Precariato

Appello Anief-Confedir al Ministro Carrozza e al Governo: urge un emendamento al decreto Milleproroghe n. 151, che apra le graduatorie a giovani già abilitati e selezionati con Tfa, agli idonei al concorso a cattedra e ai laureati in scienze della formazione primaria. Marcello Pacifico: sarebbe un provvedimento a costo zero, anzi farebbe addirittura risparmiare allo Stato riducendo la spesa maggiorata che deve affrontare per gli stipendi dei precari.

L’Italia è il Paese con meno giovani docenti di tutta l’area Ocse: solamente lo 0,1% dei nostri insegnanti di ruolo ha meno di 30 anni. Mentre il 60% ha più di 50 anni, contro una media Ocse del 36%. Se si vuole invertire questo triste doppio primato occorrono interventi urgenti e mirati. Ad iniziare dall’inserimento nelle Graduatorie ad esaurimento dei circa 11mila nuovi abilitati con il Tfa ordinario, dei 7mila laureati risultati idonei all’ultimo concorso a cattedra ancora non immessi in ruolo e delle tante migliaia di ragazzi e ragazze che ogni anno si laureano in scienze della formazione primaria. Sono tutti aspiranti docenti, in larga parte giovani e già selezionati dallo Stato, ma ai quali oggi non si dà alcuna possibilità di potere essere stabilizzati. La loro graduale assunzione a tempo indeterminato, invece, svecchierebbe il corpo docente italiano portando nuova linfa a un sistema diventato sempre più autoreferenziale.

A chiederlo al Ministro Carrozza è l’Anief, dopo che lo stesso Ministro ha detto, nel corso dell’intervista rilasciata sabato sera a Fabio Fazio su Rai3, che “si tratta di un tema da affrontare, come si è iniziato con la stabilizzazione degli insegnanti di sostegno”. Il sindacato indica con prontezza al rappresentante del Governo quale sarebbe la modalità immediata per introdurre il provvedimento: il D.L. 151/2013 Milleproroghe, in questi giorni all’esame del Parlamento. Nella parte dell’articolo 6 del decreto, dedicata alla scuola, va aggiunto un emendamento che oltre a prevedere l’inserimento dei nuovi abilitati nelle GaE, preveda anche la riduzione delle graduatorie su tre scaglioni, anziché cinque, eliminando in tal modo anche quella fascia aggiuntiva reputata incostituzionale prima dal tribunale amministrativo e poi dalla Consulta. Si tratterebbe di un provvedimento, tra l’altro, già prodotto nel decreto Milleproroghe del 2012, all’articolo 14. E, soprattutto, senza costi: anzi, trasformare questi giovani abilitati in supplenti comporterebbe un sicuro aggravio di spesa per l’erario, visto che i precari della pubblica amministrazione fanno sprecare allo Stato 700 milioni di euro l’anno per effetto della legge 92/2012, che ha introdotto le indennità AspI e mini-AspI.

“Se il tema vuole essere affrontato - sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – lo si faccia finalmente con le azioni concrete. E non i con i soliti proclami. A costo di rivedere la questione a 360 gradi. Anche perché anche su questo fronte i numeri ci dicono che siamo impietosamente indietro rispetto a tutti gli altri: l’Ocse ha detto che nel 2011 nelle scuole secondare italiane di insegnanti sotto i 30 anni non c’era traccia. Ed è tutto dire che il nostro era l’unico Paese a trovarsi in questo stato”.

“I primi (800 in totale, non ancora compresi nelle statistiche) sono arrivati nell'ultimo anno – ha scritto in questi giorni “Il Sole 24 Ore” - grazie al concorsone voluto dall'ex ministro Profumo, ma rappresentano appena il 10% del totale dei vincitori della selezione”. Le assunzioni di 800 nuovi docenti under 30 non cambiano però la sostanza: rappresentano appena lo 0,1% degli oltre 800mila docenti italiani in servizio. In pratica, una goccia nel mare. E anche se si sale di una decina di anni di età anagrafica, tra i 30 e i 39, il risultato rimane misero: oggi costituiscono appena il 9% del corpo docente totale. Considerando che gli effetti nefasti della riforma Fornero devono ancora iniziare, i nostri studenti sono destinati ad avere il 90% del loro corpo docente coi capelli bianchi.

