TFR – Ormai siamo alla vicenda kafkiana: la Presidenza del Consiglio dei Ministri smentisce se stessa, sovvertendo quanto stabilito tredici anni fa, facendo finta che nel frattempo non sia accaduto nulla.
Per il presidente dell’Anief, Marcello Pacifico, delle due posizioni solo una può essere esatta: se l’istituzione non ammette di aver sbagliato per tutto questo tempo, allora significa che abbiamo ragione noi a chiedere la restituzione dell’aliquota (in media 5-6mila euro) indebitamente sottratta dalla busta paga dei lavoratori.
Quella sul Tfr dei dipendenti sta diventando sempre più una vicenda kafkiana: l’ondata di diffide dell’Anief ha infatti costretto nelle ultime ore la Presidenza del Consiglio dei Ministri ad uscire allo scoperto sulla indebita sottrazione dallo stipendio dei lavoratori (in particolare di mezzo milione di dipendenti del Pubblico impiego, la metà dei quali in servizio nella scuola) del contributo previdenziale del 2,5% per l’accantonamento del trattamento di fine rapporto.
Contraddicendo se stessa e la Consulta, che con la sentenza 223 dell’ottobre scorso ha stabilito che lo Stato, in quanto datore di lavoro, non può versare un Tfr inferiore a quello di un’azienda privata, ora dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri giunge una nota web attraverso cui si sostiene che per lei rimane valido l’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, in l. 122 del 2010, e che pertanto "non ha competenza ad operare la restituzione degli importi operata in base alla predetta norma che è stata successivamente dichiarata incostituzionale dalla Corte".
Secondo l’Anief si tratta di una spiegazione davvero inadeguata: come fa la Presidenza del Consiglio dei Ministri a dichiararsi incompetente dal momento che, il 20 dicembre del 1999, ha emesso un decreto nel quale si stabilisce che “a decorrere dalla data dell'opzione prevista dall'art. 59, comma 56, della legge n. 449 del 1997 ai dipendenti che transiteranno dal pregresso regime di trattamento di fine servizio, comunque denominato, al regime di trattamento di fine rapporto non si applica il contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento della base retributiva previsto dall'art. 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152, e dall'art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032”?
Per Marcello Pacifico, presidente del giovane sindacato, tutto questo ha dell’incredibile: “quel decreto, emesso dalla stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri tredici anni fa, stabiliva che a partire dal 1° gennaio 2001 ai lavoratori passati dal regime di TFS al regime di TFR, regolato dall’art. 2120 del Codice civile per i privati, l’aliquota del 2,5% non si sarebbe mai dovuta applicare. Come mai – continua il rappresentante dell’Anief - oggi la stessa istituzione si dimentica quanto stabilito da lei stessa, nero su bianco, a suo tempo? Delle due strade solo una può essere percorribile. E siccome oggi la Presidenza del Consiglio dei Ministri sembra avere cambiato idea, almeno porga le dovute scuse e ammetta le sue colpe. Sostenendo che per tutti questi anni ha sostenuto una posizione sbagliata. Altrimenti sbaglia ora. Ed in tal caso l’Anief ha ragione a chiedere il rimborso di quei soldi indebitamente sottratti dalla busta paga dei lavoratori”.