Da quest’anno, in occasione degli esami di licenza media le verifiche si svolgeranno, tra il 4 e il 21 aprile avvalendosi, del personal computer. Ma ora si scopre, leggendo un comunicato emesso in queste ore dall’Invalsi, che non vi sono le condizioni tecnologiche per garantire ad ogni alunno di utilizzare un proprio computer: “gli studenti coinvolti sono 574.600 e – dal censimento delle strutture informatiche effettuato da INVALSI – le postazioni effettive risultano 216.000, il che significa che ogni scuola ha a disposizione un computer per ogni 2,5 studenti circa”. L’Invalsi parla di “un dato molto incoraggiante”, ma non è così: le prove dovranno infatti necessariamente essere somministrate in momenti diversi e, andando oltre alla mancata contemporaneità, preoccupa che la dotazione complessiva tecnologica in seno ai nostri istituti sia così povera.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Nelle scuole italiane il numero di postazioni digitali ‘vere’, in grado di essere connesse ad una rete internet moderna e reggere il peso di sistemi operativi e software aggiornati, risulta del tutto inadeguato rispetto alla quantità dei nostri alunni. Perché, se a dividersi una postazione sono tra i due e i tre alunni delle classi di terza media, come dice l’Invalsi, questo significa che, quando si considerano anche le prime e le seconde classi, ogni istituto può mettere a disposizione appena un computer ogni otto-nove alunni. Questo preoccupante dato conferma la lontananza dell’Italia dalle realtà scolastiche più avanzate, come i Paesi del Nord Europa, dove le dotazioni informatiche risultano in numero maggiore, garantendo in molti casi un computer per ogni allievo. A tale avvilente constatazione si aggiunge la logica distorta che c’è dietro all’imposizione delle prove Invalsi. L’eccesso di uniformità andrebbe sostituito con un investimento verso la formazione di tipo attivo, come giochi di simulazione, cooperative learning and serving, peer education e flipped classroom. Lasciando alle prove Invalsi il loro unico obiettivo, ovvero l’effettuazione di monitoraggi per indicazioni generali. Sul piatto va infine messo anche un altro dato: quello che i test Invalsi hanno ripercussioni dirette sul Rav, il rapporto di autovalutazione scolastico, e anche sulla valutazione diretta dei singoli insegnanti, senza che venga conferito un peso adeguato al tessuto sociale. Ad esprimere forti perplessità, recentemente, sono state anche decine di accademici di tutto il mondo.
La standardizzazione degli apprendimenti delle nostre scuole non finisce mai di mostrare le sue crepe: dopo avere appiattito la valutazione con regole indefesse e freddi test nazionali, ignorando il fatto che se gli studenti sono diversi non si può usare il medesimo “metro” di misura per tutti, nell’ultimo periodo abbiamo vissuto l’invasione delle prove Invalsi negli esami conclusivi di fine ciclo; da quest’anno, a conferma di ciò, in occasione degli esami di licenza media le verifiche si svolgeranno avvalendosi del personal computer. Ma ora si scopre, leggendo un comunicato emesso in queste ore dall’Invalsi, che non vi sono le condizioni tecnologiche per garantire ad ogni alunno di utilizzare un proprio computer.
L’Istituto di valutazione nazionale, dopo aver ricordato di avere “effettuato – congiuntamente con il MIUR - incontri con gli oltre 5.000 Dirigenti scolastici interessati dalle nuove modalità, coordinati dagli Uffici Scolastici Regionali”, ha annunciato cosa ci si aspetta “per contribuire ad affrontare e risolvere le eventuali difficoltà in merito sia alla somministrazione sia alla disponibilità delle attrezzature informatiche” indispensabili per svolgere gli esami finali di terza media: “gli studenti coinvolti sono 574.600 e – dal censimento delle strutture informatiche effettuato da INVALSI – le postazioni effettive risultano 216.000, il che significa che ogni scuola ha a disposizione un computer per ogni 2,5 studenti circa”.
L’Invalsi parla di “un dato molto incoraggiante poiché dovrebbe consentire a tutte le scuole di svolgere le prove INVALSI all’interno della finestra temporale prevista” collocata “tra il 4 e il 21 aprile”. Eppure, anche ad un profano appare evidente che il numero di postazioni utili allo svolgimento delle prove risulta notevolmente inferiori rispetto al fabbisogno, visto che nel prossimo mese di aprile le scuole saranno obbligate a far svolgere le prove, anche al loro interno, in momenti diversi. Ma andando oltre alla mancata contemporaneità, quello che preoccupa è anche la dotazione complessiva tecnologica in seno ai nostri istituti.
“È evidente – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – che nelle scuole italiane il numero di postazioni digitali ‘vere’, in grado di essere connesse ad una rete internet moderna e reggere il peso di sistemi operativi e software aggiornati, risulta del tutto inadeguato rispetto alla quantità dei nostri alunni. Perché, se a dividersi una postazione sono tra i due e i tre alunni delle classi di terza media, come dice l’Invalsi, questo significa che, quando si considerano anche le prime e le seconde classi, ogni istituto può mettere a disposizione appena un computer ogni otto-nove alunni”.
“Questo preoccupante dato – continua Pacifico – conferma la lontananza dell’Italia dalle realtà scolastiche più avanzate, come i Paesi del Nord Europa, dove le dotazioni informatiche risultano in numero maggiore, garantendo in molti casi un computer per ogni allievo. A tale avvilente constatazione - conseguente del ridotto impegno nazionale, rispetto al Pil, per la scuola pubblica italiana - si aggiunge la logica distorta che c’è dietro all’imposizione delle prove Invalsi. L’eccesso di uniformità, infatti, andrebbe sostituito con un investimento verso la formazione di tipo attivo, come, ad esempio, giochi di simulazione, cooperative learning and serving, peer education e flipped classroom. Lasciando alle prove Invalsi il loro unico obiettivo, ovvero l’effettuazione di monitoraggi per indicazioni generali”.
“Sul piatto va infine messo anche un altro dato – dice ancora il sindacalista -, quello che i test Invalsi hanno ripercussioni dirette sul Rav, il rapporto di autovalutazione scolastico, e anche sulla valutazione diretta dei singoli insegnanti, senza che venga conferito un peso adeguato al tessuto sociale: le zone ad alto tasso migratorio, le scuole isolate dal resto del territorio, quelle ad alta criminalità, ma anche dove il tasso di abbandono scolastico è spropositato necessitano di uscire dalla logica della somministrazione in classe delle fredde schede da compilare. L’uniformità a tutti i costi va sostituita con quella della verifica caso per caso, istituto per istituto”.
“Ad esprimere forti perplessità, recentemente, sono state decine di accademici di tutto il mondo: il primo passo da compiere è quello di andare a revisionare tutti i passaggi della Legge 107/15 che legano la valutazione standardizzata delle scuole di chi vi opera con le risultanze delle prove Invalse. Ancora di più perché sono fatte senza tenere adeguatamente conto delle specificità degli allievi e del territorio dove vivono, né – conclude Pacifico – sono svolte con un numero di computer adeguato a prepararsi e a svolgere i test”.
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