Il d.d.l. sulla Scuola: La grande scaltrezza
"Facite ammuina ! Forse questa volta ci liberiamo dalla Scuola pubblica”.
° Il d.d.l. sulla Scuola: La grande scaltrezza
Renzi avrebbe l’ambizione di riuscire dove altri governi hanno tentato e ha bisogno che faccia ammuina: se ne deve capire il meno possibile. Quanto agli insegnanti, la prima versione della riforma, nella consultazione-finzione on line targata Giannini, stabiliva che i docenti - sia i neoassunti destinati all’Organico di curricolo per classe di concorso, e all’Organico funzionale, sia quelli già di ruolo che andassero in mobilità (volontaria o d’ufficio) - fossero destinati alla sede di servizio dai dd.ss., a prescindere del merito acquisito con la formazione e con il servizio, e anche che ricevessero, o no, la retribuzione premiale, a discrezione del d.s (i 200 milioni destinati alla premialità dei “migliori”, anche se i criteri di assegnazione del salario rientrerebbero nella contrattazione sindacale decentrata RSU). Questa maniera di intendere la premialità richiama alla memoria la “Nota di qualifica funzionale” che, per disposizione di Mussolini, i presidi stilavano per i docenti e che la Riforma Misasi spazzò via; si può immaginare quali effetti, il mancato riconoscimento di premialità possa produrre, in termini di motivazione dei docenti, e quali conseguenze possa produrre, in termini di autorevolezza, nell’immaginario dei genitori consegneranno i propri figli a un insegnante così pubblicamente dequalificato. Quando Renzi mise mano d’autorità al testo Giannini, il ministro si dichiarò esterrefatto ma, passata armi e bagagli nel P.D., non pensò a dimettersi. Nel dicembre dello scorso anno, il Governo si trovò nella necessità di gettare nell’incertezza la platea di coloro che, per effetto della sentenza della CGUE, hanno titolo alla immissione in ruolo: sarebbero stati assunti tutti gli aventi diritto ? Soltanto 150mila ? 100mila? Nell’attuale versione della riforma, qual è nel d.d.l. 2994 approvato dalla Camera dei deputati e che adesso è all’esame del Senato con il n.1934, una mano furtiva (il Dominus, ovviamente, come ha fatto in altre circostanze) ha introdotto la norma che priva i docenti neoimmessi in ruolo della titolarità della sede lavorativa: soltanto i docenti; né gli altri dipendenti delle scuole né quelli di altri comparti della PP.AA. Sulle ragioni che inducono i decisori politici a infierire sulla funzione docente non esistono spiegazioni di natura pedagogica o didattica; lo’unica spiegazione razionale è che abbiano necessità di dequalificare i docenti a lavoratori subordinati per continuare a pagarli com’è adesso. Il costoper i cittadini, i termini educativi e culturali generali, sarebbe enorme perché quella degli insegnanti non può essere una funzione subordinata, comportando l’assunzione di scelte didattiche e docimologiche e la connessa responsabilità delle scelte, verso studenti e famiglie. •- Lo insegnano i pedagogisti (la scuola è una comunità nella quale gli insegnanti cooperano applicando le competenze acquisite in sede di formazione, alla quotidiana relazione con gli alunni); •- lo testimoniano i bandi dei concorsi a cattedra (nell’elenco delle competenze richieste ai candidati); lo sancisce formalmente il profilo professionale (nel Titolo II della legge 11 luglio 1980, n. 312, recante “Nuovo assetto retributivo e funzionale del personale civile e militare dello Stato”; •- lo stabilisce la Costituzione. Ciò che in questo d.d.l. appare più grave è che contraddice norme costituzionali; ci riferiamo, nell’art.33, alla locuzione “senza oneri per lo Stato” e alla libertà di insegnamento. Quanto a questa, la sua tutela è connessa al diritto (che si ottiene per concorso) alla