Due supplenti su tre inseriti nelle GaE hanno almeno due abilitazioni: 18.285 ne detengono quattro, 10.315 supplenti ne hanno 5 e 2.830 addirittura 6 titoli per insegnare in altrettante discipline.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): è la prova vivente che i nostri insegnanti pur essendo ampiamente preparati e avendo dimostrato di essere dei professionisti, con tanti anni di formazione universitaria e tirocini nelle scuole alle spalle, non meritano di essere messi continuamente alla prova. Né di percepire stipendi ridicoli, senza più scatti e con gli aumenti riservati.
Sono 155.217 i docenti precari di lungo corso iscritti nelle graduatorie ad esaurimento. Molti di loro vantano un’altissima preparazione, con un numero impressionante di abilitazioni acquisite: 2 supplenti su 3 hanno, oltre al titolo di studio richiesto, almeno diplomi abilitanti conseguiti quasi sempre presso le nostre università statali. A fornire i dati aggiornati è il sito internet specializzato “voglioilruolo.it”, in collaborazione con la testata giornalistica “Orizzonte Scuola”.
Tra i tanti aspiranti ad essere immessi in ruolo, 14.605 docenti hanno conseguito tre abilitazioni all’insegnamento, 18.285 ne detengono quattro, 10.315 ne hanno portate a casa 5 e 2.830 ben 6. Il dato che deve far riflettere è che vi sono 28 docenti precari con 10 abilitazioni, altri 16 ne hanno acquisite 11 e 3 precari ne hanno addirittura 12. Ma il record nazionale è quello di un supplente che vanta addirittura 13 abilitazioni: significa avere la licenza piena di insegnare in altrettante discipline della scuola pubblica.
Dallo studio nazionale emerge che sono le classi di concorso delle scuole superiori a detenere il maggior numero di iscritti nelle circa 100 graduatorie provinciali sparse per la Penisola, con il 34% di prof precari presenti nel settore del secondo grado. Seguono, distanziati, i candidati all’insegnamento nelle scuole dell'infanzia, con il 23%, nella scuola primaria (22%) e nelle scuole medie (19%). Il fanalino di coda, tra i generi di docenti precari, è costituito dagli aspiranti educatori, che operano principalmente nei convitti, i quali vanno a costituire appena il 2% di presenze nelle cosiddette GaE.
“Di fronte a questi numeri non si può rimanere indifferenti – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – perché rappresentano la prova vivente che i nostri insegnanti sono ampiamente preparati e non debbono essere continuamente essere messi alla prova. Un docente in possesso dei titoli di studi appropriati, pluri-abilitato, sempre più spesso pure specializzato all’insegnamento degli alunni disabili, peraltro a proprie spese, con ogni corso abilitante o di specializzazione il cui costo varia tra i 3 e i 4mila euro a partecipante, rappresenta una garanzia che pochi altri dipendenti pubblici possono vantare”.
Eppure la strada che il Governo vuole intraprendere, attraverso il progetto “La Buona Scuola”, è quella della verifica permanente delle loro performance dietro la cattedra, attraverso prove di valutazione e verifiche finalizzate ad individuare i più meritevoli. Con il 34% di docenti di ogni scuola, oggi sottopagati e con la carriera da supplenti bloccata, destinato a rimanere con lo stipendio congelato e senza più scatti. Come se oggi il loro stipendio non fosse già collocato tra i 4 e i 5 punti sotto l’inflazione e circa 8mila euro in meno l’anno rispetto ai colleghi dell’area Ocde. Con una busta paga, quindi, destinata a perdere sempre più terreno rispetto al costo della vita.
“Il paradosso è che a questi docenti attualmente presenti nelle GaE – continua Pacifico – ne vanno aggiunti quasi altrettanti: sono i circa 100-150mila che negli ultimi anni si sono abilitati principalmente attraverso i Tfa, i Pas, le scuole di scienze della formazione primaria. Anche se non figura, c’è questo secondo ‘plotone’ che spinge per l’assunzione e a pieno titolo, visto che hanno vissuto un percorso di formazione universitario parallelo”.
L’Anief ricorda, infine, che tutti questi docenti precari sarebbero stati assunti da tempo nei ruoli dello Stato, se non fossero state tagliate 200mila cattedre a partire dal 2009, per effetto delle norme conseguenti alla Legge 133/08. E che a mantenerli in questo stato di supplentite permanente, come direbbe il premier Renzi, ha collaborato non poco la riforma pensionistica Monti-Fornero, che ha portato in avanti l’età pensionabile di diversi anni; con la prospettiva, nemmeno troppo lontana, perché si tratta del 2018, di poter lasciare il servizio non prima dei 67 anni.