La fatidica soglia, frutto della somma degli anni anagrafici e di quelli contributivi, per mesi indicata dal M5S come imprescindibile per superare l’assurda Legge Fornero, confermata anche nel contratto di governo sottoscritto con la Lega, potrebbe valere solo a partire da una soglia minima. Questa, perlomeno, è la richiesta formulata in queste ore dalla Ragioneria generale dello Stato. A questo punto, è chiaro che se il neonato governo vorrà tenere fede a quanto detto nel corso della campagna elettorale sarà obbligato a reperire i finanziamenti utili. Altrimenti, ci troveremo davanti all’ennesima promessa incompiuta. I lavoratori non accetterebbero un passo indietro rispetto a quanto espresso per mesi e risultato tra i motivi principali che hanno portato al consenso per il nuovo assetto politico, da cui è scaturito il novello assetto parlamentare e governativo. Anzi, per i lavoratori della scuola serve sempre l’inclusione tra le categorie che svolgono una professione usurante.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Introdurre la clausola dei 64 anni d’età andrebbe a costituire un grave cambiamento del programma di governo: nessuno ha obbligato i partiti a promettere la nuova soglia. Visto che si sono presi l’impegno, evidentemente gradito dalla maggior parte degli italiani, ora è bene portarlo avanti. Costi quel che costi. Come si sono trovati i soldi per sanare altre emergenze nazionali, ora si trovino quelli utili per mandare in pensione chi ha lavorato una vita e ora vuole passare la mano.
Quota 100 rischia di trasformarsi in una beffa: la fatidica soglia, frutto della somma degli anni anagrafici e di quelli contributivi, per mesi indicata dal M5S come imprescindibile per superare l’assurda Legge Fornero, confermata anche nel contratto di governo sottoscritto con la Lega, potrebbe valere solo a partire dai 64 anni di età. Questa, perlomeno, è la richiesta formulata in queste ore dalla Ragioneria generale dello Stato, secondo la quale l’ultima riforma pensionistica approvata dal governo Monti, nel 2011, “dovrebbe ridurre sì l'incidenza della spesa pensionistica sul Pil di oltre 20 punti percentuali cumulati - più di 300 miliardi di euro - ma da qui ai prossimi decenni. Abolire la Fornero per la sola prossima legislatura brucerebbe circa 20 miliardi di risparmi sulla spesa pensionistica all’anno. La proposta è chiara: quota 100 tra età anagrafica e contributi versati con un minimo però di 64 anni. E non una modulazione delle uscite con le finestre”.
A questo punto, è chiaro che se il neonato governo vorrà tenere fede a quanto detto nel corso della campagna elettorale sarà obbligato a reperire i finanziamenti utili. Altrimenti, ci troveremo davanti all’ennesima promessa incompiuta. Con l’aggravante di avere confermato “quota 100” anche nel programma governativo precedente alla formazione del nuovo esecutivo, guidato dal premier Giovanni Conte e che a detta dei leader dei partiti di maggioranza continua a fungere da “faro” per la realizzazione delle operazioni del ‘governo del cambiamento’.
Il sindacato in questo momento non può fare altro che ribadire quanto già espresso in passato: i lavoratori italiani sono stati discriminati dalla riforma Monti-Fornero, sono stati poi presi in giro dai governi che si sono succeduti, visto che nessuno è intervenuto per salvare i cosiddetti ‘Quota 96, a dispetto delle rassicurazioni; adesso, non accetterebbero un passo indietro rispetto a quanto espresso per mesi e risultato tra i motivi principali che hanno portato al consenso per il nuovo assetto politico, da cui è scaturito il novello assetto parlamentare e governativo.
“Introdurre la clausola dei 64 anni come età minima per accedere a quota 100 – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – andrebbe a costituire un grave cambiamento del programma di governo: nessuno ha obbligato i partiti a promettere la nuova soglia. Visto che si sono presi l’impegno, evidentemente gradito dalla maggior parte degli italiani, ora è bene portarlo avanti. Costi quel che costi. Come si sono trovati i soldi per sanare altre emergenze nazionali, ora si trovino quelli utili per mandare in pensione chi ha lavorato una vita e ora vuole passare la mano”.
Il giovane sindacato, inoltre, continua a chiedere di includere l’operato di docenti e personale Ata tra le professioni usuranti: tutte le ricerche nazionali e internazionali, come il ‘Getsemani Burnout e patologia psichiatrica negli insegnanti’, hanno indicato, senza ombra di dubbio. che per i lavoratori della scuola il burnout presenta percentuali molto più alte che per gli altri lavori, con un’elevata incidenza di malattia psichiatriche ed oncologiche. Anche gli studi più recenti hanno confermato che il “lavoro educativo” è un “ambito professionale particolarmente esposto a condizioni stressogene”, in particolare tra i più docenti più giovani e caratterialmente fragili o emotivi. Non si può pensare di mandare in pensione tali dipendenti a 67 anni.
Anief ricorda che dal prossimo 1° gennaio l’Italia, anche per via dell’aspettativa di vita, sul fronte pensionistico diventerà di gran lunga il Paese più severo. Come indicato dalla Circolare Inps n. 62 del 4 aprile scorso, che sposta di ulteriori 5 mesi la soglia di “vecchiaia”. Eppure, oggi in Europa un docente lascia in media la cattedra a 63 anni; in Francia ancora prima, perché si consente ai docenti di andare in pensione a 60 anni, al massimo a 62; in Germania bastano 25 anni di insegnamento. Senza dimenticare che i nostri docenti e Ata rispetto al 2011 hanno perso nel loro assegno pensionistico già fino all’8%. E quando il sistema contributivo entrerà a regime si arriverà a percentuali di perdita ben più sostanziose.
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