L’enigma dei docenti vagantes
Le motivazioni per cui il Governo ha formulato l’art.9 del DDL n. 1934, quello cruciale, decisivo del consenso e del dissenso all’intero disegno di legge, restano oscure. E c’è chi aggroviglia l’enigma.
° L’enigma dei docenti vagantes, di cui all’art.9 del DDL n. 1934
Lunedì scorso, la VII Commissione del Senato ha votato pochi emendamenti (agli artt.1 e 3); ieri, martedì ha atteso il parere (vincolante) della Commissione Bilancio sul d.d.l. n.1934. Nel testo governativo sul quale pendono gli emendamenti dinanzi alla VII Commissione, l’art. 9 stabilisce: •- che per la copertura dei posti dell’istituzione scolastica, il d.s. proponga incarichi triennali ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento, anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi; •- che il d.s. possa utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati, purché posseggano titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina e percorsi formativi/competenze coerenti con gli insegnamenti da impartire. L’Anief ritiene il testo del primo periodo potenzialmente lesivo dei diritti dei docenti più titolati quanto a merito ed esperienza di insegnamento (perché il d.s. potrebbe non tener conto del punteggio di ciascun candidato posseduto nelle graduatorie di provenienza); l’Anief giudica il testo del secondo periodo un’assurdità che subordina la qualità dell’offerta formativa a ragioni di risparmio erariale. In sostanza, riteniamo che l’assunzione del neoimmesso in ruolo su posti comuni e di sostegno debba comportare l’assegnazione a t.i. della titolarità presso un istituzione scolastica specifica in base alla collocazione dell’insegnante nella graduatoria di provenienza e delle preferenze che esprime (fermo restando che verso l’insegnante eventualmente incapace o negligente il d.s. potrà continuare ad esercitare i poteri attualmente contemplati nella normativa). L’assegnazione nell'organico dell'autonomia potrà essere, a parere nostro, per una rete di scuole ma sempre con riferimento alle preferenze che l’interessato esprime e alla sua collocazione nelle graduatorie di provenienza. Della nostra stessa idea sono non pochi senatori membri della VII Commissione permanente, alcuni dei quali fanno parte della maggioranza di Governo. Alcuni articoli di questo art.9 del disegno di legge, pur cruciali dei consensi possibili, restano oscuri: c’è chi minimizza e c’è chi l’aggroviglia. In buona fede ? Con cognizione di cause che noi sconosciamo ? Con ipocrisia ? Con incompetenza circa dell’essenza dell’insegnamento ? Con la cinica difesa di interessi di parte, ai quali sacrificare la mission stessa della Scuola statale ? Nel testo di questo art.9, noi non lo riusciamo a intravedere neanche un solo un vantaggio per la Scuola. C’è come una dissonanza cognitiva tra l’elite dei decisori politici che “vedono” (ma non “svelano” ai “dormienti”) questi vantaggi, e i molti – tra i quali noi stessi, i 600 mila del 5 maggio scorso e la gran parte dei parlamentari proponenti emendamenti all’art.9 del nostro d.d.l. L’on. Francesca Puglisi, designata relatore di maggioranza per l’esame del d.d.l. n.1934, non disvela la ratio che ha ispirato i demiurghi di questa bella idea e, per di più, contribuisce ad aggrovigliare l’enigma sostenendo che questa chiamata diretta non ha le caratteristiche della chiamata diretta contro la quale il Governo Monti si oppose, con successo, dinanzi alla Corte costituzionale, per bloccare l’iniziativa dell’assessore lombardo Valentina Aprea. La Puglisi ha anche ironizzato sul “terrore” immotivato che, a suo dire, pervade i professori; riportiamo: Sulla proposta, lanciata da Anief, di graduare i futuri ambiti in modo che nella scelta dei docenti i dirigenti siano vincolati dai maggiori punteggi, Puglisi ha detto: i professori "vengono già attributi all'albo sulla base del punteggio in graduatoria, è specificato nelle norme approvate alla Camera, quindi non si capisce perché questo terrore del dirigente scolastico. La valutazione dei titoli viene fatta lì, nell'abbinamento alle scuole". (Orizzontescuola.it del 28 maggio 2015). L’on. Puglisi smercia per “terrore” la indignazione diffusa tra i cittadini dinanzi a una previsione di legge che offendendo il buon diritto di coloro che hanno maggiori titoli e punteggi