Un sistema di allerta esiste già. Ma solo pochi istituti lo applicano. Il registro digitale doveva decollare in tutte le scuole, ma solo la metà lo usa.
Aula di un liceo di Milano, computer sulla cattedra: all'inizio delle lezioni, o al cambio dell'ora, il professore fa l'appello, digita i nomi dei presenti, preme «invio». Dalla segreteria, raccolti i dati, partono gli sms o le email per i genitori: «Nome e Cognome risulta assente/entrato in ritardo nel giorno xxx». Intrusione? Violazione della privacy? Un tale sistema di allerta - recente, sporadica novità introdotta nelle scuole italiane - è stato osteggiato, da principio; ha suscitato diffidenza e perplessità. Oggi ci si interroga se una comunicazione così, immediata e diretta, alla famiglia, avrebbe potuto salvare la vita al piccolo Andrea Loris, a Ragusa. Dove questo sistema non esiste. Si invocano le telecamere o la vigilanza, fuori dagli edifici scolastici, per tutelare i nostri i bambini. Ma dentro, quel po' di attenzione in più, non c'è ancora. È previsto, e ridisegnerebbe il Dna della scuola: genitori che possono controllare assenze, compiti da svolgere, voti, quello che è stato spiegato.
Una su due
Ma a due anni da quella nota del Miur che - ottobre 2012 - lanciava il processo di «dematerializzazione» delle scuole italiane, la corsa procede con i freni tirati: comunicazioni online scuola-famiglia presente nel 50 per cento delle scuole (38% in Calabria, 43% in Sicilia, 72% nelle Marche); registro elettronico nel 58% dei plessi (medesime disparità). Per non parlare dell'archiviazione elettronica dei documenti, ferma al 31%. E per quanto riguarda il sistema degli sms sul cellulare per avvertire mamme e papà delle assenze dei figli, capita solo ai più fortunati: «È un servizio in più, fornito dalle scuole, non rientra nelle rilevazioni ufficiali», dicono al ministero. Buona volontà e lungimiranza, come spesso accade, possono fare la differenza.
Connessioni lente
Comprensibile che la novità andasse digerita, e anche che ci volesse qualche tempo per adattare gli apparati tecnologici. Di fatto, però, pur prevista come obbligatoria da quest'anno, la novità è ancora zoppa, anche perché mancano le connessioni veloci che rendono la comunicazione possibile e la trasmissione dei dati efficiente. Delle 365mila aule del Paese, sono ancora 140mila quelle che viaggiano, al massimo, a «velocità medio-bassa»: hanno connessioni veloci solo il 10% delle scuole primarie e il 23% delle secondarie. Le altre sono collegate a bassa velocità e spesso si naviga solo dalla segreteria o dal laboratorio tecnologico, se c'è. In un'aula su due, al web non si accede. Il registro elettronico – ha calcolato recentemente Skuola.net - è usato in classe dal 37% dei docenti, anche se a farne un uso misto (elettronico e cartaceo) sono il 70%. Anche l'«obbligo» è passato in sordina: «Non era una scadenza perentoria - spiegano ancora al Miur -. C'è un protocollo con l'indicazione delle caratteristiche di base, ma non si impone un modello o un modo di utilizzo: il mercato è aperto». Chi ha fatto i conti ha fissato in 400milioni (600, ha alzato il tiro il Censis, a seconda delle dotazioni che si prendono in considerazione) il fabbisogno per dotare le scuole di cavi o wifi che mettano in rete e in comunicazione gli istituti. «Il Governo li stanzi subito - chiede Marcello Pacifico, presidente del sindacato Anief e segretario Confedir -, altrimenti il progetto di snellimento delle procedure didattiche e di comunicazione diretta con le famiglie degli alunni rimarrà irrealizzato». «Adottare un registro elettronico, senza avere una connessione internet che ne supporti l'utilizzo è come acquistare un'automobile ma non avere le strade sulle quali guidarla - dice ancora il sindacalista - E spesso i docenti sono costretti per i malfunzionamenti alla rete o la sua assenza a compilare i registri a casa o dover svolgere un doppio lavoro di registrazione dei dati in un registro cartaceo e in uno elettronico. Presenze e voti degli allievi vanno necessariamente registrati in classe, non da casa».