ISTRUZIONE – È l’Annus Horribilis della scuola italiana: laureati esclusi dal concorso, precari assunti senza poter insegnare, prof di ruolo su materie che non conoscono e tutti in cattedra fino a quasi 70 anni
La selezione per individuare 63.712 docenti, pubblicata venerdì sera in Gazzetta Ufficiale, prevede la prima clamorosa esclusione nella storia dell’istruzione pubblica italiana di chi si è formato all’Università proprio per fare l’insegnante. Intanto, ai 48mila immessi in ruolo con il “potenziamento” della Buona Scuola, viene impedito di insegnare in attesa di essere inseriti nella “centrifuga” degli albi territoriali, che li potrebbe condurre chissà dove. Non vanno meglio i prof anche di ruolo, coinvolti nelle nuove classi di concorso approvate qualche giorno fa: vengono obbligati a confrontarsi con programmi d’insegnamento lontani dalle loro conoscenze. Intanto, con la nuova stretta pensionistica, dal 1° gennaio scorso, i docenti sono costretti a rimanere in servizio fino a 67 anni o a lasciare con quasi 43 anni di contributi.
Marcello Pacifico (presidente Anief): sono provvedimenti che hanno lo stesso comune denominatore, il peggioramento delle condizioni di vita degli insegnanti, con effetti negativi anche per la didattica e gli alunni. Noi non ci rassegniamo: laddove non arriva il legislatore, ci penserà il giudice a dare le risposte positive alle violazioni del diritto.
È l’Annus Horribilis della scuola italiana. Giovani laureati lasciati ai margini, precari immessi in ruolo senza poter insegnare se non per spezzoni di ore o come tappabuchi, docenti di ruolo che spiegano discipline che non conoscono, insegnanti con oltre 30 anni anzianità costretti a rimanere dietro la cattedra fino alle soglie dei 70 anni di età. L’incredibile scenario si è venuto a realizzare in queste ultime settimane, attraverso l’incrociarsi dei provvedimenti approvati su scuola e previdenza sociale.
Partiamo dal concorso a cattedre per 63.712 posti, giunto venerdì sera in Gazzetta Ufficiale che, invece di selezionare anche i giovani laureati più meritevoli, prevede la loro prima clamorosa esclusione nella storia dell’istruzione pubblica italiana. I 57.611 posti comuni e i 6.101 di sostegno – spalmati nei tre bandi riservati ad infanzia e primaria, alla secondaria e all’insegnamento agli alunni disabili – verranno distribuiti solo tra gli abilitati. Non potranno presentare la domanda d’accesso al concorso, attraverso il sito internet Istanze On Line predisposto dal Miur, nemmeno i docenti già di ruolo e migliaia di abilitandi che hanno speso tra i 3mila e 4mila euro a testa proprio per questo scopo. Solo seguendo le indicazioni che Anief renderà pubbliche nelle prossime ore, potranno ricorrere entro i termini indicati e presentarsi, verosimilmente, alle prove d’esame dopo aver ottenuto una risposta positiva ad una palese violazione del diritto.
Si accingono a vivere anni difficili pure i docenti di ruolo impiegati su cattedra attraverso le nuove classi di concorso, le quali, avendo le “maglie” delle discipline sempre più allargate, si vedono svilire la loro professionalità, obbligandoli a confrontarsi con programmi di studio e d’insegnamento lontani dal loro background formativo universitario: dopo sette anni di bozze e di versioni riviste, il Governo ha infatti prodotto otto enormi “contenitori” di materie d’insegnamento, chiamati dal Miur ambiti disciplinari, all’interno dei quali sono state aggregate le oltre 150 classi di concorso della scuola sino a poche settimane fa esistenti ed ora ridotte di quasi un terzo. Senza contare l’alto concentrato di errori e refusi incredibilmente emersi a regolamento approvato.
Anche gli ultimi assunti stanno pagando dazio. In attesa di essere inseriti nella “centrifuga” della nuova mobilità e degli albi territoriali, che li potrebbe condurre chissà dove, la maggior parte dei 48mila docenti immessi in ruolo sul ‘potenziamento’ scolastico, attraverso la fase c della Buona Scuola, tra i 5 e gli 8 per istituto, continua ad essere impegnata su progetti più o meno forzati, se non improvvisati, o su supplenze brevi. Invece di impiegare questi insegnanti sulla didattica ordinaria, come è giusto che sia, perché è per quello che sono stati formati e selezionati, si è preferito far entrare a regime la deleteria riforma pensionistica Monti-Fornero, che dal 1° gennaio scorso permette di lasciare il servizio solo dopo 66 anni e 7 mesi di età, oppure, se si è in possesso di 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi di contributi per donne.
Proprio stamani è stato denunciato che in provincia di Bari le domande di pensionamento hanno subìto un vero crollo, confermando il quadro di lavoro forzato su scala nazionale. Solo che in questo modo, lo svecchiamento del personale docente italiano diventa sempre più una chimera. E la qualità della vita peggiora: ricordiamo solo che l’8,2% dei docenti francesi ha meno di 30 anni, mentre in Italia della medesima età sono appena lo 0,4%. Senza dimenticare che in Spagna appena il 29,3% degli insegnanti ha più di 50 anni, mentre nella nostra Penisola sfiorano il 60%.
“Quest’anno stiamo assistendo ad una lunga serie di record aventi tutti lo stesso comune denominatore - dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief -: il peggioramento delle condizioni di vita degli insegnanti, con effetti negativi anche per la didattica e gli alunni. Si va dal docente precario di Pordenone immesso in ruolo a 67 anni, alle stabilizzazioni di decine di migliaia di precari sulla base di un algoritmo ministeriale segreto che ne ha spediti tanti lontano da casa pur in presenza di posti liberi molto più vicino casa”.
“Per non parlare dell’età pensionabile portata a livelli indecenti, mentre in Germania gli insegnanti continuano ad andare in pensione dopo 28 anni di contributi. Il fondo si è toccato oggi, quando ai tanti giovani laureati, che hanno costruito negli anni il loro corso di studi ai fini dell’insegnamento scolastico, il sistema telematico del Miur ha negato la possibilità di presentare domanda. Dal Miur si dice che non si è fatto altro che adottare il decreto legislativo 297/1994, ma allora perché nei concorsi a cattedre del 1999 e 2012 la norma non è stata applicata? Rispondere – conclude Pacifico – spetterà anche stavolta ai giudici”.
Per approfondimenti:
Freno sulle pensioni. Ora in cattedra i docenti nonni (La Gazzetta del Mezzogiorno del 29 febbraio 2015)