di servizio prova ad aggirare la norma costituzionale dell’accesso mediante pubblico concorso e quella della libertà di insegnamento (libertà che va tutelata riconoscendo la titolarità lavorativa per la qualifica per la quale il concorso è indetto, e nel rispetto della graduatoria concorsuale. “Sulla incostituzionalità di questo disegno di legge – ha dichiarato il presidente dell’ANIEF, Marcello Pacifico – ci siamo espressi più volte. E non solo noi: la scorsa settimana, si è detto di questo parere anche la Commissione Affari Costituzionali del Senato, dove non ci risulta che siedano dei sindacalisti. Anziché proseguire in questo vicolo cieco, la maggioranza parlamentare farebbe ancora in tempo a tornare indietro, per percorrere finalmente la strada che tutti, indistintamente, indicano da mesi”. La chiamata diretta del docente, da parte del d.s., e la premialità del “merito” affidata al d.s. rendono inoperante di fatto la libertà di insegnamento e, con ciò, compromettono l’efficacia dell’azione educativa nelle scuole. La funzione del d.s. è sovra ordinata a quella dell’insegnante sotto il profilo organizzativo e amministrativo ma non lo è sotto il profilo didattico, educativo, docimologico, progettuale; sotto questi profili, l’orientamento del d.s. vale un voto, in Collegio Docenti, al pari del parere di ciascun insegnante, e ciò per l’ovvia ragione che ogni d.s. ha competenza epistemologica e didattica solo per insegnamenti dell’area disciplinare per la quale è abilitato e ha fatto esperienza nelle classi. Secondo la vigente normativa: “… Il dirigente scolastico esercita le funzioni di cui al decreto legislativo 6 marzo 1998, n. 59, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali. I docenti hanno il compito e la responsabilità della progettazione e attuazione del processo di insegnamento e apprendimento” (art.16, D.P.R. 275/1999. L’indignazione dei cittadini nasce dal costatare che questo d.d.l. introduce nella Scuola la prassi del favoritismo, tanto diffusa nel Paese nel quale un criterio per le assegnazioni delle cattedre universitarie e dei posti di sottogoverno negli EE.LL. è il familismo, un criterio per l’assegnazione senza gara d’appalto delle commesse pubbliche è l’affarismo corruttivo, un criterio per l’attribuzione della titolarità di funzioni nelle amministrazioni pubbliche è lo spoils system (locuzione che vorrebbe nobilitare la spartizione delle “prede”, e dei “bottini”, spoils appunto, in modo da garantire gli interessi di chi ha il potere di nominare e attribuire). Fino ad oggi la Scuola è rimasta immune da questi stigmata. Perché contagiarla ? Scartiamo l’ipotesi che una persona di media intelligenza possa immaginare giovevole, con saldo positivo per il sistema scolastico in generale, il fatto che alcuni dd.ss. possano scegliere i docenti migliori (e premiarli in denaro) lasciando ai dd.ss. delle altre scuole i docenti che non meritano. Analogamente, scartiamo che si possa attribuire al d.s. la capacità di valutare le capacità professionali di un insegnante senza averlo visto al lavoro, e quindi scegliendolo, con chiamata diretta, fin dall’avvio dell’anno di prova per regioni professionali e non per altre ragioni. Né potremmo dare il voto di sufficienza, in Logica, a coloro che ritengono professionalmente proficuo che l’insegnante debba, per volontà altrui e per tutto il periodo lavorativo, trasferire periodicamente il domicilio proprio e quello di moglie e figli, né un voto di sufficienza a coloro che immaginano vantaggioso all’apprendimento degli alunni vedersi assegnare nuovi docenti a un ritmo maggiore dell’attuale (il dimensionamento delle cattedre, a 18 ore, provoca già l’avvicendamento continuo, di anno in anno). Non possiamo, invece, di scartare l’ipotesi che con questa Buona scuola, i nostri dirigenti politici stiano eseguendo (appecoronati) direttive sovranazionali (non sarebbe la prima volta), né possiamo scartare l’ipotesi che alcune organizzazioni di dirigenti scolastici stiano esercitando lobbying sul Governo mirando ad entrare nel “Ruolo unico” della dirigenza pubblica: “La legge di riforma della Pubblica Amministrazione, in discussione alla Camera per l’approvazione definitiva dopo l’ok del Senato, prevede all’art. 9 la delega al Governo per il riordino della dirigenza pubblica…. E’ prevista