Sta provocando reazioni importanti la recente sentenza 190/2018 della sesta Sezione Penale che ha correttamente disposto come, anche in presenza di minime possibilità di verificarsi dell’evento (rischio sismico basso o 4 categoria), l’inosservanza delle norme tecniche rappresenti sempre una violazione allo standard minimo di sicurezza strutturale. Partendo dal presupposto che i terremoti non possono essere previsti neanche dal più affinato degli algoritmi oggi implementati dall’uomo, ne consegue che bisogna dare seguito alla chiusura, a scopo di prevenzione, di tutte quelle scuole che non rispettano in toto gli standard di sicurezza previsti dalle norme tecniche per le costruzioni. Per tali motivi, Udir-Confedir ha predisposto un modello di diffida, rivolto non solo ai proprietari degli immobili ma anche ai relativi Prefetti, solo per i propri iscritti a salvaguardia e tutela di quei Dirigenti che, individuati come titolari delle attività scolastiche, hanno il preciso compito di valutare tutti i rischi tra cui quello sismico.
Nel caso della sentenza 190 della Corte di Cassazione, l’intervento dei giudici si era reso necessario dopo che il sindaco di un comune toscano è stato indagato per omissione di atti di ufficio, in quanto non aveva provveduto a chiudere, revocando di fatto il sequestro preventivo disposto dal Gip, il plesso scolastico di una frazione del suo comune, poiché dal certificato di idoneità statica dell’immobile (del 28 giugno 2013) se ne certificava la non idoneità sismica. Ricorrendo al Tribunale del Riesame, il primo cittadino aveva ottenuto la riapertura della scuola. Si è ricorsi in Cassazione, denunciando l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale e delle norme integrative. Il pm ha correttamente sostenuto che la scuola doveva essere chiusa perché il pericolo per l’incolumità pubblica risiede nella non prevedibilità dei terremoti e deve intendersi insito nella violazione della normativa di settore, indipendentemente dall’esistenza di un pericolo in concreto.
Marcello Pacifico (presidente Udir): I capi d’istituto non possono farsi carico di errori non propri. In presenza di rischi, la scuola deve chiudere. Lo dicono i giudici, senza se e senza ma. E, siccome secondo il nostro centro studi non esiste scuola sicura, soprattutto perché la metà degli edifici scolastici è stata costruita prima del 1971, diciamo: niente indugi, a costo di negare un servizio pubblico, certe scuola chiudano pure. Anche perché la stessa giustizia non fa sconti: vale per tutti l’incredibile vicenda dell’ex preside del convitto dell’Aquila, condannato al carcere per il crollo dell’edificio a seguito del terremoto del 2009 e che alcuni mesi fa ha visto l’intervento del Capo dello Stato che ha concesso una grazia parziale sulla condanna. Pur superare questa norma assurda, perché a tutt’oggi i presidi non hanno margini di intervento né poteri di spesa sull’edilizia scolastica ma solo responsabilità, l’Udir aveva presentato uno specifico emendamento alla Legge di Stabilità 2018 che però non ha avuto seguito. Ora, dopo la sentenza della Cassazione d’inizio anno, in presenza di certificate condizioni di rischio i presidi non hanno più scelta: la chiusura dello stabile non si può rimandare. Anche là dove il rischio terremoto sia minore. E non si venga a parlare di interruzione di servizio pubblico, perché se la sicurezza viene prima di tutto questo è il prezzo da pagare.
Fa discutere la recente sentenza 190/2018 della sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, che ha correttamente disposto come, anche in presenza di minime possibilità di verificarsi dell’evento (rischio sismico basso o 4 categoria), l’inosservanza delle norme tecniche (NTC 2008) rappresenti sempre una violazione allo standard minimo di sicurezza strutturale. Partendo dal presupposto che i terremoti non possono essere previsti neanche dal più affinato degli algoritmi oggi implementati dall’uomo, ne consegue che bisogna dare seguito alla chiusura, a scopo di prevenzione, di tutte quelle scuole che non rispettano in toto gli standard di sicurezza previsti dalle norme tecniche per le costruzioni.
