Legge di stabilità: dal 2014 istituti finanziati in base ai risultati, ma le scuole non sono aziende o università

Patroni Griffi toglie la maschera e dà seguito alle logiche “premiali” introdotte con la Riforma Brunetta della PA nel 2009. Ma l’unico risultato che si potrà raggiungere sarà quello di condannare gli alunni più svantaggiati e i loro docenti a rimanere sempre più indietro.

Per la Scuola italiana la legge di stabilità per il 2013 continua a fornire amare sorprese. Da un esame approfondito dell’ultimo provvedimento licenziato sotto il Governo Monti, si apprende infatti che dal 2014 i 10mila istituti scolastici italiani riceveranno i finanziamenti pubblici non più in base al numero di alunni e docenti, oltre che la complessità delle scuole, ma in proporzione ai risultati conseguiti: attraverso il comma 149 dell’art. 1, il Parlamento ha infatti deciso che “a decorrere dal 2014 i risultati conseguiti dalle singole istituzioni sono presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse per il funzionamento”.

Ora, al di là del fatto che non si comprende quali “risultati” dovranno conseguire le scuole, visto che il grado d’istruzione raggiunto dagli alunni non può essere legato solo alla bravura dei loro insegnanti e dei dirigenti a capo degli istituti, ma anche a diversi altri fattori - come il contesto familiare, sociale ed economico -, sorprende davvero che si continui ad introdurre “paletti” al fine di perseverare nel taglio di quei finanziamenti per l’organizzazione e la manutenzione ordinaria delle scuole già oggi largamente insufficienti. Tanto è vero che sempre più spesso le scuole devono ricorrere ai finanziamenti facoltativi dei genitori degli alunni, sia per l’avvio di progetti complementari sia per la gestione ordinaria del funzionamento scolastico, come la fornitura di gessetti e carta igienica.

Secondo l’Anief la norma legiferata a fine 2012 non è altro che il continuum di quanto prodotto dal legislatore durante l’ultimo esecutivo guidato da Silvio Berlusconi. In particolare, già la riforma Brunetta della Pubblica Amministrazione, il decreto 150/09, aveva attribuito carattere imperativo alle logiche “premiali”. Nella fattispecie della scuola, l’ex ministro della Funzione Pubblica aveva agito da una parte attraverso l’annullamento degli scatti di anzianità e dall’altra concedendo i finanziamenti pubblici solo alle scuole ritenute più produttive.

Ma se il sistema Brunetta ha cercato di introdurre il merito attraverso l’assegnazione dei fondi legandole alle prestazioni individuali e a quelle delle singole scuole, nell’ultimo anno il ministro Patroni Griffi ha abbandonato gli incentivi rivolti ai singoli lavoratori per puntare su quelli da assegnare alle scuole-aziende. Contemporaneamente, però, dallo stesso Governo la scuola ha anche subìto il taglio dei fondi rivolti agli istituti: per compensare la cancellazione delle 24 ore di insegnamento settimanali, attraverso la stessa legge di stabilità e per coprire l’una tantum destinata ai docenti per l’anno 2011.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief, siamo chiaramente di fronte a logiche inapplicabili al mondo della scuola: “prima di tutto perché la scuola non è l’università - sostiene il sindacalista – , visto che la formazione obbligatoria rientra nei servizi pubblici. In secondo luogo, adottando un criterio di meritocrazia all’istruzione pubblica si finirà inevitabilmente per danneggiare le scuole collocate in territori difficili e svantaggiati. Privandole dei pochi fondi che permettono oggi ai docenti di attivare progetti che danno sostegno ad una formazione scolastica svolta in contesti difficili, lo Stato di fatto condannerà gli alunni più svantaggiati, e i loro docenti, ad un percorso di crescita ancora più in salita di quello che il destino gli ha riservato”.

Per l’Anief non si tratta, peraltro, di difendere aree o territori particolari: “se al Sud persistono delle realtà sociali e lavorative particolarmente difficili, al Nord è concentrata un’alta percentuale di stranieri. Che a livello scolastico, attuando il comma 149, penalizzerebbe non poco le scuole frequentate dai figli. Fa pensare che a produrre una norma così inadeguata debba essere stato lo stesso Governo che solo poche settimane fa il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, lodava per le decisioni prese con l’intento di ridistribuire ‘competenze e capacità a favore delle zone più povere di mezzi e di saperi’. Ora, dopo questa legge di stabilità, direbbe la stessa cosa?”.