Preoccupano i dati forniti dal ministro Gianpiero D’Alia, nel corso dell'audizione alla Camera davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro: il Governo continua a far valere le ragioni di bilancio statale. Dimenticando che un numero così alto di supplenti nei comparti statali e del servizio nazionale sanitario, oggi diventanti 166 mila, hanno il diritto di essere assunti a titolo definitivo. Non si possono continuare ad imporre le norme che derogano ai principi comunitari.
Nel pubblico impiego due lavoratori precari su tre appartengono alla scuola o alla sanità, ma lo Stato li vuole mantenere precari in eterno tenendoli fuori dagli accordi sulla stabilizzazione dei lavoratori pubblici e dalla direttiva europea sui contratti a termine. Il numero altissimo di dipendenti in forza ai due comparti è stato reso pubblico dal ministro Gianpiero D’Alia, nel corso dell'audizione alla Camera davanti alle commissioni riunite Affari costituzionali e Lavoro: dal 2004 al 2011 – ha detto D’Alia – sono stati tagliati 300 mila dipendenti pubblici, così oggi ci ritroviamo con 7 mila impiegati in esubero e 250 mila unità con contratti a termine, di cui circa 133 mila nella scuola e altri 30 mila nella sanità.
“Sono numeri davvero avvilenti – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e delegato Confedir per la scuola e i quadri – perché significa che quasi il 10% dei dipendenti statali ha un contratto a termine. Ma quel che preoccupa di più il sindacato è che i precari di scuola e sanità sono condannati a rimanere permanentemente in questa condizione: lo dimostra il dato che negli ultimi anni lo Stato ha creato delle graduatorie - permanenti, ad esaurimento e d’istituto – che anziché svuotarsi si stanno sempre più riempiendo di candidati. La colpa è di una serie di deroghe alle norme europee (direttiva 1999/70/CE), introdotte a partire dalla legge 106/2011. E ciò malgrado tali disposizioni normative continuino ad essere sanzionate dai tribunali del lavoro e a generare nuove procedure comunitarie d’infrazione a carico dello stesso Stato italiano”.
Lo scorso 17 maggio questa discriminazione è stata ribadita dal Governo Letta attraverso l’approvazione in Consiglio dei Ministri del decreto legge sulla “proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni”, pubblicato nella G.U. n. 54 del 21 maggio, attraverso il quale si prevede lo slittamento del termine dei contratti solo per 90 mila dipendenti degli altri comparti pubblici. Mentre scuola e sanità continuano a rimanere fuori. Eppure si tratta di unità di personale impegnate da diversi anni su posti liberi e per lunghi periodi.
“I Governi italiani che si sono succeduti negli ultimi anni – sottolinea Pacifico – hanno pensato esclusivamente a far valere le ragioni di bilancio statale. Dimenticando che un numero così alto di precari, oggi diventanti 166 mila, hanno il diritto di essere assunti a titolo definitivo. Non si possono continuare ad imporre le norme che derogano ai principi comunitari”.
La contraddizione di questa scelta dei nostri decisori politici diventa ancora più evidente, dal momento che proprio in questi giorni nella commissione Affari costituzionali e Lavoro sta iniziando l’iter di discussione sulla legge comunitaria 2013 che dovrebbe prevedere interventi al fine di rispondere alle procedure d’infrazione attivate dall’Ue nei confronti dell’Italia. Tra queste, la 2020/2010, già trasformata in atto di messa in mora a seguito della presentazione del ricorso da parte di un non docente della scuola, per la mancata assunzione del personale con più di 36 mesi di servizio a tempo determinato. Così come si attendono sviluppi dalla Corte di giustizia europea, cui si sono rivolti docenti e Ata, anche a seguito della ordinanza favorevole emessa dal giudice Coppola di Napoli, che si dovrà esprimere entro l’anno sull’incompatibilità della normativa nazionale in materia di stabilizzazione e quella comunitaria.
“Anziché continuare a rimandare il problema, amplificandolo i numeri all’eccesso, - conclude il rappresentante Anief-Confedir – il Governo farebbe bene a emendare il decreto legge sulla proroga del personale statale a tempo determinato, prevedendo una graduale stabilizzazione del personale che ha già svolto i tre anni minimi richiesti. Ciò eviterebbe anche un contenzioso, di cui il sindacato si farà sicuramente carico per difendere gli interessi di migliaia di lavoratori”.