Dopo il primo via libera di Montecitorio, il ddl è arrivato in commissione a Palazzo Madama. La minoranza Pd e le opposizioni hanno presentato emendamenti per chiedere di intervenire sui nodi più contestati del testo.
Ddl Buona scuola, atto secondo. E' iniziata la discussione sulla riforma al Senato, dopo l'approvazione della Camera il 20 maggio scorso. Sul tavolo della commissione Istruzione sono arrivati quasi duemila emendamenti (per l'esattezza 1960) e tra i numeri risicati della maggioranza a Palazzo Madama e la rottura del presidente del Consiglio con i critici del Partito democratico, la speranza dei sindacati è che si possa ad arrivare a modifiche consistenti del testo. "Saranno solo limature", ha ribadito però anche oggi il ministro Stefania Giannini. Eppure i numeri ballano e tutto è ancora possibile.
Tre gli aspetti più contestati e sui quali sono stati presentati emendamenti. Il primo riguarda gli insegnanti esclusi dall' 'infornata dei centomila' promessa dal governo Renzi entro settembre. Un emendamento a prima firma di Miguel Gotor, della minoranza democratica, chiede di riscrivere l'articolo 10, quello sul piano straordinario della assunzioni, in modo da garantire un posto a tempo indeterminato anche ai docenti abilitati del Tfa (tirocinio formativo attivo). Altri 17 senatori del Partito democratico hanno sottoscritto il testo. Secondo Marcello Pacifico, presidente del sindacato Anief, "si tratta di almeno centomila precari, e di questi il 75 per cento sta finendo l'anno di supplenza nelle nostre scuole. Vanno assunti anche tutti quelli in possesso di un diploma magistrale conseguito entro il 2001, quando valeva come titolo abilitante all'insegnamento. Lo dice una sentenza del Consiglio di Stato di aprile. Potenzialmente sono più di 50mila le persone in queste condizioni". Stessa posizione di Sel. "I nostri emendamenti – sottolinea la senatrice Alessia Petraglia – sollecitano un piano pluriennale di assunzioni che deve comprendere i precari che lavorano da anni nella scuola, gli idonei al concorso del 2012, gli educatori e il personale ATA, i diplomati magistrali 2001/2002, i laureati in Scienze della formazione, i docenti abilitati attraverso i percorsi di Tfa e Pas e i congelati Ssis". Questi ultimi sono quelli che avevano passato le selezioni per frequentare la Ssis (Scuola di specializzazione all'insegnamento secondario), eliminata nel 2007, sospendendone l'iscrizione per seguire un dottorato di ricerca (o un altro percorso). Esonerati dal concorso del 2012, hanno rifatto la selezione per l'abilitazione tramite Tfa e oggi restano a bocca asciutta. C'è un altro rischio. "Il dirigente scolastico in caso di posti vacanti potrà fare riferimento al personale organico funzionale. Di conseguenza – avvisa Pacifico – in futuro verranno indetti concorsi per molti meno posti di quelli auspicati". Una preoccupazione avanzata anche dalla minoranza Pd.
Secondo nervo scoperto: "I super poteri dei presidi". L'opposizione (M5S, Sel e i resistenti Pd) non digerisce l'articolo 9. "La chiamata diretta degli insegnanti da parte del dirigente scolastico rischia di moltiplicare fenomeni di abuso e clientelismo" denuncia la senatrice dei Cinque Stelle Michela Montevecchi. Il presidente Anief ricorda che "una sentenza della Corte Costituzionale del 2013 ha bocciato la Regione Lombardia per aver concesso in via sperimentale ai presidi la chiamata diretta dei docenti".
Terzo passaggio spinoso: l'insegnamento delle materie affini (articolo 9, comma 2). "Un grave errore – lo giudica il bersaniano Gotor, senatore e insegnante universitario -. Un docente abilitato a insegnare italiano non può essere assunto per insegnare storia dell'arte perché all'università ha sostenuto un esame di quella materia. Questo provoca uno scadimento del livello di insegnamento. È solo un escamotage per liquidare le gae (graduatorie ad esaurimento, ndr) e non dover attingere dalle graduatorie di seconda fascia. Io insieme al altri 19 senatori abbiamo presentano un emendamento per l'abolizione del comma 2 dell'articolo 9".