Confedir

Per le pensioni più ricche in arrivo sospensione del contributo indebito e arretrati. Confedir chiede al Mef che per equità si applichi la decisione della Consulta anche agli altri redditi: va restituita l’aliquota del 2,69% del TFS per il biennio 2011-2012 e del 2,5% di TFR, indebitamente trattenuto per i neo-assunti a partire del 15 maggio 2000. Pacifico: la parità di trattamento e un’adeguata retribuzione dei lavoratori devono prevalere, anche in presenza di interessi rilevanti di bilancio.

Sull’illegittimità del “contributo di perequazione” applicato dal 2011 dallo Stato su stipendi e pensioni superiori ai 90mila euro, Confedir si era espressa 40 giorni fa. Ed ora anche l’Inps si adegua, dando applicazione alla sentenza 116/13 della Corte costituzionale: attraverso il messaggio n. 11243, l’Istituto nazionale di previdenza ha chiesto alle proprie strutture di sospendere, dal mese di agosto, l’applicazione del prelievo (5% tra 90 e 150mila euro annui, 10% fino a 200mila e 15% sopra questo tetto) e di restituire quanto trattenuto nel 2013. Inoltre, presto saranno indicate anche le modalità per i rimborsi degli anni precedenti.

Confedir coglie l’occasione per chiedere al Ministero dell’Economia e delle Finanze di fare altrettanto con tutti i dipendenti pubblici. Restituendo l’aliquota del 2,69% del TFS per il biennio 2011-2012 (quale differenziale tra il 9,60% spettante e il 6,91% attribuito prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, cc. 98-99 della legge n. 228/12) e del 2,5% di TFR, indebitamente trattenuto per i neo-assunti a partire del 15 maggio 2000 (ai sensi dell’art. 1, c. 2 del DPCM 20 dicembre 1999).

Secondo Marcello Pacifico, segretario organizzativo Confedir e presidente Anief, “per ovvi motivi di equità, infatti, la sentenza della Consulta va applicata alle aliquote illegittime applicate a tutti i redditi: si tratta semplicemente di adottare il principio di uguaglianza sostanziale dei cittadini davanti alla legge. Un concetto presente in più articoli della Costituzione. E, come ribadito dalla Consulta, anche in presenza di interessi rilevanti di bilancio non può decadere. È un principio – conclude Pacifico - su cui si regge il nostro ordinamento. Che deve necessariamente condurre ad una parità di trattamento e a un’adeguata retribuzione dei lavoratori”.

La Confederazione è anche cosciente che i presupposti perché ciò venga riconosciuto non vi siano. È emblematico che proprio nelle ultime ore, presso l’Aran, i rappresentanti della PA hanno confermato alle organizzazioni sindacali, a nome del Governo, di voler tirare dritto sulla linea del mantenimento del blocco dei contratti per il 2014 e di non voler riconoscere gli scatti attribuiti nel 2011. Non solo, l’amministrazione sembrerebbe anche intenzionata a “congelare” una parte dei permessi sindacali retribuiti fruiti dalle Rsu dei dirigenti.

Viene da chiedersi se questo irrigidimento ulteriore delle posizioni della parte pubblica derivino anche dai risultati ottenuti dall’azione sindacale della Confederazione. Che in questo modo verrebbe “punita”. In tal caso, è quasi inutile annunciare che Confedir si rivolgerà al Tribunale. Anche per l’annullamento di quest’ultima norma iniqua e antisindacale.

 

Secondo il sindacato l’abbattimento dei costi della politica, su cui tutti siamo d’accordo, non può essere attuato comprimendo i diritti dei cittadini e dei lavoratori. Anche la sentenza della Corte Costituzionale di due giorni fa indica questa direzione.

Incurante della sentenza della Consulta, che solo due giorni fa ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della riforma e del riordino delle Province, previsti nel decreto Salva-Italia con la riduzione degli enti in base a criteri di estensione e di numerosità della popolazione, il Governo inaspettatamente tira dritto e nel corso dell’ultima seduta del Consiglio dei ministri fa quadrato attorno alla cancellazione delle stesse Province varando un disegno di legge costituzionale.