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È l’effetto della legge 92/2012, che ha introdotto le indennità AspI e mini-ASpI, per indennizzare i lavoratori subordinati rimasti disoccupati: un versamento all’Inps, riservato al personale non di ruolo, che per l’amministrazione pubblica comporta un aggravio variabile tra i 2.500 e i 3mila euro annui a lavoratore. Pacifico (Anief-Confedir): viene da chiedersi quale vantaggio può ancora avere il nostro Stato nel mantenere una posizione anacronistica e per cui presto la Corte di Giustizia europea potrebbe decidere di infliggere sanzioni da milioni di euro.

Si parla tanto di spending review e di spesa pubblica eccessiva. Per questo il Governo starebbe preparando altri tagli. Ma farebbe bene a guardare anche agli sprechi. Come quello che da un paio di anni le amministrazioni statali attuano per mantenere in vita il proprio “esercito” di 250mila dipendenti precari. Secondo l’ufficio studi dell’Anief, la loro assunzione in ruolo permetterebbe un risparmio annuo immediato di almeno 750 milioni di euro l’anno: basterebbe che lo Stato italiano decidesse finalmente di assumerli a tempo indeterminato, mettendo così anche la parola fine alle procedure di infrazione attivate dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia per l’abuso di contratti a tempo determinato.

L’esborso si deve a una normativa relativamente recente, contenuta nella Legge 92 del 2012, che solo per il personale non di ruolo prevede un versamento ulteriore all’Inps, in proporzione allo stipendio, come conseguenza di due nuove indennità (ASpI e mini-ASpI) finalizzate a finanziare un “tesoretto” utile a indennizzare i lavoratori subordinati che, loro malgrado, dovessero rimanere disoccupati: in media, per il personale della scuola si tratta di circa 2.500 euro l’anno che lo Stato deve pagare in più. Una sorta di tassa sulla precarietà, che lo stesso “datore di lavoro” ha deciso di non estirpare. Ora, essendo diventati oltre 140mila i supplenti annuali della scuola, con contratto sino al 30 giugno o al 31 agosto (dati Ragioneria dello Stato, attraverso il Conto annuale, pubblicati appena qualche giorno fa), il salasso che lo Stato è chiamato a pagare ogni anno per loro è di ben 350mila euro.

“Ma negli altri comparti della pubblica amministrazione – sottolinea Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - ci sono altri 110mila precari con almeno tre anni di servizio svolto: 30mila nella sanità e quasi 80mila tra ministeri vari, enti locali e regioni. Considerando che gli stipendi medi della scuola sono inferiori a quelli percepiti negli altri apparati pubblici, vanno considerati come inutilmente spesi almeno altri 350 milioni di euro l’anno. Sempre per la doppia indennità, AspI e mini-AspI, riservata a dipendenti non di ruolo. Viene da chiedersi – incalza il sindacalista - quale vantaggio può avere il nostro Stato nel continuare a mantenere una posizione sbagliata sull’assunzione definitiva dei 250mila precari dell’amministrazione pubblica”.

Va ricordato, inoltre, che all’inutile esborso di 700 milioni di euro annui va aggiunto il rimborso economico che il Paese potrebbe essere chiamato a saldare per l’abuso di ricorso al precariato. Tanto è vero che, oltre alle procedure di infrazione avviate ormai da tempo, il 12 dicembre scorso la Corte di Giustizia Europea con due provvedimenti coordinati ha bocciato senza appello la legislazione italiana in materia di negazione delle tutele effettive contro gli abusi nell’utilizzazione dei contratti a tempo determinato alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. Con le ordinanze Carratù e Papalia ha indicato allo Stato italiano la necessità impellente di rivedere le norme e la prassi in materia.

Ma i rilievi della Commissione Ue sul tema sono continui. Pochi giorni prima, a novembre, Bruxelles aveva ricordato al governo italiano che tanti suoi dipendenti continuano ad essere “impiegati con contratti a termine ma 'continuativi', per molti anni”, lasciati “in condizioni precarie nonostante svolgano un lavoro permanente come gli altri”. E questa situazione “è contraria alla direttiva sul lavoro a tempo determinato”. Senza dimenticare che con l’ordinanza n. 207/13, la Corte Costituzionale ha rinviato alla stessa Corte di Giustizia europea la questione sulla compatibilità della normativa italiana con la direttiva comunitaria, sempre sulla reiterazione dei contratti a termine e sul mancato risarcimento del danno per docenti e Ata precari della scuola con almeno 36 mesi di servizio.

