Con un accordo sottoscritto in queste ore tra Miur e sindacati, viene meno quella contestata parte della legge 107/2015 che assegnava al Dirigente Scolastico il “potere” di chiamare nella propria scuola gli insegnanti, senza un criterio oggettivo. In base a quanto stabilito “continueranno ad essere presi in considerazione prima i docenti che hanno avuto il trasferimento con una delle precedenze previste dal Contratto di mobilità 2018/19, poi si procederà per punteggio a partire dalla scuola scelta dal docente su Istanze on line nei tempi indicati dal Ministero”.
L’Anief plaude alla decisione di cancellare la chiamata diretta degli insegnanti: il giovane sindacato ha infatti sempre respinto la sua introduzione, ritenendola incostituzionale, oltre che inagibile dal punto di vista pratico. Il sindacato, oltre alla battaglia legale, ha infatti chiesto anche in Parlamento la sua abolizione, pure attraverso un preciso emendamento alla Legge 107/2015 da introdurre nell’ultima Legge di Stabilità. Del resto, la stessa decisione di molti dirigenti scolastici di non adottare la procedura approvata contro il volere del 90 per cento del personale scolastico la dice lunga sull’utilità di un sistema selettivo del personale precario di cui la scuola pubblica italiana non aveva assolutamente bisogno.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): La decisione di introdurre un modello di scelta del personale di stampo privato in un contesto pubblico si è rivelata inutile, poco praticabile e per di più immotivata, perché, per scegliere dei docenti già formati e graduati in base ai titoli e servizi svolti, non c’era alcuna esigenza di selezione. Basterebbe ricordare che in Italia per diventare oggi insegnante occorre intraprendere un percorso universitario lungo ben otto anni. La norma avrebbe voluto fare assegnare alle scuole le professionalità di cui avevano bisogno. Ma poi nella realtà è risultato tutto pasticciato, perché in mancanza di linee guida univoche, ci siamo ritrovati con adozioni troppo diversificate e quindi discriminanti. Inoltre, il ‘potenziamento’ degli istituti è stato assegnato prima della scelta delle scuole nel Piano dell’offerta formativa triennale e comunque, spesso, anche in contrasto con il bisogno delle scuole. Infine, quando la chiamata diretta è andata deserta, le scuole hanno ricevuto insegnanti assegnati d’ufficio dagli Uffici scolastici regionali. Senza contare il fatto che il nostro sindacato ha ancora pendente una questione pregiudiziale di costituzionalità al Tar Lazio.
Il primo pezzo della riforma Renzi-Giannini è caduto: attraverso un accordo sottoscritto in queste ore tra Miur e sindacati, viene meno quella contestata parte della legge 107/2015 che assegnava al Dirigente Scolastico il “potere” di chiamare nella propria scuola gli insegnanti, senza un criterio oggettivo. In base a quanto stabilito, riassume oggi Orizzonte Scuola, “continueranno ad essere presi in considerazione prima i docenti che hanno avuto il trasferimento con una delle precedenze previste dal Contratto di mobilità 2018/19, poi si procederà per punteggio a partire dalla scuola scelta dal docente su Istanze on line nei tempi indicati dal Ministero”.
Si tratta di una procedura imminente che, per il primo ciclo, partirà già dal 28 giugno. Per la scuola secondaria bisognerà attendere invece la pubblicazione dei trasferimenti, programmata per il 13 luglio. Gli insegnanti sceglieranno la scuola dalla quale partire per l’assegnazione d’ufficio da parte dell’Ufficio Scolastico provinciale. Se il posto scelto non sarà libero, si scorreranno i posti per vicinanza. Nel caso di mancata indicazione sarà considerata la scuola capofila dell’ambito La procedura riguarderà anche i docenti che saranno assunti a tempo indeterminato nell’anno scolastico 2018/19.
L’Anief plaude alla decisione di cancellare la chiamata diretta degli insegnanti: il giovane sindacato ha infatti sempre respinto la sua introduzione, ritenendola incostituzionale, oltre che inagibile dal punto di vista pratico. Il sindacato, oltre alla battaglia legale, ha infatti chiesto anche in Parlamento la sua abolizione, pure attraverso un preciso emendamento alla Legge 107/2015 da introdurre nell’ultima Legge di Stabilità. Del resto, la stessa decisione di molti dirigenti scolastici di non adottare la procedura approvata contro il volere del 90 per cento del personale scolastico la dice lunga sull’utilità di un sistema selettivo del personale precario di cui la scuola pubblica italiana non aveva assolutamente bisogno.
“La decisione di introdurre un modello di scelta del personale di stampo privato in un contesto pubblico – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal - si è rivelata inutile, poco praticabile e per di più immotivata, perché per scegliere dei docenti già formati e graduati in base ai titoli e servizi svolti, non c’era alcuna esigenza di selezione. Basterebbe ricordare che in Italia per diventare oggi insegnante occorre intraprendere un percorso universitario lungo ben otto anni”.
“La norma introdotta dalla Buona Scuola – continua il sindacalista - avrebbe voluto fare assegnare alle scuole le professionalità di cui avevano bisogno. Ma poi nella realtà è risultato tutto pasticciato, perché, in mancanza di linee guida univoche, ci siamo ritrovati con adozioni troppo diversificate e quindi discriminanti. Inoltre, il ‘potenziamento’ degli istituti è stato assegnato prima della scelta delle scuole nel Piano dell’offerta formativa triennale e comunque, spesso, anche in contrasto con il bisogno delle scuole. Infine, quando la chiamata diretta è andata deserta, le scuole hanno ricevuto insegnanti assegnati d’ufficio dagli Uffici scolastici regionali. Senza contare il fatto – conclude Pacifico - che il nostro sindacato ha ancora pendente una questione pregiudiziale di costituzionalità al Tar Lazio”.
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