° Nell’apprendistato, la formazione culturale non può essere residuale né facoltativa
Non convince la modificazione che il ministro del Lavoro Poletti ha introdotto al comma 3 art.4 D.Lgs. 14 settembre n.167: la novità ha un prezzo sproporzionato.
E’ in vigore dal 21 marzo il d.l. n.34/2014 recante: “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”. Al Capo I “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a termine e di apprendistato”, l’Art. 2: “Semplificazione delle disposizioni in materia di contratto di apprendistato” stabilisce: 1. Sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 2…(omissis…); b) all'articolo 3 (omissis…); c) all'articolo 4, al comma 3, le parole: «, e' integrata,» sono sostituite dalle seguenti: «, puo' essere integrata,». Vediamo il testo che viene modificato: “Art.4.3. La formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilita' della azienda, e' integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali per un monte complessivo non superiore a centoventi ore per la durata del triennio e disciplinata dalle Regioni sentite le parti sociali e tenuto conto dell'eta', del titolo di studio e delle competenze dell'apprendista”. Il sollevare le aziende dall’obbligo («e' integrata», diventa «puo' essere integrata») costituisce una modificazione del d.lgs. n. 16/2011 sostanziale sotto il profilo formativo, e che produce un saldo algebrico negativo tra il danno che provoca e il connesso vantaggio. Non sappiamo immaginare quale intralcio queste quote di formazione possano costituire, tanto gravoso da distogliere i datori di lavoro (che vengono incentivati con sgravi fiscali) dall’attivare i contratti di apprendistato. Inoltre, ci resta il dubbio se la novità abbia applicazione retroattiva o se sarà applicata ai contratti successivi al 20 marzo 2014. Chiediamo comunque che, nell’iter di conversione, il d.l. sia modificato, e che il premier Renzi abbandoni la rigidità per cui, dinanzi alla Direzione del P.D., l’ha qualificato “immodificabile”. Argomentiamo. Nell’Italia del Secondo Dopoguerra, l’apprendistato ha contribuito a fare uscire l’Italia dalla povertà conseguente alle distruzioni belliche, funzionando come contratto "a causa mista". Progressivamente, però, i decisori politici ne hanno indebolito la componente della formazione per le competenze di base e trasversali che ciascun apprendista era tenuto a effettuare (in parte all’interno dell’azienda e in parte nel sistema “pubblico” di istruzione e formazione): dalla previsione delle 120 ore annuali di formazione disposte col d.lgs 276/2003 (governo di Centrodestra) siamo scivolati alle 120 ore nel triennio (T.U. del 2011 sull’Apprendistato) e alla facoltatività della formazione se non finanziata dalle Regioni (2013, governo Letta). Si è anche perduto l’obbligo (previsto, ancora, nel d.lgs n.167/2011) di accompagnare il Contratto di apprendistato con il Piano formativo individuale (introdotto nel 1996 con la legge Treu) comprensivo delle attività di istruzione “trasversale” programmate. E dire che nel 2010, lla Cassazione (sentenza n.19834) aveva stabilito che l’apprendistato deve avere un contenuto formativo, in forza della subordinazione delle agevolazioni contributive, non solo in conseguenza dell'obbligo di formazione in capo al datore di lavoro ma anche alla partecipazione a iniziative di formazione esterne previste dai contratti collettivi nazionali. Proposta. L’apprendistato deve conservare la “gamba” formativa, da esogarsi (e certificarsi, nell’ottica della Lifelong Education e della valenza, ai fini dell’inquadramento contrattuale, dei titoli acquisiti dai lavoratori in qualunque tipo di percorso di apprendimento) anche fuori dall’azienda, nel sistema pubblico. Approviamo che l’apprendistato si caratterizzi per l’applicazione all’esperienza lavorativa ma sappiamo che oggi tutti i lavori richiedono, oltre che conoscenze tecniche, capacità di pensiero autonomo, di organizzazione, comunicazione e apprendimento continuo. Occorre che le aziende continuino a supportare obbligatoriamente la formazione culturale degli apprendisti secondo un Piano formativo individuale, ed è necessario che le Regioni continuino a fornire agli apprendisti la formazione trasversale: in entrambi i casi si tratta di attività formative che configurano una sorta di investimento in capitale umano, cioè che danno utili alla lunga, in termini di qualità professionale e di produttività della forza lavoro. Ancor più questa esigenza è imposta dal fatto che con l’art.48 comma 8 della Legge n.183 è stato stabilito che “…l'obbligo di istruzione di cui all'articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, si assolve anche nei percorsi di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione di cui al predetto articolo 48 del decreto legislativo n. 276 del 2003”. E’ possibile fingere che, compiuti i 15 anni di età, la persona non abbia bisogno di proseguire nella formazione culturale ? Il ministro Giannini non fa viste di accorgersi di questo impoverimento dell’apprendistato -e plaude (Fonte: lastampa.it - 13/03/2014) alla semplificazione nelle modalità di contrattualizzazione: “Sarà superata la necessità di una causale prevista dalla legge Fornero che è stata causa di molti pasticci”).