Così risponde Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, alle polemiche degli ultimi giorni circa l’opinione che gli insegnanti italiani siano troppi, impreparati e per questo mal pagati. E che i giudici siano refrattari ai cambiamenti, come nel caso del numero chiuso bocciato all’Università di Milano. Viene da interrogarsi sul perché certi editorialisti a inizio anno facciano a gara per mostrarsi profondi cultori della scuola: già nei giorni scorsi avevamo assistito all’inutile crociata contro i diplomati magistrale con tanto di colpe ai giudici se ci sono ancora decine di migliaia di precari nelle GaE. Anche quando l’analisi è più obiettiva, si riscontrano proposte inapplicabili: come quella di attuare un concorso a cattedra ogni anno. Cui seguirebbero altre graduatorie a raffica. È inutile invocare il numero chiuso nei corsi di laurea umanistici, quando sfornano dirigenti d’azienda come Sergio Marchionne. La laurea in lettere non serve solo per insegnare. Anzi, non serve più il titolo, perché con la laurea non hai potuto iscriverti all’ultimo concorso a cattedra, visto che era indispensabile l’abilitazione. Ma anche quando ce l’hai sono guai: perché abbiamo docenti abilitati e specializzati per l’insegnamento di matematica, ma non li vogliamo assumere? In un Paese dove il 23% degli alunni si ferma alla terza media e solo il 25% dei quindicenni vuole iscriversi a un corso di laurea, invece di respingere gli studenti, andrebbe esteso l’obbligo scolastico. Non a parole, cambiando ogni settimana il ciclo di studi che verrà. E poi basta attaccare i giudici ogni volta che censurano un atto amministrativo mal scritto o una legge incostituzionale o in aperta violazione della normativa comunitaria.
“Per vincere il precariato scolastico, che nemmeno l’ultima riforma imposta da Matteo Renzi ha scalfito un po’, c’è solo un modo: assumere gli abilitati e pagarli da professionisti. In questo modo si svuoterebbero tutte le graduatorie, ad esaurimento e di istituto, e non si creerebbero discriminazioni rispetto agli altri docenti”. Così risponde Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, alle polemiche degli ultimi giorni circa l’opinione che si vuol far passare come verità assoluta, attraverso il maggiore quotidiano nazionale, che gli insegnanti italiani siano troppi, impreparati e per questo mal pagati. E che i giudici siano refrattari ai cambiamenti, come nel caso del numero chiuso bocciato all’Università di Milano.
Solo che di docenti specializzati e formati ne abbiamo già oggi fin troppi. E pure troppo selezionati. Quello che manca, piuttosto, è l’assunzione e un giusto stipendio. Viene da interrogarsi sul perché certi editorialisti a inizio anno facciano a gara per mostrarsi profondi cultori della scuola: già nei giorni scorsi avevamo assistito all’inutile crociata contro i diplomati magistrale con tanto di colpe ai giudici se nel 2017 ci sono ancora decine di migliaia di precari nelle GaE. Anche quando l’analisi è più obiettiva, si riscontrano proposte inapplicabili: come quella di attuare un concorso a cattedra ogni anno. Cui seguirebbero altre graduatorie a raffica.
Certi accademici, esperti di Università, farebbero bene a soffermarsi sui veri mali dell’istruzione pubblica italiana. Il problema dell’insegnamento, per tornare all’accademico che invece di puntare il dito contro chi ha calpestato il nostro sistema d’istruzione con tagli ignobili arriva a prendersela con i componenti della Corte Costituzionale, non sta tanto nella liberalizzazione degli accessi degli anni ‘70: perché dagli anni ’90 nel nostro Paese per accedere a questa professione, secondo gli accordi di Lisbona, è stato istituito un corso universitario a numero programmato (ieri Ssis, oggi Tfa, domani Fit).
Secondo Marcello Pacifico, “questi insegnanti, selezionati, a cui si è imposto un tirocinio, diversi esami in itinere, laboratori, tanta didattica, un esame finale abilitante, sono stati dimenticati dalla politica. E tanti saluti. Oggi come ieri, visto che ancora 100mila docenti specializzati presso le Università attendono un posto fisso. E lo Stato piuttosto che assegnare loro i 100mila posti vacanti e disponibili in ruolo, glieli conferisce ancora una volta in supplenza in attesa di due nuovi concorsi che creeranno nuove graduatorie di merito ad esaurimento (le cosiddette Grame), con tanto di vincitori di concorso per tre anni a fare formazione e supplenze a paga ridotta. Perché abbiamo docenti abilitati, selezionati, specializzati per l’insegnamento di matematica, però non li vogliamo assumere? Questo è ciò che non si comprende”.
“Stando così le cose – continua il presidente Anief - è completamente inutile invocare come giusta la novità del numero chiuso nei corsi di laurea umanistici, quando questi sfornano anche dirigenti d’azienda come Sergio Marchionne. La laurea in lettere non serve solo per insegnare. Anzi, non serve più il titolo accademico, perché con la laurea non hai potuto provare neanche l’ultimo concorso a cattedra, visto che era indispensabile l’abilitazione all’insegnamento. La realtà è che in un Paese dove il 23% degli alunni si ferma alla terza media e dove solo il 25% dei quindicenni dichiara di volersi iscrivere a un corso di laurea, con appena l’11% dei diplomati nei professionali, invece di respingere gli aspiranti studenti, andrebbe esteso l’obbligo scolastico, semmai. E non a parole, cambiando ogni settimana il ciclo di studi che verrà”.
“E poi basta attaccare i giudici ogni volta che censurano un atto amministrativo mal scritto o una legge incostituzionale o in aperta violazione della normativa comunitaria. Perché non attacchiamo gli amministratori, i politici e quel Parlamento che sempre più spesso cerca di abolire il valore legale del titolo di studio, perché nel suo consesso, forse i laureati sono ancora troppo pochi? L’ultima inesattezza che abbiamo letto in questi giorni riguarda il numero assoluto degli insegnanti italiani: è uguale a quello tedesco, se non si annoverano 100mila docenti di sostegno e 25mila docenti di religione, ma lavorano più ore a settimana e lo stipendio a fine carriera per un docente delle superiori è la metà. E si lavora il doppio della vita per andare in pensione. Chi a settembre si erge a profondo conoscitore della Scuola, non può farsi sfuggire certi particolari, perché – conclude Pacifico - sono troppo determinanti nel fornire un giudizio obiettivo”.
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