“Se la Corte di Giustizia di Lussemburgo dovesse condannare l’Italia – ricorda Pacifico – per le casse statali sarebbero guai ancora più seri: la Corte, infatti, potrebbe condannare il nostro Paese a pagare fino a 8 milioni di euro per ogni singolo caso esaminato. In tal caso sarebbe ancora più evidente che sui contratti a termine la pubblica amministrazione italiana è il primo ‘attore’ che tradisce la normativa comunitaria in materia. Non a caso i pubblici dipendenti di ruolo sono scesi in pochi anni da 3 milioni e mezzo a poco più di 3 milioni. Peccato che non si servito a nulla, visto che l’indebitamento statale nello stesso periodo si è alzato di 10 punti”.

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Il titolo è riservato a chi ha svolto almeno tre anni di supplenze e dovrà essere conseguito entro fine luglio 2014. Ma il cambio di regole ne vanifica la spendibilità: non servirà all’inserimento nelle graduatorie pre-ruolo. Ed ora si scopre pure che anziché essere gratuito, come in passato, costerà anche tra i 2.000 e i 2.500 euro. Marcello Pacifico (Anief-Confedir): siamo all’assurdo, per continuare a fare i precari si deve pure pagare. Così ci allontaniamo sempre più dall’Europa.

Sono circa 67mila i docenti precari della scuola che si accingono ad iniziare, nelle prime settimane del 2014, i corsi di abilitazione a pagamento: si tratta dei Pas, i Percorsi Abilitanti Speciali riservati ai supplenti che hanno maturato almeno tre anni di servizio. I corsi, tenuti dalle Università, termineranno in estate, ma chi conseguirà il titolo non ha alcuna garanzia sulla sua spendibilità. Come se non bastasse, mentre il Ministero dell’Istruzione non accenna a cambiare idea sul voler tenere blindate le graduatorie ad esaurimento - quindi il titolo servirà solo per l’inserimento nella seconda fascia d’istituto delle graduatorie d’istituto nelle scuole secondarie, primarie e dell’infanzia - , ora si scopre che per svolgere i corsi abilitanti, sino a qualche anno fa gratuiti, i docenti precari dovranno pagare tra i 2.000 euro (Usr del Lazio) e i 2.500 euro (Università di Camerino).

In pratica, viene chiesto a decine di migliaia di supplenti di acquisire un titolo di cui non si avverte più alcuna necessità. In cambio di una considerevole somma in denaro, che non può certamente essere considerata, come sostiene il Miur, un contributo alle spese organizzative delle procedure abilitanti. E questo anche perché, dopo aver accusato il taglio progressivo del fondo ordinario, gli atenei sono stati costretti a prevedere dei rimborsi cospicui per mettere in piedi dei corsi formativi di cui fino all’anno 2000 lo Stato si era fatto totalmente carico.

Il sindacato non può essere indifferente a tutto questo. Perché, se le abilitazioni all’insegnamento, al pari delle idoneità conseguite al termine dei concorsi a cattedra, non servono ad essere collocati nelle graduatorie pre-ruolo, per quale motivo si chiede ad un docente di conseguirlo? Perché si dice ad un precario, che per almeno tre anni scolastici ha già svolto a tutti gli effetti le mansioni di insegnante nel sistema d’istruzione pubblico, anche come commissario di esame, che se vuole continuare a svolgere questo mestiere deve conseguire una certificazione fittizia?

“La verità è che dopo aver trattato i futuri docenti di sostegno come una sorta di ‘bancomat’ - sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir - stiamo assistendo all’ennesima truffa ai danni di tantissimi precari che da anni già svolgono la professione. Si chiede loro di sostenere l’ennesimo corso, ma senza che questo gli permetta di inserirsi stabilmente nel mondo del lavoro, ovvero nelle graduatorie ad inserimento. Estremizzando il concetto – continua Pacifico - si potrebbe dire che siamo arrivati al punto che per continuare a fare i precari si deve pagare. E nemmeno poco”.

Quanto sta accadendo, tra l’altro, tiene lontano il nostro Paese del sistema di reclutamento che l’Europa indica ai suoi stati membri attraverso una precisa direttiva comunitaria, la quale prevede il riconoscimento formale della professionalità acquisita dopo tre anni di servizio: per questo motivo il mancato inserimento degli abilitati nella GaE non ha motivo di fondamento. E per questi motivi, per via dell’aggiramento dell’Italia delle indicazioni che arrivano da Bruxelles, l’Anief si è fatto carico della presentazione di migliaia di ricorsi.