“Il sindacato Udir – commenta il suo presidente nazionale Marcello Pacifico - lo sostiene da tempo: i capi d’istituto non possono più farsi carico di errori non propri. In presenza di rischi, quindi la scuola deve chiudere. Lo dicono i giudici, senza se e senza ma. E, siccome secondo il nostro centro studi non esiste scuola sicura, soprattutto perché la metà degli edifici scolastici è stata costruita prima del 1971, diciamo: niente indugi, a costo di negare un servizio pubblico, certe scuola chiudano pure. Anche perché la stessa giustizia non fa sconti ai dirigenti scolastici: vale per tutti l’incredibile vicenda dell’ex preside del convitto dell’Aquila, condannato ad alcuni anni di carcere per il crollo dell’edificio a seguito del terremoto del 2009 e che alcuni mesi fa ha visto l’intervento del Capo dello Stato che ha concesso una grazia parziale sulla condanna penale”.
“Pur superare questa norma assurda, poiché a tutt’oggi i presidi non hanno margini d’intervento né poteri di spesa sull’edilizia scolastica ma solo responsabilità, l’Udir aveva presentato uno specifico emendamento alla Legge di Stabilità 2018, attraverso il vice-presidente dell’XI Commissione Lavoro pubblico e privato, Walter Rizzetto, che però non ha avuto seguito. Ora, dopo la sentenza della Cassazione d’inizio anno, in presenza di certificate condizioni di rischio i presidi non hanno più scelta: la chiusura dello stabile non si può rimandare, altrimenti ne rispondono in prima persona. Prima di tutto per prevenire danni ed eventuali conseguenze fisiche a chi vi opera ed evitare il carcere agli stessi presidi. La novità è che questa procedura va attuata anche là dove il rischio terremoto sia minore. E non si venga a parlare di interruzione di servizio pubblico, perché se la sicurezza viene prima di tutto questo è il prezzo da pagare”.
Nel caso della sentenza 190 della Corte di Cassazione, l’intervento dei giudici si era reso necessario dopo che il sindaco di un comune toscano è stato indagato per omissione di atti di ufficio, in quanto non aveva provveduto a chiudere, revocando di fatto il sequestro preventivo disposto dal Gip, il plesso scolastico di una frazione del suo comune, poiché dal certificato di idoneità statica dell’immobile (redatto il 28 giugno 2013) se ne certificava la non idoneità sismica. Ricorrendo al Tribunale del Riesame, il primo cittadino aveva ottenuto la riapertura della scuola con motivazione di insussistenza di “un pericolo concreto ed attuale di crollo ragionevolmente derivante dal protratto utilizzo del bene secondo destinazione d’uso, avuto riguardo all’attività scolastica svolta ininterrottamente dalla fine degli anni Sessanta”.
L’ordinanza rilevava inoltre che “in applicazione del cosiddetto indicatore del rischio di collasso previsto dalle Norme tecniche per le costruzioni emanate con decreto il 14 gennaio 2008”, dall’accertamento redatto nel certificato di idoneità statica “il rischio sismico era risultato pari a 0,985 registrando in tal modo una inadeguatezza minima rispetto ai vigenti parametri costruttivi antisismici soddisfatti al raggiungimento del valore ‘1’”.
Si è ricorsi in Cassazione, denunciando l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale e delle norme integrative in materia antisismica. Il pm ha correttamente sostenuto che la scuola doveva essere chiusa perché il pericolo per l’incolumità pubblica risiede nella non prevedibilità dei terremoti e deve intendersi insito nella violazione della normativa di settore, indipendentemente dall’esistenza di un pericolo in concreto o dal fatto che possa la struttura insistere in una zona a rischio sismico basso.
