Precariato

Precari PA: per quelli di scuola e sanità niente proroghe e assunzioni

Appello di Marcello Pacifico (Anief-Confedir) ai parlamentari che stanno esaminando il decreto, approvato il 17 maggio scorso dal CdM: lo slittamento dei contratti a tempo determinato al 31 dicembre 2013 esclude i dipendenti dei due comparti. Eppure la direttiva 1999/70/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 368/01, non parla di dipendenti eletti e altri figli di un dio minore.

Perché lo Stato italiano si ostina a non volere stabilizzare i suoi dipendenti precari che hanno operato per almeno 36 mesi nella scuola e nella sanità? A chiederlo pubblicamente, rivolgendosi in particolare ai parlamentari, è Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri professionali, a seguito dell’arrivo in commissione Finanze della Camera del decreto, approvato il 17 maggio dal Consiglio dei Ministri, che proroga al 31 dicembre prossimo i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato di circa 100mila dipendenti pubblici.

Come noto, si tratta di uno slittamento di contratti che già superano il limite dei 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi (come previsto dall'art. 5, comma 4 bis del decreto legislativo 368/01). Proroghe, tra l’altro, che, in attesa della stabilizzazione dello stesso personale, possono essere adottate solo dopo un accordo decentrato con i sindacati rappresentativi. Ora, visto che l’Italia sembra finalmente tenere conto di quel decreto legislativo, quindi della direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, viene da chiedersi per quale motivo la sua adozione viene meno quando si tratta di stabilizzare i precari della scuola e della sanità.

Ora che il decreto contenente la proroga è giunto all’esame degli organi parlamentari competenti, Anief e Confedir chiedono quindi ai deputati che lo stanno esaminando di emendare quel testo e di farlo valere indistintamente per tutti i dipendenti precari della pubblica amministrazione. Dal momento in cui si stanziano delle risorse per la cassa integrazione dei dipendenti pubblici, al pari dei privati, e si allunga la durata massima dei contratti a temine, non si capisce infatti per quale motivo solo alcune categorie professionali, appartenenti allo stato “datore di lavoro”, lo Stato, debbano esserne escluse. Come non si comprende con quale logica alcuni sindacati rappresentativi abbiano avallato questa diversità di trattamento.

“È evidente che questa condizione – commenta Pacifico – non può essere ‘sine die’, visto che nello Stato non ci sono i dipendenti figli di un dio minore. Perché la direttiva 1999/70/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 368/01, indica solo che dopo 36 mesi di servizio, anche non continuativo, il datore di lavoro ha il dovere di procedere all’assunzione definitiva del dipendente. A tal proposito, vi sono dei precedenti nazionali importanti. Come quelli adottati durante l’ultimo governo Prodi, a seguito dell’approvazione delle leggi 296/2006 e 247/2007”.

“La proroga del termine di scadenza concessa a quasi 100mila dipendenti pubblici – continua il sindacalista Anief-Confedir – è una notizia in sé positiva. Tuttavia rende ancora più irrazionale e illogica la discriminazione che si attua in Italia verso diverse decine di migliaia di precari che operano da anni nei comparti pubblici di scuola e sanità. E lo diventata ancora di più – conclude Pacifico - dal momento in cui la diversità di trattamento è stata presa in esame in Lussemburgo dal tribunale di giustizia europea, dove i giudici sovranazionali stanno valutando proprio la compatibilità delle norme italiane derogatorie ad un legge che, come tutte, è nata per essere uguale per tutti”.