Precariato

L'articolo 54 della Legge di Stabilità n. 228/12 è in palese contraddizione con la direttiva europea sulla materia n. 88/2003. Oltre che con diverse norme della giurisprudenza nazionale, con l’articolo 36 della Costituzione e con molte sentenze già emesse nelle aule dei tribunali del lavoro. Gli stessi cui ci si potrà rivolgere, qualora i dipendenti a tempo determinato non dovessero nei prossimi mesi vedersi corrisposte tutte le loro ferie non godute: basta soprusi.

In vista del termine dell’anno scolastico, Anief ricorda a tutti i dipendenti, docenti e Ata, che hanno sottoscritto un contratto fino alla conclusione delle attività didattiche o al 30 giugno 2014 che l’amministrazione deve loro pagare tutte le ferie non fruite: una specifica direttiva europea sulla materia del 2003, la n. 88, indica infatti che nel conteggio dei giorni da monetizzare vanno conteggiati anche i giorni di sospensione delle attività didattiche. Quindi pure le vacanze di Natale e di Pasqua, come gli stop delle lezioni decisi dalle regioni o degli stessi istituti sulla base di esigenze locali.

Anche i giorni di fermo scuola per permettere lo svolgimento lo svolgimento dei pubblici concorsi o delle elezioni, come accadrà quest’anno nelle scuole seggio dal pomeriggio di venerdì 23 a martedì 27 maggio compreso per via del rinnovo del Parlamento europeo, vanno considerati ai fini della maturazione delle ferie dei dipendenti.

Pertanto l'articolo 54 della Legge di Stabilità n. 228 del 12 che introduce il divieto di monetizzazione delle ferie non è applicabile. Oltre che con l’UE, è in palese contraddizione con i pareri espressi sullo stesso tema dalla Cassazione. La norma, inoltre, è in evidente contrasto con un articolo della Costituzione, il n. 36, e con diverse parti della giurisprudenza nazionale. Ad iniziare dall’articolo 2109 del Codice Civile, il quale dispone che il diritto alle ferie si concretizza attraverso una fruizione il più possibile continuativa, al fine di soddisfare la finalità specifica “del recupero energetico e della salutare distensione e ricreazione psicologica”. Il concetto è stato ribadito più volte, su casi simili, pure dal giudice: il quale ha stabilito, ad esempio, che non si può ridurre il monte ore delle ferie dei lavoratori della scuola sottraendo dal computo il numero di giorni che il dipendente ha passato nello stato di malattia.

“Negare il pagamento delle ferie dei precari, anche di una minima parte – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – significa ancora una volta calpestare le indicazioni di una precisa direttiva comunitaria. Ma stavolta c’è di più, perché non si tiene conto nemmeno della giurisprudenza nazionale, che in più parti esplicita il diritto a quantificare i giorni di ferie da assegnare di ogni lavoratore sull’intero periodo lavorativo svolto. Quindi anche i giorni di sospensione delle lezioni vanno conteggiati, perché il dipendente rimane in servizio”.

“Il nostro sindacato – continua Pacifico – ha più volte spiegato che per uscire da questo empasse, derivante dall’emanazione di una spending review in alcune sue parti a dir poco miope e forzata, non rimane altro che adottare una modifica legislativa, da adottare in Parlamento: non ravvisando al momento questa volontà, ai precari vessati non rimane che rivolgersi al giudice del lavoro. Come hanno già fatto con noi centinaia di ricorrenti precari stufi di subire soprusi”.

Anief invita tutta i precari cui l’amministrazione nega il pagamento per intero delle ferie non fruite ad impugnare la posizione dell’amministrazione attraverso seguendo queste indicazioni.

Per approfondimenti:

Ferie sottratte d’ufficio ai precari, la farsa continua

 

L'articolo 54 della Legge di Stabilità n. 228/12 è in palese contraddizione con la direttiva europea sulla materia n. 88/2003. Oltre che con diverse norme della giurisprudenza nazionale, con l’articolo 36 della Costituzione e con molte sentenze già emesse nelle aule dei tribunali del lavoro. Gli stessi cui ci si potrà rivolgere, qualora i dipendenti a tempo determinato non dovessero nei prossimi mesi vedersi corrisposte tutte le loro ferie non godute: basta soprusi.

