MIUR e INVALSI fanno orecchi da mercante
La prova Invalsi non solo continuerà a incidere sul voto dell’esame di Stato a conclusione del primo ciclo di istruzione ma nel 2017 potrebbe essere sperimentata anche agli esami conclusivi del secondo ciclo. Il ministro Stefania Giannini continua a non tenere conto delle ragioni in dissenso che la base della Scuola manifesta e che, secondo l’ANIEF hanno fondate ragioni docimologiche. Purtroppo al MIUR si accorgono della Scuola militante soltanto quando si presenta con pentolame e mestoli.
° MIUR e INVALSI fanno orecchi da mercante
La prova Invalsi non solo continuerà a incidere sul voto dell’esame di Stato a conclusione del primo ciclo di istruzione ma nel 2017 potrebbe essere sperimentata anche agli esami conclusivi del secondo ciclo. Il ministro Stefania Giannini continua a non tenere conto delle ragioni in dissenso che la base della Scuola manifesta e che ha, a parere dell’ANIEF, fondate ragioni docimologiche. Purtroppo al MIUR si accorgono della scuola militante soltanto quando si presenta con pentolame e mestoli. La prof.ssa Anna Maria Ajello, da oltre un anno designata alla presidenza dell’INVALSI, è tornata di recente a dichiarare il suo pieno impegno per la cultura della valutazione: «che stiamo cercando di trasmettere ai docenti…» (Corriere della sera - 30/04/2015) e ha palesato i progressi che l’Istituto sta facendo in vista della sperimentazione dei test per l’esame di Stato al II ciclo. Insediandosi alla presidenza, l’anno scorso, la Ajello ebbe parole di critica sull’affidabilità dei test INVALSI, in quanto, disse, risultano, a volte, indecifrabili, confusi, contraddittori: “Ho provato a leggere le domande del test di seconda elementare, in alcuni casi ho dovuto leggerle due volte prima di capire la domanda. Non è ammissibile… Non si possono effettuare le prove sulla base di tranelli o furbizie. Non vanno rese più difficili i test ricorrendo a queste complicazioni…”. Leggendo quelle dichiarazioni sperammo che la Ajello avesse l’intensione di mutare la direzione impressa, nel triennio 2008-2011 di presidenza dell’economista Piero Cipollone, per recuperare la linea di un altro predecessore, il docimologo Benedetto Vertecchi (questi, nel 2001, lasciò la presidenza in dissenso dal ministro Moratti perché, disse, si era passati dal CEDE che aveva come scopo l’approfondimento e l’analisi, a una struttura che ha assunto altro ruolo: quello di sbirro, di sentinella (www.rassegna.it/articoli, 23.06.2011). L’inversione di tendenza non c’è stata come abbiamo riconosciuto in questa stessa rubrica di Aggiornamenti (“L’Invalsi ? Un muro di gomma !” - 13 febbraio 2015) riportando la delusione espressa dal prof. Giorgio Israel: “Che cosa volete che si possa discutere in queste condizioni ?... questo modo di procedere è il massimo dell’arbitrio”. Andiamo per ordine: l’esame di Stato conclusivo del primo ciclo. Il D.lgs n.59/2004 e il Decreto-Legge 07.09.2007 n.147 (convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2007, n. 176) hanno disposto la effettuazione, all’esame di Stato, di un test a carattere nazionale predisposto dall’Invalsi, volto a verificare i livelli generali e specifici di apprendimento conseguiti dagli studenti. Queste disposizioni sono state adottate malgrado che la funzione istituzionale dell’INVALSI (di cui al D.lgs. 19.11.2004 n.286) sia di effettuare non valutazioni degli alunni bensì «verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti, e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni di istruzione e di istruzione e formazione professionale…»). Sotto la gestione del ministro Gelmini, il DPR n.122 del 22.06.2009 ha disposto che il voto dell'Esame di Stato conclusivo del I ciclo sia costituito con la media dei voti in decimi ottenuti, da ciascun alunno, nel giudizio di idoneità e nelle singole prove (prove scritte di italiano e di matematica, test Invalsi di italiano e matematica, prove scritte nelle lingue straniere curricolari, colloquio); i ministri Profumo, Carrozza e Giannini hanno confermato che i test Invalsi concorrono a determinare il voto d’esame. Segnaliamo la eterogeneità tra le prove predisposte dalle commissioni d’esame di Licenza media, e questa prova Invalsi che non fa riferimento agli obiettivi programmati dai Consigli di classe né al contesto educativo nel quale si è sviluppato il percorso triennale di studi, ed è elaborata molti mesi prima della somministrazione, su un’entità, lo studente-tipo esiste solo nell’empireo della statistica; non