Confedir ritiene da sempre fondamentale eliminare gli sprechi delle spese statali e ridurre i costi inutili della politica. In particolare, la nostra confederazione della Sicilia ha da tempo rivendicato la massima accortezza per favorire il risparmio per l’erario, ma allo stesso tempo ha a cuore la salvaguardia delle posizioni giuridiche ed economiche del personale assunto. Oltre che dei servizi fondamentali che esso offre alla cittadinanza dell’isola. Da mesi la Confedir Sicilia ha messo bene in evidenza l’esigenza di determinare un piano di collocazione alternativo per salvaguardare le sorti di un centinaio di dirigenti e di circa 6mila dipendenti della provincia.

“Non bisogna mescolare – sostiene Marcello Pacifico, neo eletto segretario organizzativo Confedir e presidente Anief – le esigenze necessarie a tagliare di netto gli sprechi della politica con l’erogazione di servizi prioritari per il territorio, come l’assistenza alle scuole secondarie, il necessario supporto agli alunni disabili, la manutenzione delle reti viarie e urbanistiche. Tutte competenze sino ad oggi affidate agli enti provinciali, ma che ora potrebbero venire meno o messe in secondo piano se il Parlamento dovesse dare seguito alla volontà del Governo di tagliare le Province”.

“Questa volontà, tra l’altro, - aggiunge Pacifico – non si sposa con quella della Corte Costituzionale, che appena quarantottore fa ha bocciato l’eventualità. E non certo per i risparmi che ne deriverebbero, quanto per la celerità con cui si arriverebbe, senza esaminarne a fondo le conseguenze, alla soppressione di enti locali che espletano funzioni fondamentali. Come del resto previsto dal nostro dettato costituzionale. Il quale non si può cambiare, di certo, per decreto. Morale: il sindacato è cosciente della necessità di abbattere i costi della politica, ma non può permettere che per ridurli vengano compressi i diritti dei cittadini e dei lavoratori”.

Per tutti questi motivi, la Confedir si rivolge ai parlamentari chiedendo di ascoltare dei tecnici esperti delle svariate problematiche sugli enti locali, affinché possano rappresentargli in modo reale le incompatibilità presenti nel volere del Governo a proposito della decisione di abolire di netto le Province italiane: l’obiettivo è quello di giungere a delle proposte emendative condivise, al fine di rendere un miglioramento al Paese piuttosto che cancellare dei servizi e delle risorse essenziali.

 

Nuova sentenza della Corte costituzionale che ricorda come sia vietato al Governo l’utilizzo delle retribuzioni differite per il riequilibrio di bilancio attraverso l’introduzione di una tassa speciale verso solo alcune categorie di contribuenti. Ricordato il carattere tributario dei sacrifici imposti dalla legge n. 122/10 della cui proroga il Senato discute il parere. Il sindacato chiede la restituzione ai pensionati dei 50 milioni di euro così risparmiati in questi due anni. Avviate altre iniziative per il recupero dei crediti anche su blocco stipendi, perequazione pensioni e indennità vacanza contrattuale.

La Confederazione avvia le procedure per recuperare per stipendi e pensioni superiori ai 90.000 Euro rispettivamente le quote trattenute dall’8/10 al 10/12 (stipendi) e dall’8/11 al 6/13 (pensioni), per sbloccare gli aumenti di stipendio e riconoscere la perequazione del 2,6% per le pensioni superiori a 1.400 Euro per il 2012/13, per certificare il credito del 2,69% del TFS maturato per il biennio 2009/11 e per ottenere la restituzione della trattenuta del 2,5% di TFR prelevata dalla busta paga degli ultimi dieci anni (2003-2013).

