Che stia per diventare davvero più «buona» è ancora in discussione, ma di fatto la scuola cambia: ieri Matteo Renzi, con il ministro Giannini e il sottosegretario Faraone, ha presentato la riforma che sta per trasformare il settore dell'Istruzione. L'occasione è stata il primo compleanno del suo Governo: l'evento, «La Scuola che cambia, cambia l'Italia», è stato organizzato dal Partito Democratico.
I punti della riforma sono tanti, e riguardano precariato, alternanza scuola e lavoro, valutazioni degli insegnanti e scatti di merito, materie da potenziare. Fra quattro giorni, il 27 febbraio, il governo porterà in Consiglio dei Ministri un decreto di legge e un disegno di legge delega per delineare questa riforma. I provvedimenti sono due: uno d'urgenza e l'altro per definire i dettagli «minori», per mettere in pratica la «Buona scuola» dopo sei mesi.
«L'idea che il governo fa la riforma passando sulle teste degli insegnanti – ha detto Renzi - è quanto di più lontano ci sia. Non è vero che non abbiamo ascoltato gli insegnanti, questo è falso».
E ancora: «Nella scuola c'è l'idea stessa di cittadinanza, è dalla scuola che l'Italia deve ripartire. La frustrazione porta gli insegnanti a non crederci più, nello Stato, lo so. Ma sbagliano. La riforma della scuola non può essere semplicemente un dibattito tra gli addetti ai lavori. Finora abbiamo permesso che la figura del docente fosse poco valorizzata. Smettiamo di giocare sulla pelle degli insegnanti precari: non puoi consentire che prima di fare l'insegnante, i ragazzi e le ragazze che si avvicinano alla scuola passino anni da precari».
Ma le idee proposte da Renzi hanno lasciato perplessi i sindacati. «E' positivo avere messo al centro del dibattito la scuola e il pensiero che cambiando scuola si cambia il Paese – dice Marcello Pacifico, presidente dell'Anief (associazione nazionale insegnanti e formatori), ma gli strumenti e le soluzioni devono essere ripensati. Chiederemo audizione per le modifiche, in Parlamento». In particolare, «Siamo contrari alla cancellazione delle supplenze brevi: ogni collega è specializzato in una materia, e ci sembra dannoso "utilizzare" colleghi appena assunti per sostituzioni in materie che non sono di loro stretta competenza».
Gli stipendi, poi, dovrebbero essere allineati all'inflazione. «Vanno bene le valutazioni di merito, ma il costo della vita aumenta e gli stipendi sono bassi: oggi sono di 4 punti sotto l'inflazione. Il Governo dovrebbe pagare in media 60 euro in più fin d'ora, e non promettere l'aumento dal 2018. Nella media Ocse, gli stupendi degli insegnanti sono più alti di 8 mila euro».
Per quanto riguarda l'alternanza scuola – lavoro, «Siamo d'accordo, ma la riforma deve seguire il modello della Germania, dove i ragazzi sono pagati. L'obbligo formativo dovrebbe essere esteso ai 18 anni». Inoltre, «C'é ancora troppa confusione sulle 150 mila assunzioni. Renzi dice che vuole eliminare il precariato, ma si continuano ad avere poche garanzie per tanti insegnanti che hanno diritto all'immissione in ruolo».
Per Francesco Scrima, segretario generale Cisl Scuola, non c'è «nessuna soluzione vera per i precari: un premier illusionista vuol far credere che li assumerà tutti, in realtà decine di migliaia rischiano di perdere il lavoro che svolgono, precariamente, da anni. Gli scatti di anzianità sono stati l'unico fattore di parziale difesa salariale per chi lavora nella scuola: toglierli ha un solo risultato, diminuire seccamente le retribuzioni, già oggi tra le più basse d'Europa. La presunzione di un governo che sistematicamente rifiuta il confronto vero col mondo della scuola, sostituendolo con sondaggi e spot a valenza esclusivamente mediatica rischia di produrre ulteriori danni al nostro sistema scolastico, che in questi anni ne ha già subito troppi».