titolarità della sede lavorativa; questo d.d.l., invece, prevede per gli insegnanti, la titolarità di un generico ruolo pubblico dal quale poi essere destinati all’insegnamento (anche per materie “affini” a quelle per le quali si è abilitati) o a lavoro funzionale alle esigenze della Scuola; come se si fosse vinto un concorso per qualsiasi ruolo lavorativo e per qualsiasi sede di lavoro. Nella pubblica amministrazione si entra per concorso ed è improponibile che gli “ambiti regionali” non riportino la collocazione degli iscritti secondo il punteggio quale avevano nelle graduatorie di provenienza (dal “doppio canale” di reclutamento di cui alla legge n. 417/1989, quello dei concorsi a cattedra (il più recente è quello di cui al Decreto MIUR del 24 settembre 2012) e quello istituito con la c.d. Legge Fioroni (articolo 1, comma 605, della legge n. 296/2006, che ha trasformato le Graduatorie permanenti in Graduatorie ad esaurimento). Per queste ragioni, la “chiamata diretta” è stata bollata come incostituzionale dalla Consulta, in due occasioni, e contiamo che tornerà ad essere bocciata. Renzi pagherà, in termini politici. Questa sua miope ostinazione, lo Stato la pagherà con i risarcimenti record che saranno imposti dai tribunali, presso i quali l’Anief assisterà i ricorrenti. Attraverso la Direzione generale occupazione, affari sociali e inclusione, la Commissione Europea ha risposto a un ricorso contro l’abuso di precariato spiegando che rimane aperta la procedura d'infrazione, perché permane la disparità di trattamento tra precari e personale di ruolo su progressione di carriera e accesso ai ruoli dirigenziali. “Con ogni ricorso che potenzialmente costa allo Stato tra i 30mila e i 50mila euro – ha chiarito Pacifico - allo Stato, non conviene di certo non assumere il personale avente diritto”. Criticando la concezione di fondo del d.d.l., l’ex senatrice PD Mariangela Bastico, già sottosegretario nel 2008, al tempo dell’ultimo governo Prodi, ha dichiarato: “Il governo o chi ha scritto la riforma non vuole comprendere che la scuola non è paragobabile a un altro luogo di lavoro. Non è un’azienda, né un’organizzazione gerarchica e invece si tende a pensare che sia cosi. La scuola è invece una comunità dotata di un elemento caratterizzante: la relazione quotidiana, prolungata nel tempo, per anni e anni, tra adulti e adolescenti. Ed è il luogo delle relazioni tra adulti e bambini e adolescenti. Questo aspetto, cioè che siamo dentro una comunità educante fondata su relazioni durature tra adulti e adolescenti, e tra adulti, è completamente ignorata. Si utilizzano strumenti organizzativi che sono propri di un’azienda o di una pubblica amministrazione, che invece sono diverse”. (Orizzontescuola.it – 28 maggio 2015). Dinanzi ai membri degli Uffici di Presidenza congiunti, delle VII commissioni di Palazzo Madama e di Montecitorio, Marcello Pacifico è stato in grado (come pure altri rappresentanti sindacali) di parlare in modo documentato; al contrario, i politici presenti sono apparsi incerti e dubbiosi su molti punti. Ciò vale, in particolare, per la Puglisi - già designata “relatrice” del testo emendativo che la Commissione presenterà all’Aula di Palazzo Madama -, costretta a sostenere tesi insostenibili e a tentare inutilmente di controbattere quanto la rappresentate Unicobas prospettava, e cioè che le scelte dei singoli d.s. finiranno con il sovvertire le gerarchie meritocratiche delle graduatorie. I senatori del M5S (tra i presenti, quelli che sono sembrati maggiormente pensosi, nella necessità di capire su quali dati si stia ragionando) hanno posto domande specifiche utili a diradare la cortina di incertezza creata dal Governo, volutamente (se serve a irretire il legislatore