Il blocco dei pensionamenti sta avvenendo a seguito del passaggio di consegne, dal Miur all’Istituto nazionale di previdenza sociale, delle pratiche di verifica del calcolo pensionistico del personale scolastico. A fornire i primi dettagli di quella che si preannuncia la beffa dell’anno è stato il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, che con rassegnazione ha ricordato la differenza che l’Inps adotta, ovvero l’anno commerciale, anziché quello solare, per calcolare l’anzianità utile per la pensione: considerando l'anno commerciale e non solare ci sono cinque giorni meno all'anno lavorativi e per 40 anni di servizio sono 200 giorni; sono le regole del Ministero e quindi i docenti che pensavano di avere gli anni per poter andare in pensione devono fare un anno in più di servizio e alcuni addirittura lo hanno saputo all'ultimo momento. Gli effetti negativi di questo incredibile cambio di calcolo sono devastanti, non solo per i pensionandi: i posti non risultano utili né per la mobilità, né per le assunzioni in ruolo. Il sindacato non comprende come si possa accettare con arrendevolezza tutto ciò.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): Riteniamo inconcepibile che, a fronte di un incremento progressivo dei requisiti richiesti dallo Stato per andare in pensione, si debba assistere anche al ricalcolo in negativo dell’Inps che sta bloccando migliaia di insegnanti. Se il Ministro vuole tenere fede ai suoi impegni, non può dichiarare placidamente che il meccanismo adattato dall’Inps è questo e non si può fare niente: i requisiti per andare in pensione sono gli stessi e, quindi, prescindono dalla stanza e dal palazzo che li va a ratificare. Bussetti si faccia sentire, invece di elogiare ad ogni occasione il lavoro dell’Inps e del suo presidente Tito Boeri: perché spetta al Ministro dell’Istruzione tutelare i suoi dipendenti, ancora di più laddove risultano vittime sacrificali di un cavillo-beffa. Non costringa il sindacato, anche stavolta, a raccogliere le carte per portarle in tribunale, dove per fortuna i diritti non cambiano a seconda di chi li valuta.
Avere tutti i requisiti per andare in pensione, ma vedersi negato l’accesso per colpa di un cavillo burocratico: è quello che potrebbe a breve accadere a circa 5mila insegnanti, a seguito del passaggio di consegne, dal Miur all’Inps, delle pratiche di verifica del calcolo pensionistico del personale scolastico. A fornire i primi dettagli di quella che si preannuncia la beffa dell’anno è stato il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, che ha ricordato la differenza che l’Istituto di previdenza sociale adotta, ovvero l’anno commerciale, anziché quello solare, per calcolare l’anzianità utile per la pensione: “Calcolando l'anno commerciale e non solare – ha detto il Ministro - ci sono cinque giorni meno all'anno lavorativi e per 40 anni di servizio sono 200 giorni: sono le regole del Ministero, e quindi i docenti che pensavano di avere gli anni per poter andare in pensione devono fare un anno in più di servizio; alcuni addirittura lo hanno saputo all'ultimo momento”.
Ma per quale motivo esiste tale differenza? Oggi la rivista Tuttoscuola spiega che “l’anno commerciale è un sistema utilizzato per semplificare diverse procedure di calcolo, prevedendo che sia costituito da dodici mesi della durata uguale di trenta giorni ciascuno per un totale di 360 giorni per l’anno. Rispetto all’anno solare di 365 giorni, quello commerciale ne ha cinque in meno. Ma con cinque giorni in meno all’anno l’anzianità richiesta per la pensione si riduce al punto che, con l’accumulo di giorni e mesi non più calcolati utilmente nel corso della carriera, molti insegnanti non riescono a raggiungere l’anzianità utile richiesta per la pensione e si vedono costretti a permanere in servizio un altro anno”.
Gli effetti negativi di questo incredibile cambio di calcolo sono devastanti, non solo per i pensionandi: “Le conseguenze di questa anomala situazione – che da alcuni calcoli ministeriali riguarderebbe circa 5mila insegnanti – hanno ricadute diverse sul sistema scolastico, oltre che sulla posizione personale degli interessati: le sedi di servizio – continua Tuttoscuola - non si liberano riducendo la possibilità di mobilità di altri docenti per l’assegnazione provvisoria. Inoltre non si liberano posti per nuove assunzioni in ruolo”. Ma l’aspetto più paradossale di questa vicenda è che “sembra che lo stesso Ministro, dopo un confronto con i vertici dell’INPS, sia rassegnato a prendere atto della situazione”.
Chi sicuramente non si rassegna è il sindacato. Secondo Anief, si sta andando a prefigurare un altro meccanismo cervellotico che danneggia i lavoratori della scuola: perché questo danno arriva dopo l’assurda riforma Fornero, con la dimenticanza, mai sanata, dei ‘Quota 96’ costretti a rimanere in servizio per diversi anni con il cambio delle norme successivo alla loro domanda di pensionamento; dopo la mancata inclusione, tranne che per la scuola dell’infanzia, dell’insegnamento tra le professioni usuranti, malgrado sia acclarata la sofferenza da stress correlata al burnout; dopo la più recente promessa ‘Quota 100’, la cui approvazione rimane in alto mare e su cui aleggia lo spettro del vincolo anagrafico dei 64 anni di età.
Il giovane sindacato non comprende come si possa accettare con arrendevolezza tutto questo. Lo stesso Ministro dell’Istruzione, nei giorni scorsi, aveva detto che “un sistema che funziona non può basarsi su un precariato storico di lunga durata, una cattedra è parte integrante dello status di un docente autorevole”, ammettendo quindi che per avallare questo processo occorra ridurre l’età di accesso alla pensione e favorire il turn over: anche perché in Europa l’età media dei pensionamenti dei docenti risulta a tutt’oggi attorno ai 63 anni, mentre in Italia si è già approvata quota 67, ufficializzata con la Circolare Inps n. 62 del 4 aprile scorso, che dal prossimo 1° gennaio non risparmierà i dipendenti della scuola, tranne i maestri della scuola dell’infanzia.
“Riteniamo inconcepibile che, a fronte di un incremento progressivo dei requisiti richiesti dallo Stato per andare in pensione – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal –, si debba assistere anche al ricalcolo in negativo dell’Inps che sta bloccando migliaia di insegnanti. Se il Ministro vuole tenere fede ai suoi impegni, non può dichiarare placidamente che il meccanismo adattato dall’Inps è questo e non si può fare niente: i requisiti per andare in pensione sono gli stessi e, quindi, prescindono dalla stanza e dal palazzo che li va a ratificare”.
“Bussetti si faccia sentire, invece di elogiare ad ogni occasione il lavoro dell’Inps e del suo presidente Tito Boeri: perché spetta al Ministro dell’Istruzione tutelare i suoi dipendenti, ancora di più laddove risultano vittime sacrificali di un cavillo-beffa. Non costringa il sindacato, anche stavolta, a raccogliere le carte per portarle in tribunale, dove per fortuna i diritti non cambiano a seconda di chi li valuta”, conclude il sindacalista autonomo.
Coloro che necessitano di chiarimenti in merito ai pensionamenti hanno facoltà di chiedere una consulenza personalizzata a Cedan, contattando la sede Cedan più vicina. Per maggiori informazioni ci si può collegare anche al sito internet oppure scrivere una e-mail all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o contattare il numero 091 7098356.
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