“Non si comprende per quale motivo – continua Pacifico – , sovvertendo il nostro ordinamento, l’amministrazione abbia prima chiuso l’accesso alle GaE e poi deciso di impedire l’accesso ai corsi abilitanti riservati a coloro che hanno maturato 360 giorni di servizio, inserendo una nuova normativa sui requisiti di accesso. Con minimo tre annualità, da almeno 180 giorni ciascuna, di cui una sulla disciplina: anziché regolarizzare la posizione di chi ha insegnato senza abilitazione, ma si è formato sul campo garantendo la funzionalità del servizio formativo statale, si creano artificiosamente degli ostacoli. Chiudendo di fatto le strade che portano al ruolo. Senza dimenticare che in questo modo – conclude il sindacalista Anief-Confedir – si sta pure tradendo la volontà del Parlamento, il quale in più occasioni ha chiesto di tenere unita la formazione al reclutamento”.

 

Pubblicato il Conto annuale della Ragioneria dello Stato: dei 307.000 dipendenti pubblici con contratti di lavoro flessibili, quasi la metà sono docenti e Ata. Pacifico (Anief-Confedir): ecco perché l’Unione Europea ci condanna, siamo all’allarme rosso e il Governo assume solo per coprire il turn over.

L’inerzia del governo italiano sulla stabilizzazione dei dipendenti pubblici precari sta producendo numeri sempre più da record: in queste ore la Ragioneria dello Stato, attraverso il Conto annuale, ha quantificato che nel 2012 lavoravano nella pubblica amministrazione 3.036.000 lavoratori con contratti a tempo indeterminato. Di questi, 307.000 erano precari con contratti di lavoro flessibili: quasi la metà di costoro (140.557) era impegnato nella scuola.

“I numeri emessi dai contabili pubblici confermano quanto denunciato dall’Anief dal 2010 - spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir –: l’abuso del personale precario con contratti a termine sta producendo una situazione da allarme rosso. Soprattutto nella scuola, dove oltre il 15% del personale è precario lasciato in questo stato per troppi anni: basta dire che costituiscono la metà dei precari di tutta l’amministrazione pubblica. E poco servono le 69mila assunzioni previste dal Governo in tre anni: poiché i dipendenti del comparto scuola vanno in pensione al ritmo di 20-25mila l’anno, si è provveduto semplicemente a coprire il turn over”.

Le decisioni prese dai nostri governanti non fanno altro che confermare la sistematica violazione della normativa comunitaria in tema di precariato della scuola: prima si è recepita la direttiva 199/70/CE, attraverso l’art. 6 del decreto legislativo 368/01. Ma successivamente si è preferito adottare degli escamotage di Stato, culminati con la legge derogatoria 106/2011. Peraltro rafforzati da una sentenza della Cassazione che nell’estate del 2012 ha recepito l’interpretazione autentica del legislatore.

Quando tutto sembrava avallare il ricorso sistematico ai precari per continuare ad abusare degli incarichi anche su posti vacanti e disponibili – basti pensare che in un decennio ne sono stati utilizzati oltre 300mila - , in soccorso dei nostri supplenti, del loro diritto di vedersi trasformato il contratto da tempo determinato a indeterminato, è intervenuto un giudice di Napoli, il dott. Coppola. Il quale ad inizio 2013 ha rinviato alla Corte di giustizia dell'Ue un ricorso “pilota” in merito alla legge derogatoria n. 106/11: l’esito interesserà quelli presentati da più di 20mila precari della scuola con contratti a tempo determinato, anche non continuativo, per un periodo superiore ai tre anni. “A tal proposito – commenta ancora Pacifico – c’è da ricordare che secondo il trattato di funzionamento della Comunità europea, una sentenza della Corte di giustizia dell'Ue è vincolante per ogni giudice nazionale. Il quale, anche in presenza di una sentenza della Corte di Cassazione o della Corte costituzionale italiana, dovrà adeguarsi sul tema decidendum”.

“In attesa di questa sentenza decisiva da parte dei giudici di Lussemburgo – continua il sindacalista Anief-Confedir – l’Italia è impegnata a difendersi anche da una serie di procedure d’infrazione attivate dall’Ue nei suoi confronti. Come la 2020/2010, già trasformata in atto di messa in mora a seguito della presentazione del ricorso da parte di un precario non docente: il concetto di fondo dell’Ue è che le ragioni di finanza pubblica, seppur comprensibili, non possono mortificare la professionalità dei lavoratori e discriminarli sia in tema di retribuzione sia di stabilizzazione”.

