È stato firmato il decreto che esonera il personale dell’infanzia dall’aumento di cinque mese dell’età pensionabile. Il giovane sindacato è pronto ad andare in tribunale per estenderlo a tutto il personale docente: secondo le più recenti indagini conoscitive dell’Istat, infatti, quella dei docenti risulta in assoluto la categoria più usurante per rischio di lavoro correlato. E anche gli studi epidemiologici giungono alla stessa conclusione.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Nei prossimi giorni forniremo le indicazioni per contrastare una norma che, per la prima volta, distingue in base al ciclo scolastico nel quale i docenti prestano servizio. Questo provvedimento anticipa quelle idee, diffuse nell’ultimo periodo, che vorrebbero autorizzare il pensionamento dei lavoratori italiani in base alla speranza di vita legata alle singole categorie professionali, addirittura al sesso e al titolo di studio. Invece, va assolutamente adeguata l’uscita dal lavoro all’età media oggi in vigore nei Paesi europei, ovvero 63 anni.
Via libera al decreto attuativo che esenta quindici categorie di lavoratori, che svolgono compiti particolarmente gravosi, dall'aumento dell'età pensionabile a 67 anni nel 2019. Per loro, preannuncia La Repubblica, resterà il limite di età di 66 anni e sette mesi e anche in caso di ulteriori aumenti dell'età per andare a riposo potranno godere di un "vantaggio" di cinque mesi sugli altri lavoratori. "Firmato da Giuliano Poletti il decreto che esenta 15 professioni gravose da adeguamento età pensionabile a speranza di vita. Il sistema pensionistico non va scardinato. Vanno protette le fasce più esposte della società" ha annunciato su Twitter il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.
“L'accordo sulle categorie da esentare – scrive ancora il quotidiano - era già stato raggiunto lo scorso novembre: si tratta di operai dell'industria estrattiva, operai dell'edilizia e della manutenzione degli edifici, conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni, conciatori di pelli e pellicce, conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante, conduttori di mezzi pesanti e camion, personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni, addetti all'assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza, insegnanti della scuola dell'infanzia ed educatori degli asili nido, facchini e addetti allo spostamento merci, personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia, operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti, operai agricoli, marittimi, pescatori e operai siderurgici di seconda fusione”.
L’Anief continua a chiedersi il motivo per cui gli altri insegnanti della scuola pubblica non siano stati inseriti nella rosa dei professionisti che operano in ambienti di lavoro stressanti e logoranti. Gli ambienti di lavoro e le condizioni dove si opera a livello lavorativo quotidiano sono molto simili, così come il livello di impegno e, soprattutto, il continuo confronto con giovani in formazione.
“Nei prossimi giorni forniremo le indicazioni per contrastare una norma che, per la prima volta, distingue in base al ciclo scolastico nel quale i docenti prestano servizio. Questo provvedimento anticipa quelle idee, diffuse nell’ultimo periodo, che vorrebbero autorizzare il pensionamento dei lavoratori italiani in base alla speranza di vita legata alle singole categorie professionali, addirittura al sesso e al titolo di studio. Invece, va assolutamente adeguata l’uscita dal lavoro all’età media oggi in vigore nei Paesi europei, ovvero 63 anni”.
“Chi lavora a scuola – continua il sindacalista Anief-Cisal – è stato molto penalizzato dal nuovo meccanismo pensionistico. Perché oltre che a percepire stipendi bassi, non a caso bloccati da quasi un decennio e privati anche dell’indennità di vacanza contrattuale, avranno anche pensioni più piccole. La vera beffa è che tutto questo avviene mentre in Germania un insegnante continua a lasciare il lavoro per il pensionamento dopo circa 25 anni di servizio e senza particolari penalizzazioni. Mentre in Francia si lascia ancora oggi tra i 60 e i 62 anni. Sono dati pubblici, su cui varrebbe la pena riflettere”.
Il sindacato ricorda che ci sono delle professioni, come quella di chi opera a scuola, docenti e Ata, che meritano considerazione per essere derogate dagli innalzamenti dell’età per lasciare il lavoro: oltre una certa età, attorno ai 60 anni, un lavoratore che opera a stretto contatto con bambini e ragazzi in crescita ha la forte esigenza di andare in pensione. Svolgendo un lavoro di relazione, chi opera nella scuola accumula infatti un grado di stress che alla lunga può sfociare in disturbi se non in patologie: lo dicono i più autorevoli studi in materia, come lo studio decennale ‘Getsemani Burnout e patologia psichiatrica negli insegnanti’. Lo testimonia, proprio in questi giorni, il successo della petizione, promossa dal medico Vittorio Lodolo D’Oria, tra i massimi esperti nazionali di “stress lavoro correlato”, attraverso cui si chiedono stipendi adeguati, pensione anticipata e tutela della salute dei docenti.
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