In vista del termine dell’anno scolastico, Anief ricorda a tutti i dipendenti, docenti e Ata, che hanno sottoscritto un contratto fino alla conclusione delle attività didattiche o al 30 giugno 2014 che l’amministrazione deve loro pagare tutte le ferie non fruite: una specifica direttiva europea sulla materia del 2003, la n. 88, indica infatti che nel conteggio dei giorni da monetizzare vanno conteggiati anche i giorni di sospensione delle attività didattiche. Quindi pure le vacanze di Natale e di Pasqua, come gli stop delle lezioni decisi dalle regioni o degli stessi istituti sulla base di esigenze locali.

Anche i giorni di fermo scuola per permettere lo svolgimento lo svolgimento dei pubblici concorsi o delle elezioni, come accadrà quest’anno nelle scuole seggio dal pomeriggio di venerdì 23 a martedì 27 maggio compreso per via del rinnovo del Parlamento europeo, vanno considerati ai fini della maturazione delle ferie dei dipendenti.

Pertanto l'articolo 54 della Legge di Stabilità n. 228 del 12 che introduce il divieto di monetizzazione delle ferie non è applicabile. Oltre che con l’UE, è in palese contraddizione con i pareri espressi sullo stesso tema dalla Cassazione. La norma, inoltre, è in evidente contrasto con un articolo della Costituzione, il n. 36, e con diverse parti della giurisprudenza nazionale. Ad iniziare dall’articolo 2109 del Codice Civile, il quale dispone che il diritto alle ferie si concretizza attraverso una fruizione il più possibile continuativa, al fine di soddisfare la finalità specifica “del recupero energetico e della salutare distensione e ricreazione psicologica”. Il concetto è stato ribadito più volte, su casi simili, pure dal giudice: il quale ha stabilito, ad esempio, che non si può ridurre il monte ore delle ferie dei lavoratori della scuola sottraendo dal computo il numero di giorni che il dipendente ha passato nello stato di malattia.

“Negare il pagamento delle ferie dei precari, anche di una minima parte – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – significa ancora una volta calpestare le indicazioni di una precisa direttiva comunitaria. Ma stavolta c’è di più, perché non si tiene conto nemmeno della giurisprudenza nazionale, che in più parti esplicita il diritto a quantificare i giorni di ferie da assegnare di ogni lavoratore sull’intero periodo lavorativo svolto. Quindi anche i giorni di sospensione delle lezioni vanno conteggiati, perché il dipendente rimane in servizio”.

“Il nostro sindacato – continua Pacifico – ha più volte spiegato che per uscire da questo empasse, derivante dall’emanazione di una spending review in alcune sue parti a dir poco miope e forzata, non rimane altro che adottare una modifica legislativa, da adottare in Parlamento: non ravvisando al momento questa volontà, ai precari vessati non rimane che rivolgersi al giudice del lavoro. Come hanno già fatto con noi centinaia di ricorrenti precari stufi di subire soprusi”.

Anief invita tutta i precari cui l’amministrazione nega il pagamento per intero delle ferie non fruite ad impugnare la posizione dell’amministrazione attraverso seguendo queste indicazioni.

Per approfondimenti:

Ferie sottratte d’ufficio ai precari, la farsa continua

 

Sentenza storica del Tribunale amministrativo regionale laziale che dà ragione alla linea del sindacato: grazie all’accettazione del periodo di precariato tra i titoli d’accesso al concorso per dirigente scolastico, le due docenti precarie raggiungono la soglia dei cinque anni di servizio richiesti. Così, dopo aver vinto il ricorso si ritrovano a dirigere la scuola perché nel frattempo hanno vinto il concorso. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): i giudici italiani non hanno fatto altro che prendere atto delle pronunce della Corte di Giustizia europea e così disapplicare la normativa nazionale. È la conferma che la precarietà lavorativa rimane un paradosso tutto italiano.

Con la sentenza 5011/2014, il Tar del Lazio ha ritenuto che per partecipare al concorso per presidi può essere ritenuto valido anche il periodo di precariato perché equivalente a quello svolto dai colleghi di ruolo: due insegnanti oggi ancora precarie, che nel 2011 avevano presentato ricorso e superato tutte le prove preselettive e d’esame, si sono così viste sciogliere la riserva d’accesso al concorso dovuta al difetto, rivelatosi erroneo, della soglia minima dei cinque anni di servizio di ruolo. E siccome le due prof hanno anche vinto il concorso, ora diventeranno a tutti gli effetti dirigenti scolastici.

