Il rinnovo contrattuale del 9 febbraio scorso, sottoscritto all’Aran qualche giorno fa, recepisce per intero il comma 1 dell’art. 19 del CCNL/2007: “Al personale docente, educativo ed ATA assunto a tempo determinato, ivi compreso quello di cui al precedente comma 5, sono concessi permessi non retribuiti, per la partecipazione a concorsi od esami, nel limite di otto giorni complessivi per anno scolastico, ivi compresi quelli eventualmente richiesti per il viaggio. Sono, inoltre, attribuiti permessi non retribuiti, fino ad un massimo di sei giorni”. Pertanto, l’insegnante e il personale Ata, anche supplente di lunga durata, hanno diritto, a domanda, nell’anno scolastico, a sei giorni di permesso non retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione. In sostanza, è come se le esigenze personali e familiari di tali dipendenti abbiano un valore ridotto rispetto ai colleghi che hanno sottoscritto un contratto a tempo indeterminato.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Sono forse lavoratori di serie B? Ogni norma pattizia che discrimina il personale della scuola soltanto per la durata della prestazione del servizio va censurata e disapplicata. Sarebbe ora che i sindacati rappresentativi se ne rendano conto, al di là dei proclami, poi sistematicamente smentiti nei testi sottoscritti a braccetto con l’Aran. La verità è che la normativa europea va rispettata: questo principio, tra l’altro, non riguarda solo i permessi, ma vale anche per la progressione economica, su ferie, permessi, malattia, congedo, card per la formazione: tutti passaggi che nel contratto escludono ancora coloro che non hanno stipulato un contratto a tempo indeterminato. Perché bisogna ricorrere sempre in tribunale per tutelare i propri diritti?
Il rinnovo contrattuale della scuola non colma il gap esistente tra il personale di ruolo e quello precario: mentre la giurisprudenza europea impone l’adozione di regimi non discriminatori, attraverso sentenze e direttive derivanti dalla 70CE emessa dal Consiglio nel 1999, nel nostro Paese sindacati rappresentativi e amministrazione pubblica continuano a fare a gara nell’ignorare tali indicazioni. D’altronde, nell’epoca della precarietà, con i Paesi membri che devono fare i conti con un altissimo numero di cittadini che vivono uno stato lavorativo tutt’altro che lineare, per non parlare di chi non ha occupazione e del boom di Neet (in Italia un ragazzo tra i 15 e i 29 anni su 4 non è occupato o non è iscritto a un percorso di formazione), uno Stato moderno non può permettersi il lusso di continuare a negare l’allargamento dei diritti al personale precario. Come purtroppo, invece, avviene in Italia. A partire dalla Scuola.
Il nuovo contratto, in via di approvazione definitiva dopo l’accordo del 9 febbraio scorso all’Aran, recepisce infatti per intero anche il comma 1 dell’art. 19 del CCNL/2007. Il quale afferma che “al personale assunto a tempo determinato, [omissis] si applicano, nei limiti della durata del rapporto di lavoro, le disposizioni in materia di ferie, permessi ed assenze stabilite dal presente contratto per il personale assunto a tempo indeterminato, con” una serie di precisazioni: “Al personale docente, educativo ed ATA assunto a tempo determinato, ivi compreso quello di cui al precedente comma 5, sono concessi permessi non retribuiti, per la partecipazione a concorsi od esami, nel limite di otto giorni complessivi per anno scolastico, ivi compresi quelli eventualmente richiesti per il viaggio. Sono, inoltre, attribuiti permessi non retribuiti, fino ad un massimo di sei giorni, per i motivi previsti dall’art.15, comma 2”.
Pertanto – riassume Orizzonte Scuola - ha diritto, a domanda, nell’anno scolastico, a sei giorni di permesso non retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione, con il dirigente chiamato a svolgere su tali richieste solo “un mero controllo di tipo formale” poiché “diverse sentenze dei tribunali e l’ARAN hanno chiaramente decretato che non vi è nessuna discrezionalità del dirigente nella concessione del permesso”. In sostanza, è come se le esigenze personali e familiari di tali dipendenti abbiano un valore ridotto rispetto ai colleghi che hanno sottoscritto un contratto a tempo indeterminato.
L’unica organizzazione sindacale a non capacitarsi di questa situazione di stallo è l’Anief. Infatti, il suo presidente nazionale, Marcello Pacifico, si chiede: “Perché i supplenti docenti e Ata, nemmeno gli annuali, nel vecchio contratto, come nel nuovo, non hanno diritto ai permessi retribuiti? Sono forse lavoratori di serie B? Ogni norma pattizia che discrimina il personale della scuola soltanto per la durata della prestazione del servizio va censurata e disapplicata. Sarebbe ora che i sindacati rappresentativi se ne rendano conto, al di là dei proclami, poi sistematicamente smentiti nei testi sottoscritti a braccetto con l’Aran”.
“La verità – conclude Pacifico – è che la normativa europea va rispettata: questo principio, tra l’altro, non riguarda solo i permessi, ma vale anche per la progressione economica, su ferie, permessi, malattia, congedo, card per la formazione: tutti passaggi che nel contratto escludono ancora coloro che non hanno stipulato un contratto a tempo indeterminato. Perché bisogna ricorrere sempre in tribunale per tutelare i propri diritti?”
A questo proposito, Anief invita il personale precari interessato a ricorrere per farsi valere la stabilizzazione, gli scatti di anzianità e l’estensione dei contratti dal 30 giugno al 31 agosto, oltre che per rivendicare diversi altri diritti negati.
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