Le istituzioni pubbliche che gestiscono e influiscono direttamente sul sistema pensionistico italiano sono diventate intransigenti: pur di far quadrare i conti pubblici, sulla pelle dei lavoratori, si vuole arrivare alla pensione di anzianità a 67+3 mesi già nel 2021, poi a 68+1 mese nel 2031, a 68+11 mesi nel 2041 fino ai 69+9 mesi nel 2051. Rimangono poche le chance di riuscita degli appelli formulati nei giorni scorsi a tutti i parlamentari dai presidenti delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato perché si approvi una norma che permetta il rinvio strutturale dell'adeguamento dell'età di pensionamento alle aspettative di vita. Anief-Cisal ritiene inaccettabile la rigida posizione assunta dall’Inps e dalla Ragioneria dello Stato, perché si ragiona come se tutte le professioni fossero uguali. Come se fosse possibile assolvere in toto le responsabilità che comportano certi lavori, prescindendo dalla loro consistenza. Un esempio per tutti: gli insegnanti.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Il problema della qualità del lavoro svolto esiste, tanto che con l’Ape Social nella lista delle professioni più logoranti è presente anche quella del maestro d’infanzia. È un dato di fatto che in altri Paesi europei, come la Germania, si continua ad andare in pensione dopo 24 anni di insegnamento. Da noi, invece, si sta rasentando l’assurdo di superare i già elevati limiti imposti con la riforma Fornero: si sta andando verso una pensione che non andrà oltre il 45% dell’ultimo stipendio. Stipendi, tra l’altro, da 10 anni nemmeno adeguati all’inflazione. Eppure il corpo insegnante italiano è il più vecchio al mondo e ad alto rischio burnout. A pensare che un cittadino possa insegnare a 70 anni come a 30, rimangono solo coloro che hanno introdotto delle norme che guardano ottusamente ai conti dello Stato, senza pensare che i destinatari sono persone in carne e ossa che dopo decenni di lavoro meriterebbero rispetto e non elemosine.
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Sull’età di pensionamento da spostare ulteriormente in avanti, Inps e Ragioneria dello Stato stanno portando avanti un pressing asfissiante. Contro il quale sarà difficile opporsi. Su quello che è oramai diventato uno dei leitmotiv dell’estate, la posizione delle istituzioni pubbliche che gestiscono e influiscono direttamente sul sistema pensionistico italiano sono infatti diventate intransigenti. Negli ultimi giorni ha assunto una posizione netta la Ragioneria Generale dello Stato, per la quale con un eventuale “rinvio dell’aumento dell’età pensionabile si rischierebbe il crac”.
Nel rapporto 'Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario', la Ragioneria rileva che "interventi legislativi diretti non tanto a sopprimere esplicitamente gli adeguamenti automatici previsti dalla normativa vigente, ma a limitarli, differirli o dilazionarli, determinerebbero comunque un sostanziale indebolimento della complessiva strumentazione del sistema pensionistico italiano volta a contrastare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione".
Dello stesso avviso si è detto il presidente Inps, Tito Boeri, secondo il quale se una persona "percepisce la pensione più a lungo, perché si vive più a lungo, è giusto anche che contribuisca più a lungo al sistema, altrimenti il sistema non riesce a reggere". Secondo Boeri, quindi, un'uscita anticipata si rifletterebbe in modo diretto sugli importi delle pensioni, perché, ha tenuto a dire, "col sistema contributivo più si lavora, più i trattamenti aumentano". In sostanza, i lavoratori dovrebbero essere addirittura contenti di lasciare il servizio a quasi 70 anni perché un eventuale ritorno al passato produrre per loro “delle pensioni più basse”.
In questo modo, hanno davvero poche possibilità di riuscita gli appelli formulati nei giorni scorsi a tutti i parlamentari da parte dei presidenti delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, perché si approvi una norma che permetta il rinvio strutturale dell'adeguamento dell'età di pensionamento alle aspettative di vita: rimane comunque emblematico che i due parlamentari abbiano definito "inconcepibile oltre che irragionevole" la prospettiva di portare la pensione di vecchiaia a 67 anni dal 1° gennaio 2019, per poi passare a 67+3 mesi nel 2021, a 68+1 mese nel 2031, a 68+11 mesi nel 2041 fino ai 69+9 mesi, quindi quasi 70, nel 2051. Come, del resto, da tempo anticipato dall’Anief. Dinanzi a queste prospettive da incubo, i lavoratori italiani appaiono sempre più disorientati: “il pensionando – ha scritto in queste ore il Corriere della Sera - chiede alla politica solo di avere input certi, di poter conoscere il proprio destino previdenziale per tempo e programmare le mosse da fare”.
Anief-Cisal ritiene inaccettabile la rigida posizione assunta dall’Inps e dalla Ragioneria dello Stato. Prima di tutto perché si ragiona come se tutte le professioni fossero uguali. Come se fosse possibile assolvere in toto le responsabilità che comportano certi lavori, prescindendo dalla loro consistenza. “Riteniamo irricevibile l’idea di mettere sullo stesso piano un lavoro di ruotine con uno usurante, quale può essere quello dell’insegnamento - commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal -: il problema della qualità del lavoro svolto esiste, tanto che con l’Ape Social, peraltro poco gettonata, sono stati inseriti nelle professioni più logoranti anche quella del maestro d’infanzia”.
“Eppure la crisi economica è internazionale – continua Pacifico – ma è un dato di fatto che in altri Paesi europei, come la Germania, si continua ad andare in pensione dopo 24 anni di insegnamento e senza decurtazioni. Da noi, invece, si sta rasentando l’assurdo di superare i già elevati limiti imposti con la riforma Fornero. Non riteniamo corretto dire, tra l’altro, che chi, come i giovani, adotta un sistema previdenziale totalmente contributivo, dovrà lavorare tanto per assicurarsi un assegno pensionistico decente. Perché in media, secondo i nostri calcoli, si sta andando verso una pensione che non andrà oltre il 45% dell’ultimo stipendio. Stipendi, tra l’altro, da 10 anni nemmeno adeguati all’inflazione, perché per i dipendenti pubblici è rimasta illegittimamente bloccata pure l’indennità di vacanza contrattuale che avrebbe assicurato almeno la metà di quell’adeguamento”.
“A tutto questo – dice sempre il sindacalista Anief-Cisal – va aggiunto che il corpo insegnante italiano è il più vecchio al mondo, con due insegnanti su tre ormai oltre i 50 anni di età, ma anche ad alto rischio burnout. A pensare che un cittadino possa insegnare a 70 anni come a 30, rimangono solo coloro che hanno introdotto delle norme che guardano ottusamente ai conti dello Stato, senza pensare che i destinatari sono persone in carne e ossa che dopo decenni di lavoro meriterebbero rispetto e non elemosine”.
Il sindacato ricorda che è sempre possibile chiedere una consulenza personalizzata a Cedan per sapere se si ha diritto ad andare in quiescenza prima dei termini contributivi e di vecchiaia previsti dalla legge e per scoprire il valore dell’assegno pensionistico. Oltre che ulteriori servizi. Per avere tutte le indicazioni necessarie è possibile anche scrivere una e-mail all’indirizzoQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..Chiedi alla struttura territoriale Anief più vicina a te un appuntamento. Visita il sito www.cedan.it
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