In pratica, per il Tar il servizio prestato da precario o post-ruolo va considerato allo stesso modo: esattamente come avviene con i titoli accademici di accesso. Come del resto indicato dall’Unione Europea, non esiste alcuna ragione giustificata per discriminare i precari della scuola. L’Anief ha sempre creduto a questa linea, tanto da attivare il ricorso su cui nelle ultime ore il tribunale si è espresso positivamente.

“Dopo anni di supplenze – spiega con soddisfazione Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – le due meritevoli insegnanti si ritrovano oggi dall'altra parte della scrivania. Ciò è avvenuto grazie ad una sentenza che prende atto di altre pronunce della Corte di Giustizia europea e disapplica la normativa nazionale consentendo alle candidate, all'inizio escluse, che hanno superato tutta la procedura concorsuale, di cambiare mestiere. Confermando che la precarietà lavorativa rimane un paradosso tutto italiano”.

La decisione del Tar del Lazio rappresenta una pagina storica per la giurisprudenza italiana: si deve anche alla caparbietà dell’Anief e dei suoi legali, gli avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli, che nell'invocare il principio di non discriminazione formatosi intorno all'applicazione della direttiva 1999/70/CE hanno permesso a diversi precari con più di 5 anni di servizio di presentarsi all'ultimo concorso per diventare dirigente scolastico. Ora, due di essi sono riusciti a superare tutte le prove e dopo quasi tre anni di battaglia legale finalmente è stata emessa la sentenza che rende loro giustizia.

“È arrivato il momento – continua Pacifico - di prendere atto della giurisprudenza comunitaria e dell'esistenza di un'Europa dei diritti che i più conoscono, ma per la cui applicazione bisogna ancora lottare al fine di riuscire a far rispettare la dignità dell'uomo e del suo lavoro. È il caso di ricordare che prima di tutto stiamo parlando non di due precari che diventano presidi, ma di due professionisti che dopo tanti anni di supplenza – conclude il rappresentante Anief-Confedir – hanno maturato conoscenze e competenze tali da essere in grado di dirigere una scuola”.

COSÌ LE DUE SUPPLENTI SONO DIVENTATE PRESIDI
Nell’estate del 2011 viene bandito il concorso per diventare dirigente scolastico attraverso il D.D.G. del 13 luglio 2011: sono 2.386 i posti messi a disposizione. Due i requisiti d’accesso: il possesso del diploma di laurea ed essere insegnante di ruolo da almeno cinque anni.
Subito l’Anief si accorge che questo secondo requisito, i cinque anni di servizio riservati al personale di ruolo, discrimina il servizio prestato a tempo determinato perché viola la direttiva 1999/70/CE e pertanto consiglia a tutti i docenti precari o neo-immessi in ruolo con cinque anni di servizio prestato nel pre-ruolo di presentare, comunque, la domanda di ammissione al concorso.
Il Miur, sebbene diffidato, non consente la trasmissione della domanda attraverso il sistema Istanze on line, così i ricorrenti sono costretti ad inviare la domanda cartacea sostitutiva predisposta dall’Anief.
Nelle settimane successive, prima dell’inizio della selezione pubblica, i ricorrenti, assistiti dagli avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli, ottengono un’ordinanza cautelare confermata dal Consiglio di Stato che gli permette di accedere con riserva alle prove preselettive, agli scritti e agli orali.
In media, uno su quindici riesce a superare il concorso, ma con riserva della sentenza di merito che dopo l’udienza del 10 gennaio 2013 è pubblicata il 4 settembre 2013. Il ricorso è accolto perché “neppure basta a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato il fatto che tale differenza è stata prevista da una norma nazionale generale e astratta quale una legge o un contratto collettivo”.
D’altronde, la giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia, con la sentenza nel procedimento C-177/10, pubblicata in data 08/09/2011, “ha inequivocabilmente sancito il principio secondo il quale, nei concorsi pubblici, il servizio pre-ruolo deve essere valutato come quello di ruolo”.
Anche un’ulteriore sentenza della Corte di Giustizia (Sesta Sezione del 18/10/2012 intervenuta nei procedimenti C-302/11 e C-304/11) ha ribadito gli stessi orientamenti con ulteriori specificazioni.
Ora, con la sentenza 5011/2014, il Tar conferma che l’Italia non ha altra scelta che adeguarsi alle direttive UE: nel nostro ordinamento viene così accolto il principio comunitario di non discriminazione anche sui concorsi pubblici, finora richiamato nelle cause di lavoro sulla successione dei contratti a termine.

