Alla presenza dei sindacati indipendenti europei, di rappresentanti della Commissione europea e del Governo tedesco, nel corso del Convegno dell'Accademia Europa della Cesi sulla Formazione professionale, il modello adottato nel nostro Paese con la Legge 107/2015 incassa pesanti osservazioni: a pesare come un macigno è aver portato le esperienze in azienda forzatamente a regime senza presupposti normativi alle spalle e regole certe di stampo nazionale, indispensabili per tutelare gli studenti impegnati negli stage aziendali.
Dopo aver rilevato la minore ricettività delle aziende nell’accogliere gli studenti in formazione, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, passato dal 25% al 20%, diversi relatori si sono detti concordi nel rivendicare una direttiva UE sui diritti e doveri degli studenti lavoratori, sul rapporto tra aziende e apprendisti alla fine del tirocinio per agevolarne l'assunzione sui disabili e le possibili occupazioni. Durante gli interventi, è stato denunciato l'alto tasso di abbandono scolastico italiano e gli ultimi abusi delle aziende, che dovrebbero essere puniti dalla procura piuttosto che identificati come innocente sfruttamento.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir-Cisal): Per rimediare a questi limiti, occorrerebbe incentivare le aziende, attraverso regole certe e finanziamenti chiari. Solo responsabilizzando e coinvolgendo le aziende in modo attivo si potrà parlare finalmente di progetti di alternanza scuola-lavoro di ‘nobiltà’. Serve un programma di formazione non improvvisato e piegato al volere delle aziende, come avviene oggi, ma ben definito sia a livello di amministrazione centrale che di singolo istituto scolastico superiore.
L’applicazione dell'alternanza scuola-lavoro introdotta in Italia riceve aspre critiche pure a Berlino, nel corso del Convegno dell'Accademia Europa della Cesi sulla Formazione professionale, dal titolo “Focus sull’insegnamento professionale e l’apprendistato, ponte tra istruzione e mondo del lavoro”: alla presenza dei sindacati indipendenti europei, di rappresentanti della Commissione europea e del Governo tedesco, il modello adottato nel nostro Paese con la Legge 107/2015 ha incassato pesanti osservazioni. A pesare come un macigno è aver portato le esperienze in azienda forzatamente a regime senza presupposti normativi alle spalle e regole certe di stampo nazionale, indispensabili per tutelare gli studenti impegnati negli stage aziendali.
Durante l’incontro – moderato da Kerstin BORN-SIRKEL dello European Policy Centre (EPC) - è stata più volte espressa l’esigenza di giungere ad un punto di equilibrio, ad una vera complementarietà tra conoscenza e saper fare. Klaus Dauderstadt, presidente del dbb Berlino, ha ricordato che "la formazione professionale si deve basare sul fondamento della conoscenza. Da essa nascono la comprensione e la comunicazione, essa è la base per la tolleranza e la democrazia. La formazione prepara l'Europa al futuro, è un elemento irrinunciabile: senza di essa non si mantiene né il mercato sociale, né il benessere, né la pace. Dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare tutti insieme per sostenere e sviluppare la formazione professionale".
Dopo aver rilevato la minore ricettività delle aziende nell’accogliere gli studenti in formazione, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro, passato dal 25% al 20%, diversi relatori si sono detti concordi nel rivendicare una direttiva UE sui diritti e doveri degli studenti lavoratori, sul rapporto tra aziende e apprendisti alla fine del tirocinio per agevolarne l'assunzione sui disabili e le possibili occupazioni. Durante gli interventi, è stato denunciato l'alto tasso di abbandono scolastico italiano e gli ultimi abusi delle aziende, che dovrebbero essere puniti dalla procura piuttosto che identificati come innocente sfruttamento.
“Per rimediare a questi limiti, occorrerebbe incentivare le aziende, attraverso regole certe e finanziamenti chiari - ha ricordato Marcello Pacifico, presidente Anief, rappresentante Confedir e Cisal –: solo responsabilizzando e coinvolgendo le aziende in modo attivo si potrà parlare finalmente di progetti di alternanza scuola-lavoro di ‘nobiltà’. Serve un programma di formazione non improvvisato e piegato al volere delle aziende, come avviene oggi, ma ben definito sia a livello di amministrazione centrale che di singolo istituto scolastico superiore”.
Pacifico ha ribadito la centralità di uno statuto nazionale utile per stipulare convenzioni con i datori di lavoro, in modo da scongiurare il rischio di sfruttare i ragazzi, magari lasciandoli tutto il giorno a fare le fotocopie o a pulire i bagni. Fondamentale è anche l’approvazione del regolamento-base nazionale, indicante le regole organizzative per svolgere le esperienze in azienda, presso gli enti accrediti dalla Camera di Commercio, proprio al fine di evitare fenomeni di mancata formazione e sfruttamento. Sarebbe anche importante, a tale scopo, rimettere mano al Testo Unico sulla sicurezza, il D.L. 81 del 2008, riguardante i piani predisposti dalle scuole organizzatrici e dalle aziende ospitanti gli allievi. Oltre che incentivare le aziende, operando assieme al Ministero del Lavoro.
Anche per Helen Hoffman, della Commissione europea, DG EMPL, “occorre il prima possibile istituire una commissione europea di qualità, che valuti le esperienze in azienda sempre sulla base di un supporto pedagogico. Risulta poi indispensabile l’istituzione di un compenso economico per le aziende e un contratto assicurativo per i giovani che partecipano alla formazione. Sono delle condizioni imprescindibili, che valgono per tutti i Paesi membri e che preparano l’Europa del futuro”.
Per approfondimenti:
Precari, non è bastata la Buona Scuola: è record, 3 su 4 della PA sono docenti e Ata
Graduatorie precari sbagliate e da rifare: la linea del Miur frana davanti ai giudici
Miur avanti tutta sulle leggi delega della “Buona Scuola”, ma senza modifiche l’autogol è sicuro
Buona Scuola, CdM approva 8 decreti attuativi: per Anief è l’inizio di un percorso da completare
Maturità al via, dal 2018/19 sarà più facile: primo passo verso l’abolizione del suo valore legale?
Studenti in sciopero per l’alternanza scuola-lavoro che non va, perché hanno ragione