Il criterio dei crediti didattici, nel Documento-ipotesi sulla Scuola (Ottava scheda)
Nel capitolo sugli “scatti di competenza”, è la nota più stonata
Nella scheda precedente abbiamo convenuto in linea di massima sull’accertabilità tecnica e sulla quantificabilità - ai fini della progressione di carriera dei docenti – dei Crediti scolastici (tutorship, mansioni aggiuntive e di responsabilità organizzativa) e dei Crediti formativi (pubblicazioni, Continous education, master, specializzazioni post lauream, corsi di aggiornamento). Non siamo, invece, d’accordo sulla valutabilità dei Crediti didattici che il Documento connota con riferimento “alla qualità dell’insegnamento in classe e capacità di migliorare il livello di apprendimento degli studenti”. Il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento e il superamento dei concorsi a cattedra sono probanti delle competenze didattiche, differenti a seconda ordine e grado di scuola in cui si insegna, con le quali gli insegnanti favoriscono, negli alunni, il conseguimento degli Obiettivi Specifici di Apprendimento e delle capacità e competenze in uscita dai corsi di studio (PECUP). Leggendo le schede tecniche allegate ai bandi dei concorsi a cattedra (ad es., l’all.3 al Decreto ministeriale 21 settembre 2012, n. 80) o i programmi d’esame allegati ai bandi di concorso a dd..ss. (ad es., il D.P.R.10 luglio 2008 n.140) si vede quale sia la mole delle conoscenze e competenze sulle quali i candidati sono vagliati da commissioni ad hoc. Occorre che le competenze didattiche siano sottoposte al periodico riesame di valutatori occasionali? E’ difficile individuare, nel pubblico impiego, una categoria che giunga alla professione attraverso una selezione altrettanto severa e, nel pubblico impiego, tutte le funzioni che richiedono il titolo universitario sono molto meglio retribuite (lo documenta l’ARAN, nel recente Rapporto semestrale sulle retribuzioni pubbliche). Da insegnante, sono orgoglioso nel costatare la vastità delle conoscenze e competenze didattiche necessarie ai docenti per presentare al meglio, agli studenti, i contenuti (“aggiornati”) delle proprie discipline di insegnamento; eccone un elenco parziale: - mediazione didattica efficace, chiara, ordinata, bene organizzata nei contenuti, ad modum cognoscentis; - specifica competenza epistemologica e sitobibliografica; - conoscenza delle Linee guida specifiche dell’ordine e del grado della scuola in cui si presta servizio, e delle Indicazioni nazionali; - competenza metodologica funzionale ai bisogni formativi degli alunni, anche in riferimento alle differenze di genere, alle pari opportunità e ai “bisogni speciali”; - conoscenza dei principali orientamenti didattici, psicopedagogici, e competenza delle dinamiche di gruppo; conoscenza delle migliori pratiche educative nei sistemi scolastici europei; - capacità di prevenire i fattori stressori e di gestire i rapporti educativi difficili; - attitudine all’ascolto e alla comunicazione attiva empatica; - competenza nella didattica multiculturale; - competenza docimologica; - capacità di usare efficacemente il corredo didattico multimediale; - competenza didattica per insegnamento CLIL; - capacità di progettazione curriculare ed extracurricolare; - competenza in ordine alle tecniche di autovalutazione della didattica; - competenza in materia di Continuità didattica e di Orientamento scolastico; conoscenza delle norme sulla ricerca didattica nelle scuole. Nel documento-proposta è scritto che i Crediti didattici saranno attribuiti ai docenti che saranno in grado di dimostrare la loro «capacità di migliorare il livello di apprendimento degli studenti». Super Renzi e i consiglieri del Principe pensano di valutare i docenti mediante l’esito delle prove Invalsi propinate agli studenti ? Il punto di vista dell’ANIEF è diametralmente opposto a quello che ispira il Documento-proposta: Dall’esito dei test INVALSI non si può ricavare una valutazione sulla qualità della didattica, perché a determinare il livello delle acquisizioni degli studenti interviene una pluralità di variabili (di difficile estrapolazione se non attraverso studi sociologici mirati) per lo più di natura ambientale connesse al livello culturale e allo status economico delle famiglie degli alunni. Vanno anche considerati i fattori che riguardano gli stessi alunni (capacità