 

Sentenza storica del Tribunale amministrativo regionale laziale che dà ragione alla linea del sindacato: grazie all’accettazione del periodo di precariato tra i titoli d’accesso al concorso per dirigente scolastico, le due docenti precarie raggiungono la soglia dei cinque anni di servizio richiesti. Così, dopo aver vinto il ricorso si ritrovano a dirigere la scuola perché nel frattempo hanno vinto il concorso. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): i giudici italiani non hanno fatto altro che prendere atto delle pronunce della Corte di Giustizia europea e così disapplicare la normativa nazionale. È la conferma che la precarietà lavorativa rimane un paradosso tutto italiano.

Con la sentenza 5011/2014, il Tar del Lazio ha ritenuto che per partecipare al concorso per presidi può essere ritenuto valido anche il periodo di precariato perché equivalente a quello svolto dai colleghi di ruolo: due insegnanti oggi ancora precarie, che nel 2011 avevano presentato ricorso e superato tutte le prove preselettive e d’esame, si sono così viste sciogliere la riserva d’accesso al concorso dovuta al difetto, rivelatosi erroneo, della soglia minima dei cinque anni di servizio di ruolo. E siccome le due prof hanno anche vinto il concorso, ora diventeranno a tutti gli effetti dirigenti scolastici.

In pratica, per il Tar il servizio prestato da precario o post-ruolo va considerato allo stesso modo: esattamente come avviene con i titoli accademici di accesso. Come del resto indicato dall’Unione Europea, non esiste alcuna ragione giustificata per discriminare i precari della scuola. L’Anief ha sempre creduto a questa linea, tanto da attivare il ricorso su cui nelle ultime ore il tribunale si è espresso positivamente.

“Dopo anni di supplenze – spiega con soddisfazione Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – le due meritevoli insegnanti si ritrovano oggi dall'altra parte della scrivania. Ciò è avvenuto grazie ad una sentenza che prende atto di altre pronunce della Corte di Giustizia europea e disapplica la normativa nazionale consentendo alle candidate, all'inizio escluse, che hanno superato tutta la procedura concorsuale, di cambiare mestiere. Confermando che la precarietà lavorativa rimane un paradosso tutto italiano”.

La decisione del Tar del Lazio rappresenta una pagina storica per la giurisprudenza italiana: si deve anche alla caparbietà dell’Anief e dei suoi legali, gli avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli, che nell'invocare il principio di non discriminazione formatosi intorno all'applicazione della direttiva 1999/70/CE hanno permesso a diversi precari con più di 5 anni di servizio di presentarsi all'ultimo concorso per diventare dirigente scolastico. Ora, due di essi sono riusciti a superare tutte le prove e dopo quasi tre anni di battaglia legale finalmente è stata emessa la sentenza che rende loro giustizia.

“È arrivato il momento – continua Pacifico - di prendere atto della giurisprudenza comunitaria e dell'esistenza di un'Europa dei diritti che i più conoscono, ma per la cui applicazione bisogna ancora lottare al fine di riuscire a far rispettare la dignità dell'uomo e del suo lavoro. È il caso di ricordare che prima di tutto stiamo parlando non di due precari che diventano presidi, ma di due professionisti che dopo tanti anni di supplenza – conclude il rappresentante Anief-Confedir – hanno maturato conoscenze e competenze tali da essere in grado di dirigere una scuola”.