Non rilevando di conseguenza che il plesso insista su un territorio classificato a bassa sismicità è obbligo di tutti i Dirigenti Italiani che si trovano in tali zone diffidare immediatamente il proprietario dell’immobile ai sensi dell’art. 18 comma 3 ter del D. Lgs. 81/08 e s.m.i. L’UDIR-Confedir ha predisposto un modello di diffida, rivolto non solo ai proprietari degli immobili ma anche ai relativi Prefetti, solo per i propri iscritti a salvaguardia e tutela di quei Dirigenti che, individuati come titolari delle attività scolastiche, hanno il preciso compito di valutare tutti i rischi tra cui quello sismico. Inoltre, nella diffida deve essere richiesta la valutazione dell’indice di vulnerabilità sismica dell’edificio scolastico come proposto nei seminari itineranti che l’UDIR ha predisposto su tutto il territorio nazione e su tutte le quattro zone sismiche.
Infatti gli ermellini hanno correttamente valutato, come se fosse un DVR, che il rischio sismico, apprezzato in chiave generale su tutto il territorio nazionale e classificato in zone con indicazione, per ciascuna della percentuale di esposizione dell’evento sismico, si traduce nella mappatura dell’intero patrimonio immobiliare con attribuzione alle singole costruzioni di un indicatore del “rischio di collasso”, calcolato in ragione dell’esposizione al rischio sismico di zona. L’inosservanza della regola tecnica di edificazione proporzionata al relativo rischio sismico di zona, anche ove questo si attesti su percentuali basse di verificabilità (in base alla storicità dei terremoti registrati nel tempo – vedi zone 4 a basso rischio ), integra pur sempre la violazione di una norma di aggravamento del pericolo e come tale va indagata e rileva ai fini dell’applicabilità del sequestro preventivo e pertanto l’inibizione totale della struttura stessa al fine di non esporre i lavoratori e l’utenza tutta al relativo rischio sismico. I giudici di Cassazione hanno quindi ritenuto fondato il ricorso e hanno disposto l’annullamento dell’ordinanza. La causa quindi tornerà al Tribunale di Grosseto per un nuovo esame.
FOCUS NORMATIVO SULLE MODALITÀ ANTISISMICHE DA ATTUARE PER GLI EDIFICI SCOLASTICI
La normativa italiana di riferimento per la antisismica strutturale degli edifici (tra cui anche quelli scolastici) ebbe inizio da un punto di vista legislativo un anno dopo il terremoto di Messina del 1908. Dal 1909 ad oggi vi sono avvicendate tante norme che di anno in anno si sono evolute per garantire prestazioni di sicurezza sempre crescenti mirate alla salvaguardia della vita umana. Alcuni momenti legislativi che hanno segnato l’iter tecnico-amministrativo sono state la n. 64 del 02/02/74, il DM del’96 con il passaggio allo stato limite di servizio di salvaguardia della vita, le norme comunitarie con gli Euro Codici ed il DM 14/01/2008 (NTC 2008) tutt’oggi in vigore quale norma tecnica cogente. In realtà il Governo Italiano, alla luce delle recenti scosse sismiche nel centro Italia, ha dato una spinta per l’evoluzione della norma vigente con le recentissime norme tecniche per le costruzioni del 2018. Infatti è stato firmato il decreto sulle NTC2018 che sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale entro la fine di febbraio prossimo e comunque prima delle elezioni politiche fissate per il prossimo 4 marzo 2018. Le NTC2018 sostituiscono le vigenti NTC2008 ed entreranno in vigore 30 giorni dopo la pubblicazione nella G.U.
Queste norme ai sensi dell’art. 2 dello stesso decreto disciplina l’ambito di applicazione e le disposizioni transitorie: “Nell’ambito di applicazione del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, per le opere pubbliche o di pubblica utilità (tra cui le scuole pubbliche) in corso di esecuzione, per i contratti pubblici di lavori già affidati, nonché per i progetti definitivi o esecutivi già affidati prima della data di entrata in vigore delle norme tecniche per le costruzioni di cui all’articolo 1, si possono continuare ad applicare le previgenti norme tecniche (NTC 2008) per le costruzioni fino all’ultimazione dei lavori ed al collaudo statico degli stessi.