Il contributo di perequazione del 5% sulla differenza tra i 90.000 e i 150.000 Euro, del 10% tra i 150.000 e 200.000 Euro e del 15% sopra i 200.000 Euro, prelevato mensilmente a partire dal 1° agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014 come previsto dall’art. 18, c. 22 bis legge n. 111/11 e dall’art. 24, c. 31bis della legge n. 201/12 viola gli art. 3 e 53 della Costituzione. Il Governo aveva introdotto la norma per reperire altri 26 milioni di euro ad anno attraverso una tassazione surrettizia dopo che lo stesso contributo di solidarietà era stato applicato agli stipendi dei dipendenti/dirigenti pubblici attraverso l’art. 9 della legge n. 122/2010. Ma è proprio la declaratoria di incostituzionalità di questa norma già manifestata nella sentenza n. 223 del 7 ottobre 2013 che è stata ribadita dal Giudice delle leggi nell’ultima sentenza n. 116 del 3 giugno 2013, dopo che il Mef nella nota dell’8 novembre scorso aveva interrotto la trattenuta sugli stipendi.

Per Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir al contenzioso, “ancora una volta è stato ribadito dalla Consulta il principio di uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini davanti alla legge anche in presenza di interessi rilevanti di bilancio, principio su cui si regge il nostro ordinamento e che il Parlamento non può ignorare mentre si appresta a dare il parere sul Regolamento governativo che intende prorogare il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici anche per il 2014 e non riconoscere gli scatti attribuiti nel 2011”.

Sta ora al Governo - come ha anche chiarito il sen. Zanettin, relatore del provvedimento (atto n. 9/13) in I Commissione Affari Costituzionale del Senato - valutare bene gli effetti della proroga di una norma che potrebbe essere travolta dalla Consulta - il prossimo 5 novembre - quando saranno discusse una decina di ordinanze rimesse da sei tribunali amministrativi regionali e da un tribunale del lavoro sul blocco degli stipendi per il personale della scuola, dell’università, delle ambasciate, dell’agenzia delle telecomunicazioni.
Nel frattempo, la Confedir avvia le procedure anche legali per il recupero delle somme spettanti ai dipendenti/dirigenti pubblici in servizio e in quiescenza.

La Confedir mette a disposizione i modelli per recuperare il contributo di solidarietà versato da chi ha percepito una retribuzione o una pensione superiore ai 90.000 Euro. Per info, scrivi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

La Confederazione avvia anche le procedure per ottenere la perequazione automatica del 2,6% prevista dal D. I. del 18 gennaio 2012, anche per gli importi di pensione superiori a tre volte il valore minimo (1.443 Euro al mese), bloccata dall’art. 24, c. 25 della legge 214/11. In tal caso, scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Per aderire, infine, alle iniziative legali per il recupero degli aumenti di stipendio e dell’indicizzazione della vacanza contrattuale, bloccati per il triennio 2011-2013, e dell’eventuale proroga relativa al 2014 dell’aliquota del 2,69% del TFS per il biennio 2011-2012 (quale differenziale tra il 9,60% spettante e il 6,91% attribuito prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, cc. 98-99 della legge n. 228/12), e del 2,5% di TFR indebitamente trattenuto negli ultimi dieci anni per i neo-assunti dopo il 15 maggio 2000 (ai sensi dell’art. 1, c. 2 del DPCM 20 dicembre 1999), bisogna scrivere rispettivamente a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Per approfondimenti, leggi i precedenti Comunicati Anief-Confedir sul blocco degli scatti:

index.php?option=com_content&view=article&id=5961:blocco-dei-contratti-i-dubbi-mossi-dal-sindacato-fanno-rinviare-la-decisione-del-senato

index.php?option=com_content&view=article&id=5805:blocco-dei-contratti-per-sei-tar-e-un-giudice-del-lavoro-viola-nove-articoli-della-costituzione