cognitive, motivazione, attenzione). La performance degli alunni ai test Invalsi andrebbe contestualizzata nella complessità dei processi educativi e formativi della singola scuola: risorse, tassi di frequenza e di abbandono; efficienza organizzativa della scuola, qualità delle strutture, qualità del corredo didattico strumentale). Incidentalmente facciamo notare la scarsa affidabilità dei test INVALSI: 1) in quanto sono standard, disancorati dalla didattica e dagli obiettivi programmati dalle singole scuole, e non tengono conto delle caratteristiche dell’utenza e del contesto territoriale; 2) in quanto alcuni sono risultati indecifrabili, confusi, contraddittori, secondo una dichiarazione rilasciata dalla presidente dell’INVALSI, Annamaria Ajello: “Ho provato a leggere le domande del test di seconda elementare, in alcuni casi ho dovuto leggerle due volte prima di capire la domanda. Non è ammissibile… Non si possono effettuare le prove sulla base di tranelli o furbizie. Non vanno rese più difficili i test ricorrendo a queste complicazioni…”. Secondo il nostro punto di vista - che è reciproco negativo della strategia di Renzi - chi resta ad insegnare in scuole di frontiera va gratificato economicamente, quali che siano le performance scolastiche dei suoi alunni. La valutazione della funzione docente non può riguardare risultati che non discendano dalla diretta responsabilità dei docenti e/o che solo parzialmente dipendano dall’efficacia della loro attività professionale. In materia di didattica, all’esito dell’apprendimento degli alunni concorrono più e, se i livelli di apprendimento degli studenti saranno considerarti tra i parametri per valutare la competenza didattica dei docenti, si rischierà di penalizzare ottimi professionisti che insegnano in scuole difficili, e di premiare pessimi docenti che lavorano con alunni avvantaggiati dall’ambiente familiare (il livello culturale e lo status economico) e dall’ambiente sociale. Argutamente è stata proposta una similitudine tra i medici e gli insegnanti: se i medici peggiori fossero quelli i cui pazienti hanno minori probabilità di guarigione, i peggiori medici sarebbero gli oncologi. Uno stesso professore può essere dapprima l’insegnante dei ragazzi che arrivano in aula dopo aver accudito agli animali in campagna e non eccellono per valutazione scolastica, e poi può essere l’insegnante di alunni di un ottimo quartiere residenziale, bene informati e aggiornati, con i quali elabora gli argomenti di studio in profondità e ai quali magari fornisce gli strumenti di problem solving cui gli estensori del Documento sembrano attribuire molta importanza sapendo anche che i processi culturali di maggiore spessore vanno oltre l’acquisizione di mere procedure applicative. Il bravo insegnante dell’esempio, non avrà potuto fornire questi strumenti alla classe dei pastori, ma per essi potrà essere stato decisivo, ad esempio, nel favorirne l’empowerment delle personalità. Occorre anche tenere presente che la responsabilità della didattica non è individuale ma collegiale. Operando in seno al Consiglio di classe, l’insegnante va valutato tenendo conto del fatto che i risultati del suo lavoro emergono dal concorso delle risorse umane di tutta la comunità scolastica. La dimensione “collegiale” dell’attività delle scuole è stata rimarcata con l’Autonomia scolastica. Opportunamente. Nelle fasi di preparazione ai concorsi per dd.ss. e per insegnanti, quante lezioni abbiamo tenuto o ascoltato sul concetto di Complessità orizzontale e verticale del sistema scuola, e su quello di Apprendimento organizzativo riferito all’autovalutazione delle scuole! I più giovani presidi e professori sono stati formati a concepire la funzione docente nell’ottica della collegialità: - attività collegiali “non di insegnamento” e, se deliberate dal Collegio docenti, lezioni deliberate nella quota di flessibilità organizzativa (art.5 DPR. 8 marzo 1999 n.275); - attività “funzionali all’insegnamento”, quali la programmazione di classe e di circolo o istituto, la valutazione degli alunni, gli scrutini, la documentazione. L’attività didattica dell’insegnante fa riferimento (vincolante, per la validità giuridica degli atti) agli indirizzi educativi delineati nel POF, e il d.s. è responsabile di questa conformità esercitando inderogabilmente il potere di impulso alla didattica.