Il Ministro Marco Busseti parla di accorpamenti e riduzione del numero dei dirigenti scolastici. Udir si oppone fermamente: negli ultimi quindici anni sono state ridotte le presidenze di un terzo. Già così dirigere una scuola autonoma, in media con cinque-sei plessi quasi sempre sopra i 150 dipendenti e un migliaio di alunni, è estremamente difficile. Piuttosto che ridurre le sedi bisogna sbloccare le assunzioni con nuovi corsi riservati, per esempio, da estendere anche ai ricorrenti 2011 per evitare il licenziamento dei neo-assunti.
Marcello Pacifico (presidente nazionale Udir): Di certo noi non saremo della partita e lotteremo con tutte le nostre forze, affinché la scuola diventi comunità educante, distribuita sul territorio, avvantaggiata dai giusti investimenti e dalla corretta organizzazione. Ci muoveremo sulla base di quello che serve al paese per avere generazioni correttamente istruite. Su questa via da percorrere il Ministro ci troverà sempre al proprio fianco: in caso contrario, continueremo a difendere fino alla fine il diritto dei nostri giovani di avere la scuola che serve e non quella che le briciole dei vari governi permettono di fare.
Il Ministro dell’Istruzione, dell'Università e della Ricerca Marco Bussetti, come riporta Repubblica, parla di accorpamenti e riduzione del numero dei dirigenti scolastici. Udir si oppone fermamente: Marcello Pacifico, presidente nazionale del giovane sindacato, sottolinea come “negli ultimi quindici anni sono state ridotte le presidenze di un terzo. Già così dirigere una scuola autonoma, in media con cinque-sei plessi quasi sempre sopra i 150 dipendenti e un migliaio di alunni, è estremamente difficile. Piuttosto che ridurre le sedi bisogna sbloccare le assunzioni con nuovi corsi riservati, per esempio, da estendere anche ai ricorrenti 2011 per evitare il licenziamento dei neo-assunti”.
Il fatto è: se il Ministro la pensa in questo modo, perché allora è stato bandito un concorso per dirigenti scolastici? Potrebbe configurarsi come un danno per l’erario: se Bussetti vuole ridurre i dirigenti con l’accorpamento delle scuole, perché ne assume di nuovi che comunque resteranno in servizio per almeno vent’anni? Non ci è davvero chiaro il concetto.
Andiamo più a fondo nella questione: i dirigenti scolastici italiani sono già gravati della responsabilità di almeno 5 istituti da seguire (in alcuni casi arrivano a oltre 10) collocati spesso anche in paesi differenti, obbligati a trasferte tra un plesso e l’altro che come minimo sono economicamente svantaggiose e, anche rispetto al tempo, sfavorevoli. Spesso gli istituti sono eterogenei: ovvero, un dirigente può dover gestire un liceo, un agrario, un alberghiero o un tecnico e magari avere in reggenza una scuola primaria. Si trova, dunque, davanti a esigenze differenti, tematiche diverse, modalità di gestione dissimili. Le tematiche sulla sicurezza poi sono gravissime e di altissima responsabilità per ogni dirigente che dovrebbe in pratica poter controllare ogni plesso quotidianamente; inoltre, la privacy da poco aggiunta crea altri problemi e le relazioni con sindaci ed enti locali, con le imprese, con le famiglie non sono certo semplificate dall’ampliamento territoriale.
Già i DS sono allo stremo delle loro forze, ora appare alquanto inopportuno e poco rispettoso pensare di aumentare ancora il carico operativo e di oneri in maniera così indiscriminata e cinica. Fino a oggi la dirigenza scolastica ha “tirato la carretta”, affiancata dai collaboratori, in attesa di una maggiore stabilizzazione, ma quest’ultima affermazione pare un insulto all’intelligenza.
Occorre altresì portare anche un’altra considerazione: che opinione abbiamo oggi della scuola? Come stiamo pensando di evolvere l’istituto dell’istruzione e della formazione dei cittadini? Che rispetto abbiamo per le esigenze dei nostri giovani? La verità è che ci troviamo davanti a problemi come le classi pollaio, la carenza endemica di finanziamenti che costringono le scuole a sottoporsi alla forca caudina della gestione amministrativa dei PON, la continua ingerenza sulla continuità didattica, la grande difficoltà con la gestione organizzativa della scuola e il collasso per il carico di lavoro.
Adesso pensiamo di dare qualità alla scuola come unità educante facendola diventare ingestibile? Sì, perché stiamo andando verso questa strada. Chi non investe nell’istruzione non può pensare di gettare le basi per un futuro migliore. Solo un paese illuminato e votato alla cultura può trasformarsi: noi, se continuiamo a trasformare le fabbriche di cultura in pollai ad allevamento intensivo, non presidiamo correttamente i processi sia didattici che organizzativi, faremo il più grosso danno a questo paese, perché toglieremo la capacità di ragionare, azzerando la facoltà delle nuove generazioni di crescere in un ambiente definito e orientato a un fine educativo.
Se si trasmette l’idea secondo cui è possibile risparmiare sull’educazione e non capiamo l’importanza di dare i messaggi corretti ai giovani e ai cittadini si rischia di far vivere la celebre frase “Non c’è bisogno di bruciare i libri per distruggere una cultura. Basta convincere la gente a smettere di leggere”.
“Di certo noi non saremo della partita e lotteremo con tutte le nostre forze, affinché la scuola diventi comunità educante, distribuita sul territorio, avvantaggiata dai giusti investimenti e dalla corretta organizzazione. Ci muoveremo sulla base di quello che serve al paese per avere generazioni correttamente istruite. Su questa via da percorrere il Ministro ci troverà sempre al proprio fianco: in caso contrario, continueremo a difendere fino alla fine il diritto dei nostri giovani di avere la scuola che serve e non quella che le briciole dei vari governi permettono di fare”, conclude il sindacalista autonomo.
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