Il prof pugliese stravince il concorso della sua disciplina d’insegnamento, prende atto della disponibilità dei posti, assaporando l’assunzione a tempo indeterminato, ma poi viene travolto da una doccia ghiacciata: riceve una e-mail dall'Ufficio scolastico della Puglia, nella quale c’è scritto che alle operazioni di assunzione non potrà partecipare, ‘in quanto non destinatario di proposta di nomina a tempo indeterminato per superamento limiti d'età’. Il docente, in pratica, viene considerato troppo vicino alla pensione. Peccato che non riceverà mai l’assegno di quiescenza e che la legge non preveda queste esclusioni. Tanto è vero che nessuna opposizione viene attuata in Sicilia per una maestra classe 1948, quindi più grande di lui di tre anni.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Questo caso dimostra come gli uffici siano messi nelle condizioni di operare senza indicazioni precise. Decretando diversità di trattamento dei lavoratori, oltre a creare i presupposti per l’allargamento dei contraddittori e dei ricorsi in tribunale. Perché è chiaro che un docente che arriva a un passo dal ruolo, e lo vede sfumare, non può rimanere con le mani in mano. La riscontriamo sistematicamente, ad esempio, nella cronica diversità di trattamento del personale non di ruolo rispetto a quello assunto a tempo indeterminato. Per non parlare di quello che sta accadendo in questi giorni con le assegnazioni provvisorie, con il certificato di convivenza col genitore che può essere considerato valido o meno a seconda della provincia che lo gestisce. Anche in questi casi la vicenda non può non avere una coda giudiziaria.
Anief ricorda che sul diritto al giusto risarcimento e sulla stabilizzazione, il sindacato ha notificato reclami alla Commissione delle Petizioni del Parlamento europeo, una serie di denunce al Consiglio d’Europa, oltre che ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, mentre l’intera questione del quantum del risarcimento è sotto le lenti nuovamente della Corte di giustizia europea. Già in autunno le questioni potrebbero assumere contorni più chiari. Tutti gli interessanti possono ancora aderire al ricorso per gli scatti di anzianità oppure al ricorso avverso l’incompleto decreto di ricostruzione di carriera.
Uno Stato moderno si contraddistingue per l’equità di trattamento dei suoi cittadini: è una modalità imprescindibile, ereditata da convinzioni socratiche di quasi 2.500 anni fa che regolavano l’organizzazione della cittadinanza attraverso il Dura lex, sed lex. In Italia, però, le regole continuano a non essere uguali per tutti. Soprattutto perché spesso chi legifera non lo fa in modo chiaro e netto. Con il risultato che coloro che le applicano sono costretti ad attuare delle vere acrobazie interpretative, il cui effetto finale sono degli spiacevolissimi effetti diversi sui servizi, ma anche sul trattamento della cittadinanza e dei lavoratori. A rappresentare al meglio questa discrasia, tipica del Bel Paese, è la storia di due insegnanti della scuola pubblica, entrambi in procinto di essere immessi in ruolo alle soglie dei 70 anni.
Qualche giorno fa è accaduto a una maestra di Palermo, assunta a 69 anni: la donna, classe 1948, ha speso la sua vita professionale barcamenandosi tra graduatorie permanenti, poi ad esaurimento, di merito, concorsi, anche per colpa della decurtazione dei posti di lavoro derivanti dalla scomparsa, nell’ultimo decennio, del maestro prevalente e dell’insegnante specialista in lingua inglese, per il ritorno al maestro unico e la riduzione del tempo scuola da 30 a 24/27 ore. Ora, dopo aver vinto la sua battaglia contro la supplentite, dovrà anche vivere la beffa dalla mancata pensione, ma almeno potrà dire di essere stata assunta nei ruoli dello Stato e avere anche la possibilità di presentare ricorso per vedersi riconosciuti tutti gli scatti di anzianità maturati durante il lungo precariato e la conseguente anzianità di servizio maggiorata dopo il decreto di ricostruzione di carriera.
