Il chiarimento dell’Anief è sostenuto dalle indicazioni ministeriali, da diverse sentenze di Tribunale e principi civilistici. Gli amministrativi, tecnici e ausiliari interessati non devono quindi temere: né per la mancata attribuzione di incarichi a supplenza, né il licenziamento.
Sono numerose le richieste di chiarimento ricevute dall’Anief sulla procedura ed i rischi connessi per il personale precario amministrativo, tecnico ed ausiliario che ha chiesto il depennamento dalle graduatorie provinciali permanenti (le cosiddette ‘24 mesi’) per inserirsi nelle graduatorie d’istituto di altra provincia. Come noto, questa è infatti purtroppo diventata l’unica possibilità per quel lavoratore Ata della scuola che vuole cambiare sede provinciale: non è infatti più possibile spostarsi di graduatoria mantenendo l’inserimento nelle graduatorie provinciali. La decisione individuata dal Miur è palesemente ingiusta, come più volte denunciato dal nostro sindacato durante le fasi di aggiornamento delle graduatorie provinciali permanenti e per la quale i legali dell’Anief sono in fase di deposito del ricorso al Giudice competente.
Nel frattempo, l’Anief consiglia comunque, anche agli aderenti al ricorso, di formulare la richiesta di inserimento nella provincia desiderata e di presentare la conseguente domanda di depennamento dalle graduatoria provinciale (modello D4).
Seguendo questa operazione, teniamo a precisare, il lavoratore non deve temere:
- né per la mancata attribuzione di incarichi a supplenza, poiché nel decreto si parla di cancellazione a partire dal 1° settembre 2014/15, ma la Nota Miur n. 1256 del 21 febbraio 2012 precisa – riferendosi pure alla Nota Miur n. 9319 del 14.11.2011, in particolare alla voce “Domanda di depennamento” – che l’indicazione “…fino alla data di conferma di iscrizione nella graduatoria di terza fascia nella nuova provincia” va comunque intesa “…fino alla data di approvazione della graduatoria definitiva di terza fascia nella nuova provincia”;
- né per il licenziamento, quindi il decadimento dall’incarico nella attuale provincia di servizio, una volta che le graduatorie saranno pubblicate.
Pertanto, l’amministrazione non può rescindere il contratto in maniera unilaterale. A tal proposito, ricordiamo quanto contenuto nella sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 8328 del 2010, nella parte in cui spiega che “nel rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al D.lgs. n.165 del 2001, art.2, non è ammissibile che il datore di lavoro pubblico possa sciogliersi unilateralmente da un contratto non essendovi alcuna norma che gli attribuisca un siffatto potere. Si sostiene inoltre – continuano i giudici di terzo grado - che questo potere non troverebbe fondamento nella norma contrattuale collettiva (art.44 del CCNL comparto scuola 2006/09) che prevede il recesso unilaterale dal rapporto in caso di annullamento della procedura di reclutamento, perché tale norma riguarderebbe il solo caso di assunzioni a tempo indeterminato”.
A conferma di tutto ciò, è stata emessa una recentissima sentenza dal Tribunale di Chieti - la n. 167 del 2014 – attraverso cui si rintraccia ancora una volta l’illegittimità della condotta che realizzi una revoca del contratto: “il Ministero non poteva procedere alla risoluzione unilaterale del contratto, tanto più che tale risoluzione non è stata minimamente motivata né comunicata al ricorrente”.
Ad ulteriore sostegno di tale tesi, si ricorda anche l’Ordinanza dello stesso Tribunale, del 23 aprile 2008, nella parte in cui sottolinea “come non possa ipotizzarsi che la P.A., nell’ambito della propria attività negoziale, possa unilateralmente revocare contratti regolarmente stipulati; ciò in linea generale ed in particolare nella fattispecie, in cui il contratto si era già perfezionato con l’accettazione della proposta; osservato, altresì, che il contratto stipulato dalla P.A. ‘jure privatorum’ può risolversi solo nei casi stabiliti dalla legge (risoluzione per inadempimento, art. 1453 c.c;, per impossibilità sopravvenuta, art. 1463 c.c.; per eccessiva onerosità, art. 1467 c.c.)”. Aggiungiamo, infine, il principio civilistico pacta sunt servanda ex art. 1372 in base al quale il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge.