Il sindacato Confederale ammette che per guadagnare quanto un collega d’Europa, un insegnante della scuola dell’infanzia e delle elementari dovrebbe avere un aumento in busta paga di 455 euro al mese. Altro che 85 lordi e nemmeno sicuri per chi percepisce gli stipendi più bassi. Ma perché questi dati nazionali impietosi vengono tirati fuori e denunciati solo oggi? Perché i firmatari del contratto della vergogna ci ripensano, rinsaviscono e fanno marcia indietro solo adesso, a distanza di un mese e mezzo? Forse perché siamo in piena campagna elettorale per il rinnovo delle RSU e dei sindacati rappresentativi? Il sospetto appare fondato. Solo ora, infatti, il primo sindacato della Scuola pubblica sembra accorgersi che le cifre erogate sono ben lontane da quelle che effettivamente dovrebbero toccare ai lavoratori della scuola. Anief, invece, riconoscendo sin da subito quella illegittimità, ha invitato da subito le organizzazioni sindacali a non firmare il contratto.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): La cifra assicurata è ben lontana dalla Costituzione e dall’adeguamento all'inflazione, almeno tre volte rispetto al privato dove è indicata come salario minimo. Altro che allineamento all’Europa. Ma ci chiediamo anche: il sindacato, piuttosto che ricordarsene in campagna elettorale per le Rsu, non poteva ravvedersene prima di firmare il contratto 2016/18? Il problema è che a pesare negativamente nella scuola non sono solo gli stipendi da fame. Ma ci sono gli scatti bloccati: sia per i giovani, a cui è stato sottratto il primo gradone stipendiale che obbliga ad attendere la fine dell’ottavo anno di anzianità per vedere muovere il loro assegno (malgrado vi siano svariate sentenze emesse da diversi tribunali del lavoro); sia per chi è avanti nella carriera, oltre 27 anni, costretto a rimanere in servizio fino a 70 anni di età con l’ultimo decennio a stipendio fermo perché non si è voluto introdurre un ulteriore scatto oltre l’ultimo dei 35 anni. Tutte queste ragioni fanno aumentare i motivi per votare Anief in occasione del rinnovo delle Rsu di aprile: se il giovane sindacato diventerà rappresentativo, infatti, si batterà per portare gli stipendi almeno all'inflazione.
Quello sottoscritto lo scorso 9 febbraio all’Aran per la Scuola è un contratto dignitoso. Anzi, a pensarci bene è modesto. Perché “per guadagnare quanto un collega d’Europa un insegnante di infanzia e delle elementari dovrebbe avere – domani - un aumento in busta paga di 455 euro al mese”: a sostenerlo, come ha riportato ‘La Repubblica’, è stato il ramo Federazione dei lavoratori della Conoscenza della Cgil che, dopo avere tessuto le lodi del rinnovo del Ccnl 2016/18, cambia registro e si sofferma “sul calo degli stipendi dei docenti italiani e sull’impietoso paragone con il resto dell’Europa avanzata”.
Il tallone d’Achille di docenti e Ata sono proprio i compensi, in perenne calo; infatti, è davvero poco felice “il paragone con il resto dell’Europa avanzata. Solo nel 2009, penultimo contratto appena firmato, la retribuzione media del comparto era pari a 30.570 euro lordi. Nei sette anni successivi è scesa (con due piccoli recuperi nel 2011 e nel 2015) fino a toccare il pavimento nel 2016, ultimo anno rilevato: 28.403 euro lordi. Una perdita di 2.167 euro, il 7,1 per cento. Quest’anno, febbraio 2018, è arrivato il rinnovo del contratto della scuola e ha consentito una leggera crescita delle buste paga”. Una condizione, evidentemente figlia della “percentuale di spesa per la scuola rispetto all’intera amministrazione pubblica” che “in otto anni (2005-2013) è scesa dall’8,1 per cento al 7,3: quattro punti percentuali sotto la media Ocse, due punti e mezzo sotto la media Ue”.
Tirando le somme di una storia tristemente conosciuta, “in Italia un docente di scuola primaria con 15 anni di servizio guadagna un terzo esatto in meno di un laureato in altro settore. Un professore delle medie inferiori guadagna il 72 per cento, uno delle superiori il 76 per cento. In Germania il rapporto è uno a uno, in Spagna il livello medio delle retribuzioni scolastiche è lievemente superiore alla media degli altri laureati. Per arrivare agli stipendi Ue (a 22 Paesi) un docente d’infanzia ed elementari di una scuola italiana dovrebbe conoscere un aumento di 455 euro (il 20,5 per cento in più), un professore di medie dovrebbe veder crescere la busta paga di 363 euro (più 14,9 per cento) e uno delle superiori di 439 euro (più 17,6 per cento). Servirebbero, solo per questo, 6,8 miliardi (la Buona scuola, tra il 2015 e il 2017, ne ha investiti quattro)”.
Ma perché questi dati nazionali impietosi vengono tirati fuori e denunciati solo oggi? Perché i firmatari del contratto della vergogna ci ripensano, rinsaviscono e fanno marcia indietro solo adesso, a distanza di un mese e mezzo? Forse perché siamo in piena campagna elettorale per il rinnovo delle RSU e dei sindacati rappresentativi? Il sospetto appare fondato. Solo ora, infatti, il primo sindacato della Scuola pubblica sembra accorgersi che le cifre erogate sono ben lontane da quelle che effettivamente dovrebbero toccare ai lavoratori della scuola.
Anief, invece, riconoscendo sin da subito quella illegittimità, ha denunciato con immediatezza la questione, invitando le organizzazioni sindacali a non firmare il contratto. Ma non è servito a nulla. “Il leader della Confederazione, - dichiara Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal - afferma che servirebbero 453 euro in più rispetto all’attuale stipendio, ma nel contratto sono presenti appena 85 euro e solamente per il 2018. E la cifra assicurata è ben lontana dalla Costituzione e dall’adeguamento all'inflazione, almeno tre volte rispetto al privato dove è indicata come salario minimo. Altro che allineamento all’Europa. Ma ci chiediamo anche: il sindacato, piuttosto che ricordarsene in campagna elettorale per le Rsu, non poteva ravvedersene prima di firmare il contratto 2016/18?”
“Il problema è che a pesare negativamente nella scuola, come in tutto il pubblico impiego, - continua il presidente – non sono solo gli stipendi da fame. Ma ci sono gli scatti bloccati: sia per i giovani, a cui è stato sottratto il primo gradone stipendiale dopo l’accordo a tempo del 2011, poi normato dalla legge 128/2013, che obbliga ad attendere la fine dell’ottavo anno di anzianità per vedere muovere il loro assegno stipendiale (malgrado vi siano svariate sentenze emesse da diversi tribunali del lavoro); sia per chi è avanti nella carriera, oltre 27 anni, costretto a rimanere in servizio fino alle soglie dei 70 anni di età con l’ultimo decennio a stipendio fermo perché non si è voluto introdurre un ulteriore scatto oltre l’ultimo dei 35 anni. Tutte queste ragioni fanno aumentare i motivi per votare Anief in occasione del rinnovo delle Rsu di aprile: se il giovane sindacato diventerà rappresentativo, infatti, si batterà per portare gli stipendi almeno all'inflazione”.
PER APPROFONDIMENTI:
Rinnovo del contratto, non si possono aumentare gli stipendi con le ‘partite di giro’
SCUOLA – Firmato da Cgil, Cisl e Uil il contratto della vergogna
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