L’ingiustizia che fa ritornare alla massima di Socrate scatta però qualche giorno dopo, a Bari, dove un docente precario di 66 anni riesce in extremis a partecipare al concorso a cattedra 2016 dopo aver svolto il Tfa a Roma, stravince il concorso della sua disciplina d’insegnamento laboratoriale alle superiori, prende atto della disponibilità dei posti, assaporando l’assunzione a tempo indeterminato, ma poi, come scrive La Repubblica, viene travolto da una doccia ghiacciata.
A ridosso delle convocazioni per le immissioni in ruolo nella sua classe di concorso, la B022, si vede infatti recapitare una e-mail dall'Ufficio scolastico regionale della Puglia, di cui non si capacita, nella quale gli si annuncia che alle operazioni di assunzione non potrà partecipare, "in quanto non destinatario di proposta di nomina a tempo indeterminato per superamento limiti d'età". Il docente, in pratica, viene considerato troppo vicino alla pensione. Peccato che però anche lui probabilmente non riceverà mai l’assegno di quiescenza e che la legge non preveda questo genere di esclusioni.
“Viene da chiedersi – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – come possa accadere che due Uffici Scolastici adottino la normativa sulle assunzioni nello Stato in modo così diverso. Sarebbe stato logico, anche se non giustificato, che fosse accaduto il contrario: l’esclusione dalle stabilizzazioni del docente di 69 anni e l’immissione in ruolo del collega precario più giovane di 66 anni. Questo caso dimostra come gli uffici periferici siano messi nelle condizioni di operare senza indicazioni precise e definite provenienti dall’amministrazione centrale. Decretando diversità di trattamento dei lavoratori che operano nella scuola, oltre a creare i presupposti per l’allargamento dei contraddittori e dei ricorsi in tribunale. Perché è chiaro che un docente che arriva a un passo dal ruolo e lo vede sfumare in questo modo non può rimanere con le mani in mano”.
“Purtroppo – incalza il sindacalista Anief-Cisal -, la mancata equità delle norme da adottare nella gestione della macchina organizzativa scolastica non è confinata a questo episodio. La riscontriamo sistematicamente, ad esempio, nella cronica diversità di trattamento del personale non di ruolo rispetto a quello assunto con contratto a tempo indeterminato. Con conseguente lesione del diritto alla stabilizzazione, agli scatti di anzianità, alla completa ricostruzione di carriera, allo svolgimento del servizio anche nei periodi estivi. Per non parlare di quello che sta accadendo in questi giorni con le assegnazioni provvisorie, con alcuni Ambiti territoriali che, come previsto dall’Anief a inizio luglio, stanno applicando il contratto sottoscritto con gli altri sindacati in modo soggettivo: oltre alle incongruenze sull’impossibilità di produrre domanda nel comune di titolarità e sugli eccessi vincoli introdotti a livello interprovinciale, che portano all’accoglimento della domanda ma non nel Comune dove serve al lavoratore che deve ricevere o prestare assistenza, si è arrivati al paradosso che il certificato di convivenza con il genitore può essere considerato valido o meno a seconda della provincia che lo gestisce. Anche in questi casi – conclude Pacifico – la vicenda non può non avere una coda giudiziaria”.
Anief ricorda che sul diritto al giusto risarcimento e sulla stabilizzazione il sindacato ha notificato reclami alla Commissione delle Petizioni del Parlamento europeo, una serie di denunce al Consiglio d’Europa, oltre che ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, mentre l’intera questione del quantum del risarcimento è sotto le lenti nuovamente della Corte di giustizia europea. Già in autunno le questioni potrebbero assumere contorni più chiari. Tutti gli interessanti possono ancora aderire al ricorso per gli scatti di anzianità oppure al ricorso avverso l’incompleto decreto di ricostruzione di carriera.
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