Alla luce dell’excursus legislativo di cui sopra, è da evidenziare che la nostra nazione è stata da tempo classificata in zone sismiche dalla prima alla quarta categoria come sotto riportato: zona 1, la più pericolosa perché possono verificarsi fortissimi terremoti; zona 2, in questa zona possono verificarsi forti terremoti; zona 3, in questa zona possono verificarsi forti terremoti ma rari; zona 4, la zona meno pericolosa perché i terremoti sono rari. Di fatto, sparisce il territorio che prima era definito “non classificato” – Rischio Basso, e viene introdotta la zona 4, nella quale è facoltà delle Regioni prescrivere l’obbligo della progettazione antisismica.
A ciascuna zona, inoltre, viene attribuito un valore dell’azione sismica utile per la progettazione, espresso in termini di accelerazione massima su roccia (zona 1=0.35 g, zona 2=0.25 g. zona 3=0.15 g, zona 4=0.05 g).Nel 2003 prima dell’entrata in vigore dell’NTC 2008 l’emanazione dell'ordinanza n.3274 ha permesso di ridurre notevolmente la distanza fra la conoscenza scientifica consolidata e la sua traduzione in strumenti normativi e ha portato a progettare e realizzare costruzioni nuove, più sicure ed aperte all’uso di tecnologie innovative nel rispetto degli stati limite ultimi di salvaguardia della vita umana.
Inoltre in seno all’opcm 3274/03 vi è stato lo studio di pericolosità sul territorio nazionale poi adottato con l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3519 del 28 aprile 2006. Questo studio di pericolosità, allegato all’Opcm n. 3519, ha fornito alle Regioni uno strumento aggiornato per la classificazione del proprio territorio, introducendo degli intervalli di accelerazione (ag), con probabilità di superamento pari al 10% in 50 anni, da attribuire sempre alle 4 zone sismiche. Ora, alcune Regioni hanno classificato il territorio nelle quattro zone proposte, altre Regioni hanno classificato diversamente il proprio territorio, ad esempio adottando solo tre zone (zona 1, 2 e 3) e introducendo, in alcuni casi, delle sottozone per meglio adattare le norme alle caratteristiche di sismicità.
Qualunque sia stata la scelta regionale, a ciascuna zona o sottozona è stato attribuito un valore di pericolosità di base, espressa in termini di accelerazione massima su suolo rigido (ag). Le attuali Norme Tecniche per le Costruzioni (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008), infatti, hanno modificato il ruolo che la classificazione sismica aveva ai fini progettuali: per ciascuna zona – e quindi territorio comunale – precedentemente veniva fornito un valore di accelerazione di picco e quindi di spettro di risposta elastico da utilizzare per il calcolo delle azioni sismiche da imputare nelle relative modellazioni strutturali.
Dal 1° luglio 2009 con l’entrata in vigore delle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008, per ogni costruzione ci si deve riferire ad una accelerazione di riferimento “propria” individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale dell’opera. Un valore di pericolosità di base, dunque, definito per ogni punto del territorio nazionale, indipendentemente dai confini amministrativi comunali.
Pertanto a prescindere dalla pericolosità sismica e quindi dalla relativa classificazione che sono anche legate alla storicità dei terremoti che hanno colpito le varie zone, limitatamente alle costruzioni ordinarie presenti nei siti ricadenti in zona 4, per le costruzioni di tipo 1 e 2 e di classe d'uso I e II, la norma consente l'utilizzo della "vecchia" metodologia di calcolo alle tensioni ammissibili di cui al D.M. 16 gennaio 1996, ma obbliga comunque a tenere conto dell'azione sismica con l'assunzione di un grado di sismicità convenzionale.
Ciò vuol dire che un edificio scolastico anche se trova in zona a basso rischio sismico deve pur sempre rispettare dei dettami di sicurezza per la struttura intesa come involucro che può deformarsi con l’attivazione di un determinato quadro fessurativo anche legato alle gerarchie di resistenza di punti nodali in cui possono attivarsi precise “cerniere plastiche”. Infatti, un edificio scolastico deve essere chiuso anche se si trova in un’area a basso rischio sismico se si rileva un minimo scostamento in deficit, rispetto ai parametri minimi di sicurezza previsti dalle NTC 2008.
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