Per il sindacato Anief, da sempre vicino ai giovani e al precariato, il problema non è capire se effettivamente i tagli da circa 100 milioni di euro, in arrivo con la legge di bilancio, verranno effettivamente riutilizzati per il settore: il vero problema è che nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, collegata alla manovra di fine anno ed approvato ieri dall’Aula della Camera, non risultano investimenti per quello che l’attuale governo del cambiamento aveva considerato uno dei settori più importanti da risollevare.
Oggi in piazza oltre 70 mila studentesse e studenti hanno manifestato per ricordare che in Italia i costi economici per studiare sono insostenibili e per una manovra finanziaria annunciata dal Governo che ignora i loro problemi e non prevede maggiori risorse per il diritto allo studio né per la qualità della formazione o per la ricerca. Gli spiacevoli episodi accaduti in alcune città non devono sminuire la mobilitazione pacifica e motivata contro le politiche di un esecutivo che non investe nella formazione e nella conoscenza. Il vicepremier Luigi Di Maio ha detto agli studenti in piazza di conoscere “bene quale è il valore di una pressione sociale pacifica” perché ha fatto “il rappresentante degli studenti per cinque anni. Ma non è vero – ha sottolineato - che tagliamo a scuole e università. Vediamoci per un confronto”.
“Esattamente come non è stato messo un euro per gli stipendi di un milione e 300 mila lavoratori – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – e se va bene si avrà la copertura della perequazione per evitare la beffa dei tagli in busta paga, così non risultano presenti nel Def quegli investimenti significativi, al di là dei progetti ad ampio respiro tutti ancora da definire, di cui necessita la scuola”.
“A questo scopo – prosegue Pacifico - servirebbero interventi efficaci per mettere ordine al reclutamento e ai trasferimenti, all’autonomia differenziata e agli organici, all’alternanza scuola-lavoro, al personale Ata, ai concorsi a dirigente scolastico e Dsga, alla dispersione, all’educazione alla cittadinanza, all’inclusione, alla scuola primaria e al sistema 0-6 anni, nonché alla scuola digitale e alla prevenzione dei crolli degli istituti”, cui hanno più volte fatto giustamente riferimento oggi gli studenti ricordando che tre scuole su quattro necessitano di interventi urgenti di manutenzione.
È esemplare, in tal senso, l’intervento tenuto dal professore Domenico De Masi, docente emerito di Sociologia del Lavoro alla Sapienza di Roma che, durante il convegno “Cultura 2030”, organizzato dal M5S il 9 e 10 ottobre a Roma, ha ricordato che a livello di laureati l’Italia ha una percentuale che si aggira sul 20% e ciò rappresenta una situazione di sottosviluppo culturale più o meno pari a quella del Camerun. Basta ricordare, ha sottolineato De Masi, che i laureati in Europa raggiungono il 39% e in California il 63%.
Il problema di fondo è che in Italia gli iscritti all’università sono solo il 36% dei giovani: perché si debba introdurre il numero chiuso, pertanto, rimane un mistero. Quello che è certo, invece, sono le entità delle tasse richieste agli studenti, che nell’ultimo periodo hanno raggiunto livelli record. Mentre le borse di studio rivolte agli studenti meritevoli o non abbienti sono ridotte ai minimi termini, tanto che in Germania, grazie ad un finanziamento annuo di due miliardi di euro, risultano mediamente dieci volte più alte. Come se non bastasse, parallelamente in Italia il finanziamento pubblico all’università è stato ridotto del 17%. Proprio mentre i professori che vanno in pensione non sono sostituiti.
L’intervento del professor De Masi si è basato su una ricerca nazionale commissionata dal Movimento 5 Stelle: è tutto dire che nel nostro Paese l’indice di ignoranza, quello che si basa sulla comparazione delle idee di un popolo con un altro, colloca l’Italia al dodicesimo posto su 196 Paesi inclusi nella classifica. L’ignoranza generalizzata è rappresentato al meglio, nella nostra Penisola, dal grande spazio e tempo che i cittadini italiani rivolgono alle fake news, le quali vengono da una larga maggioranza riportate come vere e meritevoli di commenti di vario genere. De Masi, infine, ha ricordato come in Italia le differenze territoriali e sociali aumentano, come cresce il numero di giovani esclusi dalle scuole migliori.
“Commissionare una ricerca nazionale per valutare anche l’impatto della cultura sui nostri cittadini è un atto meritevole – conclude il presidente Anief – soprattutto perché fa emergere al meglio la discrasia tra le intenzioni della politica sugli investimenti per il settore scolastico e i reali investimenti sull’evoluzione culturale nazionale. Sarebbe bene che il primo partito di governo desse seguito a tali indicazioni, procedendo già con la manovra di bilancio ad elevare finalmente le spese per l’istruzione pubblica rispetto al Pil, visto che l’Italia anche su questo versante veste la maglia nera tra i Paesi moderni”.
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