COSÌ LE DUE SUPPLENTI SONO DIVENTATE PRESIDI
Nell’estate del 2011 viene bandito il concorso per diventare dirigente scolastico attraverso il D.D.G. del 13 luglio 2011: sono 2.386 i posti messi a disposizione. Due i requisiti d’accesso: il possesso del diploma di laurea ed essere insegnante di ruolo da almeno cinque anni.
Subito l’Anief si accorge che questo secondo requisito, i cinque anni di servizio riservati al personale di ruolo, discrimina il servizio prestato a tempo determinato perché viola la direttiva 1999/70/CE e pertanto consiglia a tutti i docenti precari o neo-immessi in ruolo con cinque anni di servizio prestato nel pre-ruolo di presentare, comunque, la domanda di ammissione al concorso.
Il Miur, sebbene diffidato, non consente la trasmissione della domanda attraverso il sistema Istanze on line, così i ricorrenti sono costretti ad inviare la domanda cartacea sostitutiva predisposta dall’Anief.
Nelle settimane successive, prima dell’inizio della selezione pubblica, i ricorrenti, assistiti dagli avvocati Fabio Ganci e Walter Miceli, ottengono un’ordinanza cautelare confermata dal Consiglio di Stato che gli permette di accedere con riserva alle prove preselettive, agli scritti e agli orali.
In media, uno su quindici riesce a superare il concorso, ma con riserva della sentenza di merito che dopo l’udienza del 10 gennaio 2013 è pubblicata il 4 settembre 2013. Il ricorso è accolto perché “neppure basta a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato il fatto che tale differenza è stata prevista da una norma nazionale generale e astratta quale una legge o un contratto collettivo”.
D’altronde, la giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia, con la sentenza nel procedimento C-177/10, pubblicata in data 08/09/2011, “ha inequivocabilmente sancito il principio secondo il quale, nei concorsi pubblici, il servizio pre-ruolo deve essere valutato come quello di ruolo”.
Anche un’ulteriore sentenza della Corte di Giustizia (Sesta Sezione del 18/10/2012 intervenuta nei procedimenti C-302/11 e C-304/11) ha ribadito gli stessi orientamenti con ulteriori specificazioni.
Ora, con la sentenza 5011/2014, il Tar conferma che l’Italia non ha altra scelta che adeguarsi alle direttive UE: nel nostro ordinamento viene così accolto il principio comunitario di non discriminazione anche sui concorsi pubblici, finora richiamato nelle cause di lavoro sulla successione dei contratti a termine.

 

Anief ha messo a confronto il piano di immissioni in ruolo al ribasso, preparato dal Ministero dell’Istruzione, con i dati reali sulle disponibilità, utilizzando anche i rapporti annuali della Ragioneria Generale dello Stato e dell’Inps: invece di stabilizzare quasi la metà dei 300mila docenti in lista di attesa, si continua ad abusare dei contratti a termine e a far spendere allo Stato 800 milioni di euro l’anno per il personale a tempo determinato. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): di questo passo rischiamo di ritrovarci con sempre più insegnanti demotivati, giunti al ruolo sfiniti e con i capelli grigi.

Abusando della sua posizione, quasi fosse un datore di lavoro, il Ministero dell’Istruzione continua a far funzionare le scuole italiane sulla pelle dei precari. Anziché allinearsi all’Europa, dove dopo 36 mesi di servizio precario anche non continuativo si viene assunti, nelle ultime ore l’amministrazione ha fatto sapere che nel prossimo triennio intende assumere solo la metà dei posti effettivamente liberi: appena 63mila immissioni in ruolo nel periodo 2014/2017, a fronte però di 125mila posti vacanti e disponibili.

Partendo dal presupposto che delle 120 mila cattedre al 30 giugno assegnate quest’anno, il 75% è senza titolare e che rispetto ai 230 mila alunni con handicap lo Stato italiano ha bisogno di 115 mila insegnanti di sostegno, rispetto ai 90.000 previsti nel 2016 dall’ultima Legge 128/2013 per garantire il rapporto uno a due, e preso atto del pensionamento a settembre di 11 mila docenti e 3.600 Ata, oltre che dei contratti di 12 mila docenti e 19 mila ATA al 31 agosto, l’Anief torna a chiedere al Governo e al Ministro Giannini di lavorare su numeri veri. Attuando per il prossimo anno scolastico un piano di immissioni in ruolo pari a 125 mila unità. Perché i posti ci sono e anche gli aspiranti docenti disponibili, già tutti abilitati. Come 25 unità di personale Ata, tutte idonee e pronte a subentrare.

