Il ministro Giannini promette: mai più precari in cattedra. Ma per regolarizzare 120mila docenti e dare speranza alle altre centinaia di migliaia di tirocinanti in attesa servirebbe molto più di quanto annunciato. Anche perché negli ultimi anni gli istituti scolastici hanno perso sei miliardi di fondi.
Suonano le trombe: «Il governo intende eliminare il precariato nella scuola». Il Partito delle grandi promesse conquista la scena. E dal palco del meeting di Rimini la titolare del ministero dell'IstruzioneStefania Giannini si impone sui media promettendo una riforma epocale, che dovrebbe essere presentata venerdì in Consiglio dei ministri. La parola chiave è: stabilizzare i precari della scuola. Un impegno che l'esponente montiana aveva già preso a inizio mandato, nel suo discorso programmatico alla Commissione Cultura della Camera , e sul quale da mesi lavora con un obiettivo preciso: trovare le risorse. Di fatto, i contenuti proposti sul palco di Cl sono gli stessi presentati il primo aprile ai deputati. Ma ora si è sul punto di procedere, e lo stesso premier Matteo Renzi sembra non aver gradito il protagonismo della collega su un tema a lui tanto caro quanto quello della scuola.
Nella rincorsa di dichiarazioni, commenti e presenze, restano nebulosi i numeri. Alcuni sono granitici, e vanno ricordati. Il primo è il taglio alle risorse stanziate per l'istruzione scolastica pubblica: le classi italiane, dalla scuola dell'infanzia alle superiori, hanno perso negli ultimi cinque anni sei miliardi di euro di fondi. Posti tagliati, portafogli chiusi per rinnovare materiali, laboratori, corsi di formazione, genitori costretti a pagare di tasca propria dalla carta igienica alle lezioni d'inglese al pomeriggio, perché ai dirigenti scolastici non resta un euro in cassa. È la crisi, ovviamente, è la spending review. Ma per accanimento in rigore sui banchi siamo diventati primi in Europa: «La percentuale della spesa per l’istruzione rispetto al complesso della spesa pubblica è nettamente inferiore alla media europea», ricordano lapidari i contabili della Corte dei Conti nell'ultimo rapporto sul Miur: «Qui passa dal 9,11 per cento del 2009 all’8,2 per cento del 2012 della spesa totale, rispetto ad una media europea del 10,6 per cento, ponendo l’Italia in penultima posizione tra i 27 Paesi europei».
La promessa del ministro Giannini è di cambiare verso. Non solo per quanto riguarda i tagli alle strutture, ma anche per quelle che ha definito l'«agente patogeno», il «batterio da estirpare» della scuola: le supplenze. Nell'anno scolastico 2013/2014 i docenti assunti a tempo determinato sono stati poco più di 120mila, a cui va aggiunto il personale Ata. Significa che un insegnante su cinque era supplente. Pagare gli stipendi di questi maestri a chiamata, abbandonati a giugno e richiamati alla bisogna a settembre, costa circa un miliardo e 500 milioni di euro all'anno, spiega Domenico Pantaleo della Cgil. «Solo le supplenze brevi richiedono più o meno 700 milioni», mostra Pantaleo: «Per questo di una cosa sono certo: se il ministro vorrà veramente regolarizzare i docenti precari non basterà il miliardo di euro avanzato come promessa da Renzi».
Anche perché, insiste: «Non possiamo pensare di trovare le risorse da ulteriori riduzioni alle forze della scuola, prendendo da una tasca per dare all'altra com'è successo col fondo per la formazione, ridotto di un terzo per garantire gli scatti di anzianità negli stipendi». «La tagliola del ministro Gelmini», continua: «ha lasciato meno del minimo necessario per un'istituzione degna del suo ruolo educativo. Se riusciremo finalmente ad uscire dal precariato scolastico dovrà essere grazie all'immissione di risorse nuove, fresche». Ovvero quei soldi che il titolare dell'Economia Pier Carlo Padoan ha garantito non ci saranno più per nessuno. Lui stesso, sulle pagine del Corriere della Sera , ha ribadito pochi giorni fa che «non ci sono settori» amministrativi che non verranno sottoposti a un dura «revisione della spesa», compresi gli ambiti dell'Istruzione e della Sanità.
