Altrimenti si tratterebbe solo di un’operazione risparmio, finalizzata a far sparire a regime 35mila cattedre della scuola superiore. A sostenerlo è l’Anief: se l’operazione ha come scopo primario quello di cancellare altro tempo scuola oltre quello divorato nell’ultimo decennio a partire della Legge 133/08, il giovane sindacato annuncia sin d’ora che si opporrà con tutte le sue forze. Sia a livello organizzativo-politico che in ambito giuridico-legale. L’anticipo dell’uscita da scuola a 18 anni, già tentato a inizio 2000 dall’allora Ministro Luigi Berlinguer, è un programma di revisione ripreso da diversi governi. Anche di recente, dall’ex Ministra Stefania Giannini. Se nessuno c’è riuscito è perché è sempre mancato un percorso ragionato e condiviso.
Marcello Pacifico (presidente Anief): Con la scuola primaria anticipata di un anno, durante il quale attivare delle classi ‘ponte’, affidate a maestri in compresenza della scuola dell’infanzia e della stessa primaria, si migliorerebbe il delicato passaggio tra la scuola materna e l’ex elementare. Lo abbiamo detto, qualche mese fa, sia a Montecitorio che a Palazzo Madama: è scientificamente provato che a cinque anni i bambini hanno bisogno di una formazione di tipo essenzialmente ludico e, nello stesso tempo, di avvicinamento all’alfabetizzazione e al far di conto. L’operazione permetterebbe anche di svuotare le graduatorie di merito e le GaE dei maestri d’infanzia dimenticati dalla riforma e con pessime prospettive di stabilizzazione. Come si darebbe una bella spallata alla dispersione e all’abbandono scolastico: perché mantenendo il tempo scuola immutato e innalzando l’obbligo a 18 anni, gli studenti sarebbero più coinvolti nei progetti formativi. Certo, servirebbe anche rivedere i contenuti dei cicli scolastici, rendendoli anche più stimolanti per le nuove generazioni.
“Tenere tutti gli alunni obbligatoriamente a scuola fino a 18 anni, anziché gli attuali 16, è una proposta su cui si può discutere. Ma a una condizione: far partire la scuola primaria a cinque anni. Altrimenti si tratterebbe solo di un’operazione risparmio, finalizzata a far sparire a regime 35mila cattedre della scuola superiore”. Così Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, commenta l’apertura della Ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli di rivisitare i cicli scolastici e portare l’obbligo formativo sino alla maggiore età, in linea con i modelli formativi adattati dagli altri paesi moderni.
Anief sostiene che “licenziare” con un anno di anticipo gli studenti della secondaria può essere un’idea condivisibile solo qualora non si intenda ridurre il percorso formativo complessivo. In caso contrario, se l’operazione ha come scopo primario quello di cancellare altro tempo scuola oltre quello divorato nell’ultimo decennio a partire della Legge 133/08, il giovane sindacato annuncia sin d’ora che si opporrà con tutte le sue forze. Sia a livello organizzativo-politico sia in ambito giuridico-legale.
L’anticipo dell’uscita da scuola a 18 anni, già tentato a inizio 2000 dall’allora Ministro Luigi Berlinguer, è un programma di revisione ripreso da diversi governi. Se nessuno c’è riuscito è perché è sempre mancato un percorso ragionato e condiviso. In più occasioni aveva espresso parere positivo anche la Ministra Stefania Giannini, ma senza che poi si giungesse mai a una proposta ufficiale.
“Il motivo di questi fallimenti è semplice – spiega Pacifico -: il sindacato, le parti sociali e l’opinione pubblica si sono sempre opposti, perché in quelle proposte non era stato chiarito che il tempo scuola non sarebbe cambiato. Noi l’abbiamo sempre detto: con la scuola primaria anticipata di un anno, durante il quale attivare delle classi ‘ponte’, affidate in compresenza a maestri della scuola dell’infanzia e della stessa primaria, si migliorerebbe il delicato passaggio tra la scuola materna e l’ex elementare”.
Dei vantaggi, anche formativi, dell’avvio scolastico anticipato di un anno, l’Anief aveva parlato solo pochi mesi fa, in occasione delle audizioni svolte in Parlamento – sia a Montecitorio che a Palazzo Madama – a proposito della necessità di rivedere i decreti delegate della Buona Scuola: “perché – continua il sindacalista autonomo - è scientificamente provato che a cinque anni i bambini hanno bisogno di una formazione di tipo essenzialmente ludico e, nello stesso tempo, di avvicinamento all’alfabetizzazione e al far di conto”.
L’operazione anticipo a cinque anni e obbligo a 18 avrebbe però almeno anche un altro vantaggio: l’incremento di 25mila nuovi insegnanti di settore. “Andando così pure a risolvere l’annoso problema – dice Pacifico - della mancata stabilizzazione dei docenti dell’infanzia, messi all’angolo pure dalla riforma 0-6 anni della Legge 107/2015 dopo essere stati incredibilmente dimenticati dall’impianto base della Buona Scuola che non li ha considerati né nel piano di assunzioni straordinario né nel potenziamento degli istituti. Così oggi rimangono, tra graduatorie di merito e GaE, almeno 20mila maestri d’infanzia da stabilizzare, la maggior parte dei quali con pessime prospettive di stabilizzazione, perché i posti vacanti in organico di diritto continuano a non essere molti”.
Ma i benefici derivanti dall’anticipo a cinque anni di età sarebbero anche altri: si darebbe, ad esempio, una bella spallata alla dispersione e all’abbandono scolastico. “Perché mantenendo il tempo scuola immutato e innalzando l’obbligo a 18 anni, gli studenti sarebbero di sicuro più coinvolti nei progetti formativi. Certo, servirebbe anche rivedere i contenuti dei cicli scolastici, rendendoli pure più stimolanti per le nuove generazioni, sempre più informatizzate e connesse”, conclude Pacifico.
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