“Con il piano di assunzioni annunciato – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – lo Stato italiano conferma la linea ‘sparagnina’ degli ultimi anni, quando ha assunto molto meno di quanto avrebbe dovuto, facendo negli anni innalzare il precariato di oltre il 20% e le spese per sostenerlo del 68%”.

“È bene – continua Pacifico – che i numeri al ribasso, praticamente dimezzati, fatti circolare dal Miur vengano rivisti. In caso contrario, c’è il rischio concreto che entro l’anno siano gli eventi giudiziari a prevalere. Obbligando lo Stato italiano a risarcire danni anche superiori ai 4 miliardi di euro. Si tratterebbe di danni economici che si andrebbero a sommare a quelli già in essere, con diverse centinaia di milioni di euro di danno all’erario, derivanti dall’abuso immotivato di precariato. È giunto il momento di un’inversione di tendenza: occorre quindi cancellare quelle deroghe esplicite, come la legge 106/2011, alle norme europee, ad iniziare dalla direttiva 1999/70/CE”.

A tal proposito, un recente studio Anief – realizzato anche su rapporti annuali della Ragioneria Generale dello Stato e dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – ha rilevato che tra il 2001 e il 2013, a dispetto della direttiva comunitaria, i contratti annuali o fino al termine dell’anno scolastico conferiti ai docenti italiani sono incrementati di oltre il 20%, passando da 96.915 a 120.339. Complessivamente - considerando anche il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario - per il funzionamento ordinario degli istituti scolastici le supplenze sono aumentate da 105.000 a 140.000 unità. E nel contempo le spese per il personale a tempo determinato sono aumentate di 348 milioni di euro dal 2007 (+68%, portando il totale a circa 800 milioni di euro l’anno). Mentre nella Sanità – dove si è proceduto alla stabilizzazione di 24.000 unità – si è prodotto un risparmio di 80 milioni di euro.

Ma quello di eludere le assunzioni su tutti i posti vacanti è ormai un male cronico italiano. Sempre Anief ha calcolato che dal 2001 ad oggi lo Stato italiano ha assunto nelle scuole pubbliche 258.206 insegnanti, mentre nello stesso periodo gli insegnanti che sono andati in pensione sono stati 295.200 unità. Ne consegue che le immissioni in ruolo non hanno coperto neanche il turn over. Le assunzioni a tempo indeterminato non sono bastate a coprire tutti quei posti liberi, ben 311.364, che a partire dal 2001 sono stati dichiarati dal Miur ufficialmente vacanti.

Eppure, il Ministero avrebbe tutto l’interesse a favorire l’assunzione di personale giovane e motivato: solo nelle graduatorie ci sono quasi 200mila precari. Cui si aggiungono 20mila abilitati tra Tfa ordinario e vincitori di concorso rimasti a spasso, 25mila abilitati magistrale e 70mila prossimi con i Pas: “se non si agisce subito – concude Pacifico – assumendo il prima possibile questo personale già selezionato e formato, ci ritroveremo con tanti insegnanti demotivati, giunti al ruolo sfiniti e con i capelli grigi. Arrivati all’agognata immissione in ruolo dopo anni e anni di servizio, sempre più spesso in classi-pollaio di 30 e più alunni”.

Non è un caso se nell’ultima tornata di immissioni in ruolo, degli 11.542 nuovi docenti assunti un’altissima percentuale aveva oltre 50 anni di età. E non sono mancati i casi di assunzioni di docenti over 60enni. Innalzando, in tal modo, la già alta media dei docenti di ruolo, con due insegnanti su tre ultra 50enni.

PROFILO PROFESSIONALE
NUMERO POSTI LIBERI E ASSUNZIONI
DA REALIZZARE NEL PROSSIMO TRIENNIO
Docenti delle discipline curricolari
18.000
Docenti di sostegno
37.000
Personale Ata
25.000
Pensionamenti previsti
45.000
                          

Totale 125.000

Elaborazione dati a cura dell’ufficio studi Anief

 

Per approfondimenti:

Anief chiede al Governo un piano straordinario di 125.000 immissioni in ruolo nel 2014

Dal 2001 assunti 258 mila insegnanti ma dovevano essere molti di più: in pensione in 295 mila e 311 mila posti liberi

In tre anni porte aperte a oltre 63mila nuovi docenti (Il Sole 24 Ore)