«Anche per questo dovremmo stare molto più cauti di fronte a questa corsa di dichiarazioni», sostiene Pantaleo. Le incognite, infatti, sono ancora troppe. A partire dai tempi del provvedimento: se la proposta è quella di intervenire subito, da un anno all'altro, si tratterebbe di un vero salto in avanti. Ma se invece dovesse trattarsi di un rientro più graduale, rischierebbe di non essere altro che la già assodata routine dell'integrazione di nuove leve di fronte ai sempre più lenti (causa legge Fornero) pensionamenti. All'inizio di agosto , ad esempio, 15.307 docenti sono diventati di ruolo, prendendo i posti liberati dai colleghi. Altri 13.343 sono diventati insegnanti di sostegno a tempo indeterminato. E a questi si aggiungono 4500 impiegati a pieno titolo come personale Ata. Tanto da far dichiarare al sindacato dei docenti Anief che se la stabilizzazione dei precari fosse "diluita in più anni" «sarebbe solo la conferma dal quadro esistente».
Ad aprile, davanti alla Commissione Cultura della Camera, il ministro Giannini aveva provato a spiegarepiù nel dettaglio le sue idee, per quanto riguarda i numeri, i problemi e i tempi per risolvere il dramma di una «una scuola afflitta da un precariato stabile ma non stabilizzato», come aveva detto allora: «in cui le legittime aspettative di generazioni di insegnanti e di professori si sono trasformate in una ingiusta guerra tra poveri».
Ecco quindi quello che aveva introdotto: «A livello generale, noi stiamo pensando a un piano necessariamente di medio termine, passando da dieci a tre – primo slot – e a cinque anni, che serva a reintegrare i precari e a inserirli all'interno dei cosiddetti organici funzionali, e che, grazie a tale inserimento, permetta ai dirigenti scolastici di avere una migliore gestione del pacchetto delle supplenze temporanee e un aumento dell'offerta formativa».
Con organico funzionale si intende un gruppo di docenti che pur non avendo una cattedra può mantenere una continuità di rapporto con la scuola. «L'organico funzionale», aveva spiegato il ministro: «deve servire ad affrontare il tema del sostegno e dell'integrazione e ad assicurare la continuità didattica e la formazione specifica per le diverse abilità». «Questo si traduce nella creazione di un gruppo professionale qualificato che operi in una rete di scuole», aveva aggiunto: «come patrimonio non di un singolo istituto, quindi, ma di una rete di scuole, che può essere anche immaginata come un consorzio territoriale».
I numeri: «Il precariato storico riguarda poco meno di170.000 docenti, che sono inseriti nelle cosiddette graduatorie a esaurimento di prima, seconda, terza e quarta fascia aggiuntiva. Verosimilmente, grazie a un turn over molto lento e legato ai procedimenti pensionistici, costoro sarebbero immessi in ruolo nel corso dei prossimi dieci anni. Tenendo conto che in alcuni casi hanno un'età sicuramente superiore ai quarant'anni e talvolta anche superiore ai cinquanta, queste persone hanno un orizzonte decennale in questa condizione». «Più di 460.000 sono, invece, i precari inseriti nelle graduatorie di istituto. Tra questi vi sono anche quelle figure non necessariamente in corsa per un posto nella scuola, che entrano comunque nella graduatoria. In più, ci sono i 10.000 abilitati al tirocinio formativo attivo, il TFA, ordinario e speciale; i 70.000 che hanno maturato i titoli di servizio utili all'abilitazione tramite i percorsi abilitanti speciali (PAS), che rappresentano la seconda categoria; i 55.000 diplomati magistrali e i 40.000 idonei di vecchi concorsi. La somma di tutte queste tipologie dà quel numero eclatante che è superiore al mezzo milione».
I soldi: «Sono perfettamente consapevole che percorrere questa strada comporta un impegno finanziario molto preciso. Questa operazione non si fa solamente con la volontà e con la giusta chiarezza programmatica: è necessario un finanziamento che copra le spese, peraltro compensate da risparmi in un altro settore. È un impegno politico che deve essere chiesto al Governo di cui faccio parte e sarà mio compito portare sul tavolo del Consiglio dei ministri questo punto». Quindi, di che risorse parliamo? Come teme la Cgil di soldi sottratti ad altri ambiti della già sofferente istituzione? «Stiamo scoprendo soldi disponibili attraverso una due diligence sui costi sostenuti dalla scuola per le supplenze brevi e per l'integrazione degli alunni disabili. Si tratta di un capitolo che ha autonomia di bilancio e che presenta costi davvero molto significativi. Il recupero di questi costi, in aggiunta a un impegno finanziario ex novo, può diventare il pacchetto concreto per avviare il programma di reintegro e inserimento dei precari nel medio termine». Lo troverà?