sorprende, quindi, che per numerosi candidati l’esito delle prove Invalsi risulta difforme dagli esiti che questi riportano nella altre prove e come voto di ammissione riferito al curricolo triennale. L’incidenza pesante (per 1/6) nel computo della valutazione complessiva finale, dell’esito delle prove Invalsi, induce non pochi insegnanti a una didattica utilitaristica, appiattita sulle tecniche per superare i test (il c.d. Teaching for test,) e al conformismo su contenuti standard, di modo che è la valutazione a suggerire la programmazione didattica (il che è come mettere il carro davanti ai buoi). L’ingerenza dell’Invalsi nell’esame di Stato conclusivo del I ciclo è paradossale: per mesi e per anni, gli insegnanti effettuano continuativamente attività educativa ma, nel momento conclusivo, persone estranee a questo lavoro entrano a condizionarne l’esito producendo l’effetto analogo a quello che si avrebbe, durante l’esecuzione di una rappresentazione lirica, se un critico musicale piombasse nella buca dell’orchestra e, sulle note conclusive, assestasse le note di un altro spartito. Le scelte didattiche sono prerogativa degli insegnanti in seno al Collegio docenti e ai Consigli di classe, presieduti dal d.s., insegnante egli stesso che, per le scelte didattiche, fornisce un apporto decisionale nella forma della collegialità; l’ANIEF rifiuta che personale esterno alla Scuola possa intervenire nelle valutazioni degli alunni, per di più applicando criteri avulsi dalla programmazione. Abbiamo dura esperienza degli effetti distorsivi che la Terza prova scritta dell’esame di Stato del primo ciclo produce sull’assegnazione del voto complessivo finale degli alunni; ancora più questi guasti si avrebbero nell’eventualità che il MIUR introduca le prove Invalsi nell’esame di Stato conclusivo dei corsi di istruzione secondaria di II grado, e disponga che l’esito delle prove concorra nella determinazione del voto conclusivo. La normativa (art. 3, comma 2, della legge 11 gennaio 2007, n.1) attribuisce all’Invalsi un ruolo sussidiario: “La terza prova è espressione dell'autonomia didattico-metodologica ed organizzativa delle istituzioni scolastiche ed è strettamente correlata al piano dell'offerta formativa utilizzato da ciascuna di esse. Essa è a carattere pluridisciplinare, verte sulle materie dell'ultimo anno di corso e consiste nella trattazione sintetica di argomenti, nella risposta a quesiti singoli o multipli ovvero nella soluzione di problemi o di casi pratici e professionali o nello sviluppo di progetti; tale ultima prova è strutturata in modo da consentire, di norma, anche l'accertamento della conoscenza di una lingua straniera. L'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) provvede, sulla base di apposite direttive impartite dal Ministro della pubblica istruzione ai sensi del comma 3, alla predisposizione di modelli da porre a disposizione delle autonomie scolastiche ai fini della elaborazione della terza prova”. Il prosieguo del comma è, tuttavia, formulato in modo non univoco: “L'Istituto provvede, altresì, alla valutazione dei livelli di apprendimento degli studenti a conclusione dei percorsi dell'istruzione secondaria superiore, utilizzando le prove scritte degli esami di Stato secondo criteri e modalità coerenti con quelli applicati a livello internazionale per garantirne la comparabilità”. Se prove che l’INVALSI utilizzerebbe per valutare l’apprendimento degli studenti fossero quelle tradizionali (le due prove scritte e la III prova elaborata dalla commissione), e se i livelli da valutare fossero quelli collettivi, l’intervento dell’INVALSI sarebbe interamente post rem. Se, invece, il MIUR volesse sollevare le commissioni d’esame dall’incarico di predisporre la terza prova, per incaricarne l’INVALSI, resterebbe il fatto che la valutazione di questa prova “nazionale” disancorata dalla programmazione d’istituto non dovrebbe (nel rispetto dell’abc della docimologia) essere utilizzata per valutare i singoli alunni concorrendo alla determinazione del voto complessivo d’esame; dovrebbe servire - proficuamente, a nostro avviso - soltanto a fini statistico-comparativi. Allo scopo di evitare equivoci (e le speculazioni di chi accusa i professori di essere refrattari alle innovazioni), torniamo a dire che l’utilità del testing Invalsi è inoppugnabile ai fini statistici (e comparativi internazionali), come anche ai fini di fornire, alle scuole, elementi di autovalutazione e al MIUR elementi per la valutazione di sistema.
Leonardo MAIORCA