Scuola: Aggiornamenti in progress - lunedì, 6 febbraio 2012

° Precariato. Almeno se ne parli con proprietà lessicale
La questione del lavoro “precario” va analizzata: 1) nel rispetto della civiltà giuridica; 2) nella sua valenza esistenziale; 3) nell’ottica del rapporto economia/politica. E ci attentiamo che il governo sia in condizione di affrontarla compiutamente con riferimento a questi tre giganteschi aspetti. Marginalmente, poiché la cronaca a ciò ci induce, ci auguriamo che termini quali “sfigato” siano più appropriatamente usati, e che non accada che si usi il termine “precario” come sinonimo del termine “spensieratezza” o del termine “divertimento”.
Ogni parola è portatrice di una connotazione; il suo compito è di trasmetterla nel tempo e nello spazio consentendo alle persone di relazionarsi, comunicare, capirsi. L’aggettivo sostantivato “precario” viene dal latino, e nella sua etimologia richiama la parola preghiera. Lo abbiamo segnalato, lo scorso ottobre, pubblicando in questo sito, nella rubrica di rassegna stampa, l’abstract del lungo articolo (pubblicato sul trimestrale “Libero Pensiero”) di Marina Boscaino “Professione precario: come una generazione sempre più ampia viene privata di ogni diritto”. Eccone l’incipit ma invitiamo a leggere l’abstract: La parola "precario", aggettivo che il disastro contemporaneo ha sostantivizzato, "il precario", "i precari", secondo un’ipotesi etimologica terrebbe in sé il tema del precor (prego), che a sua volta sembra derivare da posco (chiedo). Precario significa "ottenuto come favore con preghiere". Un percorso, dall’originario "chiedere" al "pregare", che riflette quello - culturale, sociologico, esistenziale - che lo sconfinato esercito dei precari è costretto a vivere. Quanto alla cronaca recente di due dichiarazioni di governanti, ci auguriamo che in futuro si evitino frasi che si prestino ad equivoci e, peggio, che contribuiscano a sprofondare ancora di più nell’isolamento i giovani precari. Detto ciò, e non indugiando a ironizzare su dichiarazioni estemporanee infelici, veniamo al dunque:
1. Alla nascita della Repubblica, i Padri costituenti ne battezzarono il primo articolo con la parola “lavoro”, e costruirono tutto il testo su di essa: le istituzioni esistono per essa, sono funzionali ad essa, ruotano intorno ad essa. Se la Legge parlasse, direbbe che è contrario allo spirito della Costituzione tenere il lavoratore nella condizione dell’eterno postulante.
2. Quella della precarietà sempiterna è una condizione umana ? Occorrerebbe qui accennare a categorie filosofiche (quali l’alea delle possibilità, la scelta, il ritorno impossibile) che risparmio. Però, anche in riferimento alla sparata sugli “sfigati”, del giovin signore sottosegretario, devo supporre che chi non ha esperienza diretta della difficoltà di trovare lavoro non possa capire. L’impressione è che molti sconoscano la condizione lavorativa dei precari, perché sono stati canalizzati al lavoro o dai genitori (lecitamente nel settore privato, illecitamente in quello pubblico) ovvero, nel Sud d’Italia, da enti pubblici che assumono (anche qui in spregio alla Costituzione) senza concorso i clientes. Ma è così difficile fare rispettare la Costituzione ? Il precario della scuola è nella condizione del giocatore perdente al tavolo da poker: non può alzarsi senza lasciare tutto (in alcune classi di concorso, oltre 10 anni nei quali facendo supplenze si è precluso altre strade lavorative); e se, con forza di volontà e carica di speranza, accetta, nella giostra del mercato di lavoro precario, un giro fuori dalla scuola (ad es., un contratto a progetto, o un master che non lo porta a nulla), dovrà poi chiedersi (senza risposta possibile) quanto gli sia costata la libera uscita, per numero di colleghi che lo hanno scavalcato in graduatoria. E’ costretto a scelte tutt’altro che monotone, ha ragione Monti, ma deprimenti.
3. Del rapporto economia-politica-lavoro giovanile, abbiamo trattato nell’Aggiornamento del 22 novembre scorso, sottotitolando: “E’ questo il tema del momento, e rischia di essere una pietra di inciampo per Monti”; senza entrare nella questione economica né in quella politica, ci limitavamo a proporre un giochino in materia di consequenzialità logica, anche per capire fino a che punto il Mercato globale sia prevalso sull’ethos. E concludevamo che, per chi non ritenga che lo Stato sia lo strumento del capitale) l’economia deve essere subordinata alla politica. E’ pur vero che dopo la caduta del Muro di Berlino, il capitalismo (quello becero e miope) si sia tolto da sotto la gonna della politica e si sia messo a pranzo per mangiarsi il pianeta. Vantiamo, come Anief, di esserci opposti alla politica della Gelmini giudicandola priva di strategia culturale, in quanto dettata prevalentemente da decisioni di politica economica. Adesso non vorremmo dover ricominciare, e non per effetto di estemporanee dichiarazioni di governanti ma osservando i tentennamenti (ItaliaOggi del 31 gennaio) in“Tanti annunci ma zero risorse”, e in “Organici, riforma al rallentatore”: la Ragioneria Generale avrebbe stoppato sull’Organico dell’autonomia, per il pericolo del possibile aumento della spesa !