Per l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, le regioni meridionali e le grandi Isole restano molto indietro rispetto alle altre, tanto che il divario della performance in termini di PISA (standard internazionali di valutazione) tra gli studenti della provincia autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a più di un anno scolastico. Inoltre, i laureati sono pochi, impreparati e demansionati.
Le indicazioni del sindacato: innalzamento dell’obbligo formativo dagli attuali 16 a 18 anni; adottare degli organici del personale differenziati: ripristinare il tempo scuola tagliato; ridurre i parametri numerici degli alunni per la costituzione delle classi; incrementare cosiddetti Cpia; per il comparto dell’Università, sarebbe importante eliminare il numero programmato negli atenei, dare più borse di studio, introdurre una vera riforma che preveda il ripristino di una figura chiave quale è quella del ricercatore a tempo indeterminato. Serve, infine l’approvazione di un piano di reclutamento straordinario e l’eliminazione delle mediane dalla valutazione nazionale perché non è la quantità ma la qualità della ricerca che bisogna valutare e apprezzare.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Non adottare almeno queste nuove linee di indirizzo a livello scolastico e universitario, comporterebbe un ulteriore allargamento della forbice che esiste nella formazione tra Nord e Sud. Il gap e l’indifferenza delle massime istituzioni è presente già dalla scuola del primo ciclo, visto che ci ritroviamo con un tempo piano fortemente presente al Settentrione, con oltre la metà degli alunni che ne usufruiscono in Lombardia, mentre al Sud la permanenza settimanale a scuola per circa 40 ore riguarda appena un alunno ogni sei. Largo quindi a provvedimenti mirati, supportati da un orientamento scolastico e universitario degno di questo nome, ed incrementando finalmente il Pil a favore dell’istruzione.
Diventa sempre più forte lo squilibrio di competenze scolastiche fra le aree territoriali italiane: lo dice l’Ocse, sottolineando che "le regioni del Sud restano molto indietro rispetto alle altre", tanto che "il divario della performance in termini di PISA (standard internazionali di valutazione) tra gli studenti della provincia autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a più di un anno scolastico". In generale, ci dice sempre l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, i laureati sono pochi, impreparati e demansionati.
Secondo il sindacato Anief-Cisal, le indicazioni che giungono dall’Ocse debbono necessariamente essere prese da subito in considerazione da chi gestisce il Paese sul fronte dell’istruzione pubblica, a tutti i livelli. Perché vanno adottati una serie di provvedimenti con estrema urgenza. A partire da quelli su cui risulta totale convergenza. Come l’innalzamento dell’obbligo formativo dagli attuali 16 a 18 anni: sullo spostamento in avanti di un biennio formativo, fino alla maggiore età, si è detta favorevole in estate anche la Ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. Anche il nostro giovane sindacato ha dato il suo assenso, sottolineando però che è al contempo fondamentale anticipare l’inizio della scuola primaria a 5 anni, spazzando via in questo modo qualsiasi tentazione di ridurre il percorso scolastico generale di un anno.
Per quanto riguarda la necessità di ridurre il gap di competenze tra alunni frequentanti la scuola in diverse aree del Paese, il sindacato continua a reputare indispensabile adottare degli organici del personale differenziati: una quantità di docenti e personale in numero maggiore, andrebbe adottata a partire dal Meridione, dove si registrano i dati peggiori. Ma anche nelle piccole isole, nelle zone montane, laddove è notevole il flusso migratorio oppure nei territori depressi economicamente e non di rado, considerando la morfologia dell’Italia, pure fortemente isolate. In questi casi, è evidente che vanno praticate delle deroghe ai limiti normativi previsti per la normalità.
Per tutti gli alunni, invece, va ripristinato il tempo scuola tagliato, a partire dalla riforma Berlusconi-Gelmini, la L.133/08, come vanno ridotti i parametri numerici degli alunni per la costituzione delle classi, visto che per mere esigenze di bilancio si continuano a formare classi-pollaio anche da oltre 30 allievi e pur in presenza di alunni disabili gravi. Parallelamente, per cercare di ridurre il divario rispetto alla media Ocse sui titoli di studio conseguiti rispetto alla cittadinanza, va adottato un sensibile incremento dei cosiddetti Cpia, ovvero degli istituti scolastici e d’istruzione rivolti agli adulti.
Per quanto riguarda il comparto dell’Università, sarebbe importante adottare l’eliminazione del numero programmato negli atenei, incrementare le borse di studio, come chiedono a ragione da anni le associazioni studentesche, introdurre una vera riforma accademica che preveda finalmente il ripristino di una figura chiave quale è quella del ricercatore a tempo indeterminato: costoro, andrebbero collocati nella prima fascia della docenza, cui segue quella tradizionale di associato e ordinario piano. Sempre per l’Università, serve infine l’approvazione di un piano di reclutamento straordinario e l’eliminazione delle mediane dalla valutazione nazionale perché non è la quantità ma la qualità della ricerca che bisogna valutare e apprezzare.
“Non adottare almeno queste nuove linee di indirizzo a livello scolastico e universitario – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – comporterebbe un ulteriore allargamento della forbice che esiste nella formazione tra Nord e Sud. Il gap e l’indifferenza delle massime istituzioni è presente già dalla scuola del primo ciclo, visto che ci ritroviamo con un tempo piano fortemente presente al Settentrione, con oltre la metà degli alunni che ne usufruiscono in Lombardia, mentre al Sud la permanenza settimanale a scuola per circa 40 ore riguarda appena un alunno ogni sei. Altrimenti – conclude Pacifico -, senza provvedimenti mirati a livello territoriale, supportati da un orientamento scolastico e universitario degno di questo nome, non incrementando il Pil a favore dell’istruzione, il rischio di ritrovarci con due Italie anche sul fronte della formazione si fa sempre più concreto”.
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