I rilievi della Commissione Ue sul tema sono continui. L’ultimo è giunto meno di un mese fa: Bruxelles ha ricordato al governo italiano che tanti suoi dipendenti continuano ad essere “impiegati con contratti a termine ma 'continuativi', per molti anni”, lasciati “in condizioni precarie nonostante svolgano un lavoro permanente come gli altri”. E questa situazione “è contraria alla direttiva sul lavoro a tempo determinato”. A questo punto, l'Italia ha pochi giorni di tempo per rispondere. Altrimenti la Commissione la porterà dinanzi alla Corte Ue. Il tempo sta scadendo.

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Sono docenti e Ata che hanno stipulato contratti con gli istituti per sostituire colleghi collocati in malattia o in aspettativa: a causa del mancato rifornimento del Sistema informatico di contabilità e gestione economica da parte del Mef, slittano i pagamenti di novembre e dicembre. Anief invita il personale coinvolto a diffidare la Ragioneria territoriale e la scuola di servizio, recuperando in tal modo le mensilità non corrisposte ed i relativi interessi di mora.

Per migliaia di docenti e Ata precari quello del 2013 sarà un Natale davvero magro: nelle passate settimane il Ministero dell’Istruzione non ha inviato a diverse scuole i fondi necessari per pagare le mensilità di novembre e dicembre dei supplenti cosiddetti “brevi”. Un’operazione che andava assolta entro lo scorso 13 dicembre: per motivi tecnici se ne riparlerà non prima di gennaio. Lasciando così “a bocca asciutta”, senza nemmeno la percentuale di tredicesima dovuta, i tanti docenti e Ata che anche nel corrente anno scolastico hanno stipulato un contratto con la scuola di servizio, in modo da sostituire dei colleghi collocati in malattia o in aspettativa per vari motivi.

Dopo aver corrisposto, seppure con ritardo, le due mensilità di inizio d’anno scolastico, anche a seguito delle forti proteste dell’Anief, il Miur sta di nuovo ritardando sine die il diritto la retribuzione di tanti supplenti. La motivazione della mancata corresponsione degli stipendi è dovuta alla non completa “emissione speciale accessori dicembre 2013” da parte del Ministero dell'Economia e Finanze sul ‘Sicoge’, il Sistema informatico di contabilità e gestione economica. E ciò malgrado l’emissione speciale, di diversi milioni di euro ma evidentemente insufficiente, avvenuta nelle ultime settimane.

Quel che è sicuro, è che l’amministrazione statale non riesce più a finanziare regolarmente una parte degli oltre 8mila istituti scolastici italiani. E a saltare sono, per ora, gli emolumenti da assegnare ai dipendenti più deboli: i supplenti “brevi”. Che ogni giorno sono sempre più privati dell’adeguata considerazione, professionale e sociale.

“Si tratta di una situazione intollerabile – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – perché si va a infierire sulle già pessime condizioni economiche e lavorative che i docenti della scuola italiana devono affrontare. Basta ricordare che sono quelli a ricevere lo stipendio tra i più bassi dell’area europea, in media tra i 1.200 ed i 1.300 euro: a fare peggio è solo la Grecia. Come se non bastasse, adesso si aggiunge il mancato pagamento. E ciò va a minare ancora di più la dignità di tanti lavoratori che, ricordiamolo, - conclude Pacifico - mettono quotidianamente la loro professionalità al servizio di alunni e famiglie”.

Alla luce dalla grave mancanza di cui l’amministrazione si sta rendendo artefice, rendendo opzionale la regolarità dei pagamenti per i supplenti, anche stavolta l’Anief non si limiterà a denunciare il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori: il giovane sindacato ha predisposto un modello di diffida e messa in mora che il personale interessato potrà direttamente inviare, con urgenza, alla Ragioneria territoriale di competenza (ufficio pagatore della provincia in cui si svolge o si è svolto il servizio) e alla scuola di servizio. Allo scadere degli 8 gg. di tempo, entro cui l’amministrazione dovrà liquidare le somme non corrisposte, il personale interessato dovrà segnalarlo all’Anief inviando una mail all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..