l’istituzione del ruolo unico della dirigenza pubblica con “esclusione dai suddetti ruoli unici della dirigenza scolastica, con salvezza della disciplina speciale in materia di reclutamento e inquadramento della stessa”… Nessuna parte della delega al Governo prevede in qualche modo per i dirigenti scolastici un trattamento giuridico ed economico assimilabile a quello della dirigenza pubblica. Si tratta di carenza non comprensibile, soprattutto se si considera il nuovo carico di responsabilità che verrà ad aggiungersi alla funzione per effetto della riforma della Buona Scuola”. (TuttoscuolaNews n.697 del 15 giugno 2015). Questa legittima aspirazione dei dd.ss., al riconoscimento, non impedisce, comunque, che alcune organizzazioni di dd.ss. dissentano dal testo dell’art.9 del disegno di legge n.1934. La più plausibile spiegazione della ratio dell’art.9 è, forse, che il Governo intenda dequalificare la funzione docente: privandola di specifiche prerogative e responsabilità nelle scelte culturali ed educative, o riducendola a mera funzione subordinata nell’esecuzione della trasmissione del sapere (ad esempio, di software didattico standard). Allora sì che lo Stato avrebbe un risparmio erariale retribuendo lavoratori subordinati e non professionisti responsabili delle scelte educative e didattiche, ma il prezzo in termini culturali e civili sarebbe enorme. Quale ricaduta avrebbe, sulla qualità del servizio scolastico, il demansionamento della funzione docente a funzione subordinata, ove il d.s. fosse investito della prerogativa di scegliere la sede di servizio degli insegnanti ? L’inquadramento della funzione docente, nel pubblico impiego, è una questione tutta politica: scaturisce dal livello di civiltà al quale la classe dirigente intende orientare la popolazione. Un riferimento storico:“[…] I posti di ruolo e gli incarichi di insegnamento di qualunque specie sono scelti e conferiti dal preside che sceglierà tenendo prioritariamente conto del servizio militare in reparti combattenti e dei risultati conseguiti in pubblici concorsi a cattedre”. (G.U. Regno d’Italia, 2.6.1923 n.129, art.27).In questo d.d.l. renziano perfino manca il riferimento al criterio che Mussolini inseriva dei risultati conseguiti in pubblici concorsi a cattedre. In sostanza, il d.d.l. consegna le scelte professionali dell’insegnante al dirigente scolastico, eppure, l’insegnamento è un lavoro caratterizzato da: 1- elevate conoscenze disciplinari e pluri-specialistiche (la base teorica di conoscenze acquisite con la laurea) e da necessità di aggiornamento; 2- elevata complessità dei problemi didattici (da affrontare mediando nella pratica quotidiana modelli teorici) ed elevata ampiezza delle soluzioni possibili affidate alla responsabilità personale; 3- relazioni dirette di natura negoziale e complessa all’interno della comunità educativa, e dalla funzione pedagogica di natura diretta verso ciascun allievo; 4- attività di analisi, ricerca, studio, in funzione della redazione di atti e della programmazione educativa. 5- compiti di assistenza e consulenza specialistica agli utenti. Come tale, l’insegnamento è professione specialistica, alla pari del lavoro di pubblici dipendenti i cui profili sono identificabili in figure quali:“Farmacista, psicologo, ingegnere, architetto, geologo, avvocato, specialista in attività socio assistenziali, culturali e dell’area della vigilanza, giornalista pubblicista, specialista in attività amministrative e contabili, specialista in attività di arbitrato e conciliazione, ispettore metrico, assistente sociale, segretario delle istituzioni scolastiche provinciali”. (CCNL 31/03/1999, All.Categoria D). Simonetta Delle Donne ha segnalato, all’interno di questa categoria D,“la distinzione esistente nel campo delle attività, tra la sfera amministrativa e quella tecnica, dove nel primo caso occorre raffinare e spendere una capacità di gestione/ coordinamento/organizzazione delle risorse, cioè un potere che si sviluppa in senso orizzontale, mentre nel secondo caso si tratta di esercitare un sapere verticale, una prestazione specialistica settoriale, che si potrebbe definire quasi sempre scientifica e che comprende varie professionalità”. (Il funzionario amministrativo nelle autonomie locali”, in "Filodiritto" - 19 settembre 2007).
Leonardo MAIORCA