Stralcio della sentenza n. 116/13

Considerato in diritto […]
6.– La questione sollevata in riferimento agli articoli 3 e 53 Cost. è fondata.
7.– La norma censurata si inserisce nell’ambito del d.l. n. 98 del 2011, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, emanato nel quadro di una più articolata manovra di stabilizzazione che ha avuto inizio con il d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, sviluppatasi in seguito attraverso altri interventi, contenuti nel d.l. n. 138 del 2011. In tali manovre sono state contemplate, per quanto attiene specificamente alle situazioni evocate dalle ordinanze in esame, misure dirette a perseguire un generale “raffreddamento” delle dinamiche retributive del pubblico impiego, oltre a interventi temporanei di riduzione delle retribuzioni e ad interventi “di solidarietà”, variamente articolati, quanto a diverse categorie di cittadini, posti a carico sia del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, sia della generalità di cittadini.
Per quanto qui interessa, con riferimento alla norma censurata, questa Corte ha ricostruito la portata dell’attuale formulazione e dell’attuale vigenza della disposizione. La legge 14 settembre 2011, n. 148, nel non convertire in legge l’originaria formulazione del comma 1 dell’art. 2 del d.l. n. 138 del 2011 (che aveva abrogato il comma 22-bis dell’art. 18 del d.l. n. 98 del 2011), ha sostituito, come già osservato nella sentenza n. 241 del 2012, il comma non convertito con una disposizione che si è limitata a riaffermare la perdurante efficacia del comma 22-bis dell’art. 18 del d.l. n. 98 del 2011 («le disposizioni di cui agli articoli […] 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, continuano ad applicarsi nei termini ivi previsti rispettivamente dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 e dal 1° agosto 2011 al 31 dicembre 2014»). Conseguentemente, con la mancata conversione, la stessa abrogazione è venuta meno, con effetto retroattivo, ai sensi dell’art. 77, terzo comma, Cost., cosí da determinare la reviviscenza del comma 22-bis abrogato dal decreto non convertito.
7.1.– Va altresì osservato che, alla luce del chiaro tenore letterale, la disposizione trova applicazione, in relazione alle erogazioni di trattamenti pensionistici obbligatoria, sia in favore del personale del pubblico impiego, sia in relazione a tutti gli altri trattamenti corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatori, ivi incluse le forme pensionistiche che garantiscono prestazioni in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio (comprese quelle di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 563, recante «Attuazione della delega conferita dall’articolo 2, comma 23, lettera b), della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di trattamenti pensionistici, erogati dalle forme pensionistiche diverse da quelle dell’assicurazione generale obbligatoria, del personale degli enti che svolgono le loro attività nelle materie di cui all’art. 1 del D.Lgs.C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691», al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, recante «Disposizioni sulla previdenza degli enti pubblici creditizi», al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante «Disciplina delle forme pensionistiche complementari»), nonché i trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), e successive modificazioni.
7.2.– Questa Corte ha già espressamente qualificato l’intervento di perequazione in questione come avente natura tributaria, non solo allorché si è occupata, dichiarandone l’illegittimità costituzionale, dell’analogo intervento di cui all’art. 9, comma 2 del decreto-legge n. 78 del 2010 (sentenza n. 223 del 2012), ma anche e soprattutto allorchè ha esaminato la stessa norma oggi impugnata, con la citata sentenza n. 241 del 2012. In tale pronuncia è stato affermato che «il contributo oggetto di censura è previsto a carico dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto costituisce un prelievo analogo a quello effettuato sul trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici (sopra descritto al punto 7.3.) previsto dallo stesso comma 1 nella parte dichiarata illegittima da questa Corte con la suddetta sentenza n. 223 del 2012 e la cui natura tributaria è stata espressamente riconosciuta dalla medesima sentenza. La norma impugnata, infatti, integra una decurtazione patrimoniale definitiva del trattamento pensionistico, con acquisizione al bilancio statale del relativo ammontare, che presenta tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte per caratterizzare il prelievo come tributario (ex plurimis, sentenze n. 223 del 2012; n. 141 del 2009; n. 335, n. 102 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006; n. 73 del 2005)».
Nella specie, la Corte ribadisce la natura tributaria della norma impugnata, e pertanto la correttezza della premessa interpretativa che ha condotto i rimettenti ad impugnare la norma per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.
