Dallo studio annuale della Ragioneria generale dello Stato, reso pubblico in queste ore, emerge che 28.403 euro annui, percepiti da chi ha operato nella scuola nel 2016, rappresentano di gran lunga il compenso annuo più basso del pubblico impiego. “Seguono quelli degli enti locali (29.081) e dei ministeri (30.695). Ben altre cifre per magistrati (138.268), prefetti (93.026) e diplomatici (92.819)”. L’aspetto più inquietante per i docenti e Ata è che nel 2015 i compensi annuali medi si attestavano a 29.307 euro, in risalita rispetto all’anno precedente (29.130). Poi il crollo, di quasi mille euro a testa. La scuola, quindi, arretra a livello di trattamento economico. E non si dica che il rinnovo di contratto ha cambiato le cose. Perché davvero a poco sono serviti i mini-aumenti accreditati a giugno 2018 e gli arretrati ancora più ridicoli percepiti il mese prima, frutto di un accordo finale sottoscritto solo dai sindacati Confederali il 20 aprile scorso, che ha portato incrementi retributivi lordi pari allo 0,36% per il 2016, all’1,09% per il 2017 e al 3,44% a regime: peccato che nello stesso periodo di blocco, l’inflazione sia cresciuta di oltre il 15%. Ed in ogni caso, le distanze rispetto al resto dalla PA rimangono immutate. Ecco perché diventa importante giocarsi bene la partita del prossimo rinnovo contrattuale, visto che l’attuale Ccnl con il prossimo 31 dicembre sarà già scaduto.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): In Italia gli stipendi dei nostri docenti risultano davvero scarsi, rispetto alle medie UE, pure a fronte di un impegno di lavoro addirittura superiore: sia nella scuola primaria (22 ore settimanali contro 19,6) che nella secondaria superiore (18 contro 16,3). Così, alla beffa degli stipendi sovrastati dall’inflazione, per la mancata applicazione dell’indennità di vacanza contrattuale, e non certo adeguati dagli 85 euro medi di aumenti, peraltro in parte a rischio per il personale con compensi più bassi perché non è scontato che il governo approvi l’intesa contrattuale sulla perequazione stipendiale della scuola, si deve ora aggiungere quella del confronto con gli altri Paesi europei.