L’apice della discrepanza si raggiunge quando vengono messe a confronto gli orari di 40 ore settimanali svolte in Sicilia con quelle della Lombardia. Ma è tutto il Meridione a rimanere indietro su questo fronte. E non è un problema di strutture, perché al Centro-Nord non tutti gli istituti sono a norma. Secondo Marcello Pacifico (Anief-Cisal) la diseguaglianza di trattamento scolastico penalizza gli alunni del Sud sin da bambini. Non è un caso se poi i tassi maggiori di dispersione scolastica e di Neet si registrano proprio in quelle zone dove si sta meno tempo a scuola. I presidenti delle Commissioni Cultura di Camera e Senato, l’onorevole Luigi Gallo (M5S) e il senatore Mario Pittoni (Lega), si sono impegnati pubblicamente nel fare approvare a fine anno delle norme che lascino indietro nessun ragazzo. È bene che si agisca anche su posticipo a 18 anni dell’obbligo formativo, anticipo di un anno della primaria, organici maggiorati nelle zone a rischio, un sostegno senza più posti in deroga e maestri specializzati anche nei nidi e nelle scuole d’infanzia.
“Se a Palermo solo il 4 per cento dei bambini usufruisce del tempo pieno e a Milano sono il 90 per cento, c’è qualcosa che non va nel sistema scolastico italiano. È un gap troppo grande per continuare ad essere ignorato da un Paese che si professa unito, altrimenti finiamola con la demagogia e diciamo pure che allo Stato conviene mantenere in vita due Italie”. A dirlo è Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, nel commentare l’articolo-denuncia pubblicato da La Repubblica, nel quale si parla, giustamente, di un vero e proprio “furto ai danni dei bambini” del Sud. Con la privazione del tempo scuola che grava anche sulle tasche delle famiglie, “costrette a dover riparare nel privato o a pagare baby sitter e altro ancora per far fare le attività extra curriculari che in Lombardia garantisce la scuola”.
Andando ad esaminare i dati regionali emessi dal Ministero dell'Istruzione su chi fruisce delle 40 ore settimanali di lezione nelle scuole dell'infanzia e primarie, si scopre che il fenomeno del mancato tempo pieno scolastico riguarda un po’ tutto il Sud. Perché in Piemonte la media è del 57, nel Lazio è del 56 per cento. Mentre la Sicilia è fanalino di coda, con appena il 9,7 per cento. E da queste percentuali modeste non si discostano altre regioni del Meridione, a partire della Campania. “E nel vuoto dello Stato - sottolinea il quotidiano - si inserisce il privato. A Palermo le scuole paritarie sono 287, e sono quasi raddoppiate negli ultimi quindici anni. Con una retta di circa 300 euro al mese garantiscono il tempo pieno. Ma c'è di più: pagando 180 euro al mese prendono il bambino all'uscita da scuola e lo tengono il pomeriggio. Un giro di affari enorme”.
Secondo Maria Luisa Altomonte, responsabile dell'Ufficio scolastico regionale della Sicilia, “i motivi di questo ritardo sono diversi: c'è un ritardo culturale, rispetto al Nord, dovuto a una minore attenzione ma anche perché qui le donne che lavorano sono meno che al Nord. E c'è un problema di servizi e di investimenti che gli enti locali non riescono a garantire. Il risultato è che i dirigenti che ci richiedono l'aumento di organico per avere il tempo pieno sono pochi”. Così ci ritroviamo, sempre in Sicilia, con appena 1.051 classi nella scuola primaria che garantiscono il tempo pieno e altre 11.152 classi che terminano le lezioni all’ora di pranzo.
Il problema non è strutturale: perché secondo un rapporto di Save the children, il 66 per cento degli alunni siciliani va in scuole non adeguate a livello infrastrutturale. Ma nel Lazio le scuole non adeguate sono pari al 60 per cento, eppure si garantisce la mensa a una platea di studenti sei volte superiore che nell'Isola. La verità è che allo Stato questo degrado conviene: è stato calcolato che se la regione adeguasse il numero di ore mensa alla media del Nord, si creerebbero diecimila posti di lavoro.
“Questi dati – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal - confermano che la diseguaglianza di trattamento scolastico penalizza gli alunni del Sud sin da bambini. Non è un caso se poi, i tassi maggiori di dispersione scolastica si registrano proprio in quelle zone dove si sta meno tempo a scuola. I nostri governanti sono a conoscenza di questa ingiustizia sociale: tanto è vero che i presidenti delle Commissioni Cultura di Camera e Senato, rispettivamente l’onorevole Luigi Gallo (M5S) e il senatore Mario Pittoni (Lega), si sono impegnati pubblicamente nel fare approvare già con la prossima legge di bilancio delle norme che favoriscano il tempo pieno al Sud, assieme anche alla fine delle classi pollaio, proprio per non lasciare indietro nessun ragazzo. Anche alla luce degli ultimi deludenti numeri sul tempo scuola al Meridione è bene che onorino l’impegno preso”.
“Non attuare provvedimenti d’urgenza in questo senso – continua il sindacalista Anief-Cisal – significherebbe anche lasciare inalterato l’ignobile primato di Neet del nostro Paese: giovani senza impegni, di studio e professionali, e senza futuro. Inoltre, è bene che i nostri governanti si adoperino anche su altri fronti. A partire dagli organici. Se lo stesso onorevole Gallo ha parlato, di recente, della necessità di organizzare delle iniziative culturali nei territori più degradati, è ovvio che occorrono delle maggiorazioni di personale, ad iniziare da quello docente, laddove il tasso dispersivo è maggiore. Senza dimenticare che per combattere l’uscita precoce dai banchi, che secondo Tuttoscuola non porta al diploma uno studente su quattro che si iscrive alle superiori, bisogna introdurre da subito l'obbligo formativo a 18 anni, come chiede l’Anief da diverso tempo. E anche l’anticipo a cinque anni di età della scuola primaria, da intendersi come anno ponte con l’infanzia e docenti in compresenza, sarebbe funzionale a questo scopo”.
“Non per ultima, va ripresa in mano la questione del sostegno, a proposito della quale non si comprende il motivo della mancanza di docenti di sostegno nelle scuole d’infanzia e negli asili nido. Per non parlare della vergogna degli oltre 50 mila posti in deroga che per risparmiare un po’ di soldi pubblici lasciano a supplenza un posto ogni tre, per via della Legge 128 del 2013. La logica degli organici finti, del resto, riguarda anche le discipline comuni, con decine e decine di migliaia di posti ancora nascosti negli organici di fatto, anziché quelli di diritto, sempre per fare cassa – conclude Pacifico - sulla pelle di allievi e personale scolastico”.
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