7.3.– Le principali censure dei rimettenti individuano nella misura in questione un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. L’intervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi, divenuta peraltro ancora più evidente, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’analogo prelievo di cui al comma 2 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010 (sentenza n. 223 del 2012).
Così correttamente individuato il rapporto di comparazione fra soggetti titolari di trattamenti pensionistici erogati da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e tutti gli altri titolari di redditi, anche e non solo da lavoro dipendente, come reso palese nelle ordinanze nn. 54 e 55 del 2013, la questione, come con la pronuncia n. 223 del 2012, va scrutinata in riferimento al contrasto con il principio della “universalità della imposizione” ed alla irragionevolezza della sua deroga, avendo riguardo, quindi, non tanto alla disparità di trattamento fra dipendenti o fra dipendenti e pensionati o fra pensionati e lavoratori autonomi od imprenditori, quanto piuttosto a quella fra cittadini.
Va infatti, al riguardo, precisato che i redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell’osservanza dell’art. 53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti.
A fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici: il contributo di solidarietà si applica su soglie inferiori e con aliquote superiori, mentre per tutti gli altri cittadini la misura è ai redditi oltre 300.000 euro lordi annui, con un’aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la deducibilità dal reddito.
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; ma esige invece un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 341 del 2000). Il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all’art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., non può, quindi, che essere ricondotto ad un «giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione» (sentenza n. 111 del 1997).
In relazione agli interventi di stabilizzazione della finanza pubblica, nel cui contesto si colloca la disposizione in esame, questa Corte ha evidenziato la sostanziale coincidenza dei prelievi tributari posti in comparazione, ritenendo irragionevole il diverso trattamento fra dipendenti pubblici e contribuenti in generale (sentenza n. 223 del 2012).
Anche in questo caso, è necessario analogamente rilevare l’identità di ratio della norma oggi censurata rispetto sia all’analoga disposizione già dichiarata illegittima, sia al contributo di solidarietà (l’art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) del 3 per cento sui redditi annui superiori a 300.000 euro, quest’ultimo assunto anche quale tertium comparationis.
Al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha imposto ai soli titolari di trattamenti pensionistici, per la medesima finalità, l’ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura, attraverso una ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi.
Va pertanto ribadito, anche questa volta, quanto già affermato nella citata sentenza n. 223 del 2012, e cioè che tale sostanziale identità di ratio dei differenti interventi “di solidarietà”, determina un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarietà del diverso trattamento riservato alla categoria colpita, «foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un “universale” intervento impositivo». Se da un lato l’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è suscettibile di consentire il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano, dall’altro ciò non può e non deve determinare ancora una volta un’obliterazione dei fondamentali canoni di uguaglianza, sui quali si fonda l’ordinamento costituzionale.
Nel caso di specie, peraltro, il giudizio di irragionevolezza dell’intervento settoriale appare ancor più palese, laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del 2006); sicché il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro.
Va, quindi, pronunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 22-bis, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, come modificato dall’art. 24, comma 31-bis, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.

 

Così il Responsabile Confederale CONFEDIR per lo Stato, dr.ssa Barbara Casagrande, oggi in audizione alla I Commissione, Affari Costituzionali, al Senato.

Non è chiaro il risparmio di spesa che si produrrebbe, mentre è evidente una mancata armonizzazione con altre norme esistenti, che già razionalizzano e ottimizzano i servizi logistici sul territorio, come, ad esempio, la Legge 247/2007 e il DI del 28 marzo 2008, sui i poli integrati del Welfare.

Inoltre, alcune previsioni recate sono mera duplicazione dell'esistente: si fa riferimento alle funzioni già in capo alle prefetture di cui al DPR 180/2006 di intervenire per evitare disfunzioni o anomalie nell'attività amministrativa di un ufficio periferico dello Stato.

È necessario riflettere meglio, e chiarire anche gli aspetti - giuridici ed economici - relativi al personale".

L’Atto del Governo n. 7 sulla riorganizzazione della presenza dello Stato sul territorio

La Memoria di audizione Confedir

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