e la pubblica opinione) o perché è stretto tra l’incudine (l’ottanta per cento dei lavoratori della Scuola valuta negativamente il disegno di legge, e adesso c’è il voto per le elezioni regionali), e il martello (i gruppi di interesse esterni alla Scuola che vogliono ottenere da Renzi ciò che hanno inutilmente tentato da Monti e Letta, e che solo in parte erano riusciti ad ottenere da Moratti, Aprea e Gelmini). Acutamente, in audizione è stata evocata – riferendola al Governo - la formula usata, in sede di valutazione, per certi studenti: “Pur se opportunamente guidato, non dimostra di sapersi orientare”. Nella VII Commissione della Camera, i deputati dando a vedere che si erano orientati hanno fatto passare gli emendamenti proposti dalla relatrice, on. Maria Coscia e poco altro; ma avevano un compitino semplice, vista la straripante maggioranza di cui il governo gode a Montecitorio (numeri che scaturiscono da un “premio” stabilito con una legge elettorale già dichiarata incostituzionale). Al Senato, invece, i commissari sono costretti a vederci chiaro. A richiesta del senatore Bocchino, Marcello Pacifico ha snocciolato perentoriamente i dati su cui ragionare: le leggi che conferiscono gli abilitati lo status di vincitori di concorso, e i numeri dei docenti aventi diritto all’assunzione. Riportiamo alcuni dei numeri. 108mila sono i docenti che Renzi assumerebbe da settembre (ma, la legge di Stabilità 2015 ha disposto finanziamenti sufficienti per 150mila); 30mila sono gli insegnanti iscritti nelle GE Infanzia dei quali Renzi posterga l’assunzione; 50 mila sono i docenti diplomati magistrali per i quali il Consiglio di Stato ha riconosciuto il valore abilitante della laurea; 90mila abilitati sono fuori dalle GaE ma hanno fatto o faranno ricorso perché rientrano nella sentenza della CGUE; ci sono coloro che hanno conseguito la laurea in Scienze della formazione primaria, dopo il 2011; ci sono le migliaia di aventi diritto all’assunzione in quanto risultati idonei nei concorsi pubblici; ci sono 12mila abilitati del primo TFA e 12 mila del secondo TFA; 66mila sono gli abilitati nei PAS. Si consideri che, pur con i 10 mila docenti di Sostegno di cui l’ex ministro Carrozza ha disposto l’assunzione con il prossimo a.s., l’organico di Sostegno resta sottodimensionato (in pratica occorrerebbero 120mila docenti, a fronte di 240000 alunni). Quanto agli iscritti nelle GI di seconda fascia (circa 150miladocenti), bisogna sapere che in questo a.s. hanno lavorato con 75mila contratti a t.d. (un insegnante su 10, dei nostri figli, proviene da queste graduatorie); e anche nella III fascia ci sono docenti con il requisito dei tre anni di servizio stabilito dalla CGUE (si calcolano in circa 28mila, degli oltre 300 mila iscritti). Secondo i dati del MIUR, a maggio 2015, le tre graduatorie in cui sono inseriti tutti i precari della scuola italiana assommavano a 610 mila unità, undicimila in meno dell’estate scorsa; tuttavia, moolti di questi precari rientrano contemporaneamente in più di una categoria. “Non aver fatto i conti fino in fondo con la riforma Gelmini rimane tutt’ora il vero problema del ddl, non semplice svista ma una scelta politica voluta che rischia di far franare l’intera impalcatura della Buona Scuola” (Pippo Frisone, ScuolaOggi, 28.05.15). Siamo d’accordo: Il tandem Tremonti/Gelmini ha prodotto (a regime, in tutto) quasi 200mila tagli; prima del passaggio della Gelmini, la Scuola si avvaleva di 1.210.000 addetti (adesso sono poco più di un milione); i ministri successivi si sono guardati bene dal rimediare. A fronte di un numero costante o in lieve crescita di alunni, le esigenze della Scuola sono un “fatto” che frantuma le fole dei politici. Leonardo MAIORCA