si rammarica solo per lo spreco di risorse pubbliche e per il danno all'erario causato dalle sicure condanne alle spese di lite che continueranno a ricadere sul MIUR, conseguenza certa delle scellerate azioni giudiziarie intraprese per non voler ammette, pervicacemente, di aver avuto torto.