Da Bruxelles giungono i dati, aggiornati al 2015, che indicano i nostri insegnanti come i più vecchi del vecchio Continente, con il 57,2% di ultracinquantenni, a fronte di una media Ue del 36%. È significativa e preoccupante la crescita esponenziale dei docenti ultra 60enni, che hanno raggiunto il 18% contro la media Ue di appena il 9%. La soglia d’uscita è destinata a crescere: pur di far quadrare i conti pubblici, sulla pelle dei lavoratori, Inps e governanti hanno programmato lo spostamento della soglia a 67+3 mesi già nel 2021, poi a 68+1 mese nel 2031, a 68+11 mesi nel 2041 fino ai 69+9 mesi nel 2051. Anche la soglia d’entrata, spostata in avanti delle nuove regole sul reclutamento introdotte dalla Buona Scuola, gioca contro.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): La Legge 107/2015 ha portato a ben otto anni il percorso che conduce alla stabilizzazione di un docente. Senza contare che ora, con il FIT, si farà il supplente con lo stipendio da tirocinante, e pure con il pericolo di non essere confermato nei ruoli dopo otto anni. Solo cominciando ad estendere il doppio canale a queste graduatorie, a partire dall’esaurimento di candidati nelle GaE ed in quelle di merito derivanti da concorso, si sarebbero potuti colmare i vuoti. Ad iniziare da quelli creati dalle 15-20mila assunzioni mancate di questa estate, proprio per la mancanza di aspiranti da GaE e Gm. Fa rabbia pensare che in realtà i candidati più giovani ci sono, ma invecchiano da precari. Viviamo in uno Stato dove evidentemente si preferisce far condannare il Miur alle spese per risarcimenti, per precisa violazione della normativa comunitaria per via delle reiterate supplenze di posti vacanti e disponibili, piuttosto che stabilizzarlo e dare alle scuole insegnanti giovani e un organico stabile.
Nella Giornata mondiale degli insegnanti, il corpo docente italiano si contraddistingue per un altro record negativo: l’età da record. Proprio in queste ore, da Bruxelles giungono i dati Eurostat, aggiornati al 2015, che indicano i nostri insegnanti come i più vecchi d'Europa, con il 57,2% di ultracinquantenni, a fronte di una media europea del 36%. È significativa e preoccupante la crescita esponenziale dei docenti ultra 60enni, che hanno raggiunto il 18% contro la media Ue di appena il 9%. Come se non bastasse, va segnalato che con il passare degli anni, l’Italia è destinata a rafforzare questi numeri, perché con l’innalzamento della quota anagrafica minima per l’accesso alla pensione di vecchiaia, il prossimo step è a 67 anni ma l’obiettivo progressivo è arrivare a 70, il numero di over 60enni costretti a rimanere in cattedra è destinato a crescere.
Pur di far quadrare i conti pubblici, sulla pelle dei lavoratori, Inps e governanti hanno programmato lo spostamento della soglia a 67+3 mesi già nel 2021, poi a 68+1 mese nel 2031, a 68+11 mesi nel 2041 fino ai 69+9 mesi nel 2051. Il piano è stato avallato in questi giorni da Confindustria, che ha chiesto espressamente al Governo di tenere duro sul programma: pertanto, rimangono ridotte al lumicino le chance di riuscita degli appelli formulati in estate presidenti delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, perché si approvi una norma che permetta il rinvio strutturale dell'adeguamento dell'età di pensionamento alle aspettative di vita, peraltro dallo scorso anno nemmeno più in crescita. Lo spostamento in avanti dell’addio dal lavoro, tra l’altro, si rivelerà una vera beffa: perché si andrà a percepire un assegno di pensione medio inferiore alla metà dell’ultimo stipendio, da 10 anni nemmeno più adeguato all’inflazione.
“Quello del ricambio generazionale dei docenti – ricorda Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal - è un problema acuito dalla riforma Fornero e rinforzate dalle manovre ulteriori approvate nell’ultimo biennio. Con il risultato che in un breve lasso di tempo si è posticipato di un decennio, addirittura di un ventennio se guardiamo agli anni Ottanta, il congedo dal lavoro. Con l’aggravante di andare a percepire assegni di quiescenza dimezzati. A rendere ancora più elevata l’età media del nostro corpo insegnante, però, ci ha pensato pure l’arguto legislatore della Buona Scuola, che ha portato a ben otto anni il percorso che conduce alla stabilizzazione di un docente. Senza contare che ora, con il FIT, si farà il supplente con lo stipendio da tirocinante, e pure con il pericolo di non essere confermato nei ruoli dopo otto anni. Mentre con le Siss, chiuse nel 2011, già dopo sei anni dalla prima iscrizione universitaria si poteva entrare di ruolo. Morale: i docenti entrano in ruolo alle soglie dei 40 anni, se va bene, e lasciano il lavoro quasi a 70 anni”.
“Si è riusciti nell’impresa – continua il sindacalista autonomo – di non potere utilizzare a pieno neppure le graduatorie dell’ultimo concorso a cattedra: a parte il fatto che l’accesso non era certo per giovanissimi, visto il vincolo dell’abilitazione all’insegnamento, le graduatorie di merito sono state dichiarate esaurite prima ancora che si procedesse all’assunzione dei vincitori. Col risultato di mandare persi, alla fine, oltre 20mila posti. Non ci stancheremo mai di dire che per evitare di lasciare un posto da docente su sette a supplenza, visto che anche dopo il piano straordinario di assunzioni della Legge 107/2015 si continuano comunque a stipulare circa 90mila contratti a tempo determinato l’anno, bisognava attingere dalle graduatorie d’istituto”.
“Solo cominciando ad estendere il doppio canale a queste graduatorie, a partire dall’esaurimento di candidati nelle GaE ed in quelle di merito derivanti da concorso, si sarebbero potuti colmare i vuoti. Ad iniziare da quelli creati dalle 15-20mila assunzioni mancate di questa estate, proprio per la mancanza di aspiranti da GaE e Gm. Fa rabbia pensare che in realtà i candidati più giovani ci sono, ma invecchiano da precari. Ancora di più sapere che dal 2018 chi è oggi nelle graduatorie d’istituto si dovrà sottoporre pure ad un colloquio valutativo ed una ulteriore valutazione, che lo porterà nei ruoli dello Stato almeno dopo un ulteriore biennio. E intanto la loro età sale. Anche perché non sono pochi quelli che al ruolo arrivano solo dopo i 60 anni . E chi se ne importa dei rischi di patologie derivanti da stress professionali; proprio tra i docenti risultano tra i più alti in assoluto, come ci ha detto lo studio decennale ‘Getsemani Burnout e patologia psichiatrica negli insegnanti’”.
“Viviamo in uno Stato – conclude Pacifico – dove evidentemente si preferisce far condannare il Miur alle spese per risarcimenti, per precisa violazione della normativa comunitaria per via delle reiterate supplenze di posti vacanti e disponibili, piuttosto che stabilizzarlo e dare alle scuole insegnanti giovani e un organico stabile. Si preferisce far indennizzare il precario vessato, attraverso le decisioni dei tribunali, con cifre che superano di molto pure i 36 mesi consentiti dall’Unione Europea, con punte di oltre 170mila euro ad un solo docente precario a cui è stata per troppi anni negata l’assunzione a tempo indeterminato, più i relativi scatti, ferie e quant’altro”.
Per approfondimenti:
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