Lo studio, realizzato sulla base di elaborazioni dei dati Istat e pubblicato oggi, prevede che “nel prossimo decennio l’evoluzione demografica porterà a una significativa contrazione della popolazione studentesca – 3/18 anni – in tutte le circoscrizioni e regioni del Paese (da 9 a 8 milioni), che comporterà a regole vigenti la scomparsa di decine di migliaia di classi e di circa 55mila cattedre. Con significative implicazioni per le politiche dell’istruzione dei prossimi governi”. Per il sindacato Anief, non si comprende quale sia il nesso tra la riduzione delle iscrizioni, dovuta anche al calo dei flussi migratori, e quella delle cattedre. Il decremento del tasso demografico, anche tra la popolazione straniera, non può innescare la scontata logica del risparmio pubblico, già quantificato in quasi 2 miliardi di euro annui. La riduzione di alunni, piuttosto, potrebbe essere l’occasione buona per eliminare migliaia di classi pollaio, di tornare alla didattica per moduli alla primaria, di reintrodurre le copresenze e di mutare i cicli scolastici a partire dall’anticipo dell’obbligo formativo.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Il calo demografico è la giusta opportunità per realizzare una serie di operazioni a portata di mano. Come l’anticipo a 5 anni dell'obbligo scolastico alla materna, come previsto in Francia, visto che nel nostro Paese la scuola statale copre solo una porzione di questa offerta formativa. In contemporanea, si dovrebbe finalmente avallare l’obbligo scolastico sino ai 18 anni, come già era stato previsto nel nostro Paese due decenni fa. Ma bisognerebbe anche programmare una flessibilità degli organici sul territorio, assegnando più risorse umane e finanziarie alle scuole posizionate nelle aree con maggiore difficoltà. In Italia, solo un bambino su quattro frequenta il percorso 0-6 anni e 4 cittadini su 10 sono in possesso soltanto della licenza media. Con la soglia degli abbandoni ancora ben oltre quel 10% indicato da tempo da Bruxellex e con un giovane su tre che abbandona gli studi prima di avere conseguito la maturità. Per non parlare dei 15enni che, nell’ultimo periodo, hanno ammesso in gran numero, il 40%, di non volere proseguire all'Università. E anche tra i diplomati c’è disaffezione verso gli studi superiori. Servirebbe introdurre una politica di tutela dei giovani, della famiglia e d'incentivazione delle nascite. Con maggiori sussidi che garantiscano un vero diritto all'istruzione e una seria alternanza scuola-lavoro.
Sta facendo discutere, la proiezione catastrofica della Fondazione Agnelli sul forte calo delle iscrizioni previsto nei prossimi 10 anni: lo studio, realizzato sulla base di elaborazioni dei dati Istat e pubblicato oggi, prevede che “nel prossimo decennio l’evoluzione demografica porterà a una significativa contrazione della popolazione studentesca – 3/18 anni – in tutte le circoscrizioni e regioni del Paese (da 9 a 8 milioni), che comporterà a regole vigenti la scomparsa di decine di migliaia di classi e di circa 55mila cattedre. Con significative implicazioni per le politiche dell’istruzione dei prossimi governi”.
Secondo il sindacato Anief, non si comprende quale sia il nesso tra la riduzione delle iscrizioni, dovuta anche al calo dei flussi migratori, e quella delle cattedre. Il decremento del tasso demografico, anche tra la popolazione straniera, non può innescare la scontata logica del risparmio pubblico, già quantificato in quasi 2 miliardi di euro annui. La riduzione di alunni, piuttosto, potrebbe essere l’occasione buona per eliminare migliaia di classi pollaio, di tornare alla didattica per moduli alla primaria, di reintrodurre le copresenze e di mutare i cicli scolastici a partire dall’anticipo dell’obbligo formativo. Rappresenta, pertanto, il giusto innesco per tornare, in generale, ad investire su quella scuola di qualità che tutti i governi vogliono attuare ad inizio mandato ma che poi nei fatti si traduce nei soliti tagli e dimensionamenti.
“Le tendenze sulle iscrizioni – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – rappresentano l’opportunità per realizzare una serie di operazioni sino ad oggi ritenute irrealizzabili ma sicuramente a portata di mano. Come l’anticipo a 5 anni dell'obbligo scolastico alla materna, come previsto in Francia, visto che nel nostro Paese la scuola statale copre solo una porzione di questa offerta formativa e il tasso di iscrizione dei bambini sotto i 3 anni è addirittura fermo al 15%. In contemporanea, si dovrebbe finalmente avallare l’obbligo scolastico sino ai 18 anni di età degli alunni, come già era stato previsto nel nostro Paese due decenni fa dall’allora ministro Luigi Berlinguer”.
“Ma bisognerebbe – continua Pacifico - anche programmare una flessibilità degli organici sul territorio, assegnando maggiori risorse umane e finanziarie alle scuole posizionate nelle aree con maggiore difficoltà e deprivate a livello socio-culturale. Chi governa il Paese deve avere bene in mente un concetto: in Italia, soltanto un bambino su quattro frequenta il percorso 0-6 anni e 4 cittadini su 10 sono in possesso solo della licenza media, con la soglia degli abbandoni ancora ben oltre quel 10% indicato da tempo da Bruxelles, E con un giovane su tre che abbandona gli studi prima di avere conseguito la maturità che corrispondono all’incredibile cifra di 1 milione e 750 mila studenti dispersi negli ultimi dieci anni”.
“Per non parlare dei 15enni che, nell’ultimo periodo, hanno ammesso in gran numero, il 40%, di non volere proseguire all'Università. E anche tra i diplomati, ormai, c’è disaffezione verso gli studi superiori. Per completare la risposta al calo di iscrizioni degli studenti, servirebbe infine introdurre finalmente una politica di tutela dei giovani, della famiglia e d'incentivazione delle nascite. Con maggiori sussidi che – conclude il sindacalista autonomo - garantiscano un vero diritto all'istruzione e una seria alternanza scuola-lavoro”.
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