Accreditati in media 435 euro lordi solo ad una piccola fetta di lavoratori statali, riconducibile ai lavoratori delle Funzioni centrali, ovvero dell’ex comparto dei Ministeri, cui fanno capo Agenzie fiscali, Enti pubblici non economici ed Enti ex art.70: considerando la quota fiscale e previdenziale da sottrarre, l’utile netto pro capite si aggira sui 204 euro netti per redditi medi sui 30 mila euro. Secondo l'ipotesi firmata all’Aran dai sindacati Confederali il 9 febbraio scorso, la stessa cifra toccherà anche ai docenti e al personale Ata della scuola. La quota dovrebbe giungere a circa un milione e 200 mila dipendenti il prossimo 1° aprile, pochi giorni prima del voto per il rinnovo delle elezioni Rsu. Quello che l’Anief ha definito il contratto della vergogna trova quindi conferma negli arretrati.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Se si studia il tasso di inflazione programmata, dai calcoli realizzati dall’ufficio studi Anief risultano circa 6.270 euro, che corrispondono a 2940 euro netti: una somma quattordici volte superiore, che comprende anche incluse le ultime quattro mensilità del 2015 sparite nell'accordo. Per non parlare dei tre mesi iniziali del 2018, anche questi dissolti nel nulla. Le cifre, pure quando divise per il lordo Stato (1,3838) e poi a fine anno decurtate dalla tassazione (in media del 35%), risultano lontanissime dall'aumento del costo della vita, unico parametro costituzionale da rispettare per stabilire se gli aumenti sono equi. Basti pensare che in assenza della firma del contratto, la legge italiana prevede l'erogazione del 50% mensile del tasso di inflazione programmata, tasso anch'esso bloccato dal 2008 al 2021 da una legge che presto sarà scrutinata dalla stessa Consulta. Per questi motivi, perché i dipendenti pubblici non sono figli di un dio minore, il nostro sindacato ha messo a disposizione un modello di diffida che interrompe i termini di prescrizione delle somme loro sottratte da uno Stato che continua a trattare i suoi lavoratori come dei sudditi.
La lunga attesa è finita: giovedì scorso, 1° marzo, i dipendenti pubblici hanno ricevuto l’accreditamento degli arretrati derivanti dagli incrementi degli stipendi tabellari mensili lordi previsti dal contratto nazionale di lavoro 2016-2018. Si tratta, tuttavia, ha ricordato l’amministrazione centrale, solo di una piccola fetta di lavoratori statali, che non arriva a 250 mila unità, riconducibile ai lavoratori delle Funzioni centrali, ovvero dell’ex comparto dei Ministeri, cui fanno capo Agenzie fiscali, Enti pubblici non economici ed Enti ex art.70.
In media, sono stati accreditati 435 euro per il biennio 2016/2017 lordo stato a dipendente: considerando la quota fiscale e previdenziale da sottrarre, l’utile netto pro capite si aggira sui 204 euro netti per redditi medi sui 30 mila euro. Secondo l'ipotesi firmata all’Aran dai sindacati Confederali il 9 febbraio scorso, la stessa cifra toccherà anche ai docenti e al personale Ata della scuola. La quota dovrebbe giungere a circa un milione e 200 mila dipendenti il prossimo 1° aprile, pochi giorni prima del voto per il rinnovo delle elezioni Rsu. E probabilmente, sempre tra un mese, a tutti gli altri dipendenti della pubblica amministrazione, per un totale di tre milioni di statali.
“Il problema – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal - è che se si studia il tasso di inflazione programmata, non quella certificata o reale certamente maggiore, i nostri dipendenti pubblici avrebbero dovuto ottenere complessivamente degli arretrati di ben altro spessore: dai calcoli realizzati dall’ufficio studi Anief risultano circa 6.270 euro, che corrispondono a 2940 euro netti: una somma quattordici volte superiore, che comprende anche incluse le ultime quattro mensilità del 2015 sparite nell'accordo. Per non parlare dei tre mesi iniziali del 2018, pure questi dissolti nel nulla”.
Quello che l’Anief ha definito il contratto della vergogna trova quindi conferma negli arretrati. I quali si sommano agli aumenti contrattuali-miseria: appena + 0,36 per il 2016, a fronte del +8,52 qualora si fosse applicata l’indennità di inflazione programmata, solo un incremento di 1,09 per il 2017 a fronte del + 9,32; addirittura uno zero tondo rispetto al +8,50 delle 4,3 mensilità del 2015 non calcolate, eppure da includere dopo la pubblicazione della sentenza della Consulta del giugno 2015.
“Le cifre – continua il sindacalista Anief-Cisal - anche quando divise per il lordo Stato (1,3838) e poi a fine anno decurtate dalla tassazione (in media del 35%), risultano lontanissime dall'aumento del costo della vita, unico parametro costituzionale da rispettare per stabilire se gli aumenti sono equi. Basti pensare che in assenza della firma del contratto, la legge italiana prevede l'erogazione del 50% mensile del tasso di inflazione programmata, tasso anch'esso bloccato dal 2008 al 2021 da una legge che presto sarà scrutinata dalla stessa Corte Costituzionale. Per questi motivi, perché i dipendenti pubblici non sono figli di un dio minore – conclude Pacifico –, il nostro giovane sindacato ha messo a disposizione un modello di diffida che interrompe i termini di prescrizione delle somme loro sottratte da uno Stato che continua a trattare i suoi lavoratori come dei sudditi”.
La diffida è propedeutica al ricorso al giudice del lavoro: riguarda docenti e Ata, precari e di ruolo, e punta ad ottenere lo sblocco dell'indennità di vacanza contrattuale nel periodo 2008-2018.
PER APPROFONDIMENTI:
SCUOLA – Rinnovo del contratto, non si possono aumentare gli stipendi con le ‘partite di giro’
SCUOLA – Firmato da Cgil, Cisl e Uil il contratto della vergogna
Contratto, gli aumenti reali netti sono ridicoli: tra i 37 e i 52 euro