Il Ministro dell’Istruzione transalpino ha presentato l’importante riforma scolastica al Consiglio Superiore dell'Educazione, avallata anche dai neuro-scienziati: la plasticità del cervello prima dei sei anni è particolarmente propizia all'assimilazione del linguaggio, ed è proprio in questa fase che si fabbricano i futuri abbandoni scolastici. Anief, da diversi anni, si è fatta paladina della proposta, presentando formali emendamenti in Parlamento già nel 2014 e più di recente con le modifiche da attuare al decreto legislativo 65/2017 specifico per la revisione della scuola fino a 6 anni. In quell’occasione – ricorda Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – chiedemmo l’anticipo e la compresenza dei maestri dell’infanzia e primaria. Con il nostro progetto, si sarebbe prodotto il prolungamento della scuola dell’obbligo fino a 18 anni, andando in questo modo ad incidere direttamente sulla lotta alla dispersione scolastica, di cui ciclicamente si torna a parlare senza però mai realizzare provvedimenti efficaci. Perché ad oggi le sezioni Primavera sono ordinarie, ma soltanto per il 25% della popolazione studentesca coperta dallo Stato.
Mentre l’Italia continua a guardare, oltre le alpi diventa esecutiva la decisione di anticipare l’età di avvio della scuola: all’annuncio del marzo scorso, fatto dal presidente francese Emmanuel Macron dopo le promesse in campagna elettorale con il quale vinse le elezioni un anno prima, ora il Ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer ha presentato, davanti al Consiglio Superiore dell'Educazione, una riforma scolastica che introduce la piccola rivoluzione; quella di fare entrare i bambini in classe all’età di tre anni e non più a sei. L’iniziativa legislativa francese, se approvata sino in fondo, entrerà in vigore dal 2019, stravolgendo quindi l’inizio della scuola obbligatoria.
“A beneficiare di più di una scuola obbligatoria a tre anni – scrive Il Messaggero - saranno i bambini con situazioni familiari più difficili o disagiate, magari cresciuti in case dove il francese si parla poco o male. Sono circa il tre per cento della popolazione scolastica: quelli che a sedici anni avranno le maggiori probabilità di lasciare la scuola dell'obbligo senza sapere né leggere né scrivere. «A due anni il bambino conosce venti parole, a sei ne deve conoscere 2500 - ha detto Macron - L'immersione nel linguaggio in questi primi anni è un obiettivo fondamentale. La scuola materna dovrà diventare la scuola del linguaggio»”. Inoltre, per tutti, ha ricordato Emmanuel Macron, “la plasticità del cervello prima dei sei anni è particolarmente propizia all'assimilazione del linguaggio, ed è proprio in questa fase che si fabbricano i futuri abbandoni scolastici. Quindi prima si comincia e meglio è”.
Adottare l’anticipo della scuola anche nel nostro Paese porterebbe pure vantaggi di carattere pratico, perché risolverebbe almeno un problema (anche questo ampiamente e da sempre dibattuto): quello dell'età di uscita dalle superiori. Con tredici anni di studio dalla prima elementare alla maturità, i ragazzi italiani sono infatti tra i più longevi tra i banchi e tra i più vecchi ad entrare all'università.
Ma allora, perché ciò non avviene? Sempre Il Messaggero ricorda che “la Buona Scuola di Renzi ha avviato il progetto 0/6, per il potenziamento della scuola dell'infanzia, nidi e materne. Difficile per il momento pensare di anticipare la scuola dell'obbligo, perché prima dei sei anni la scuola italiana non è ancora la stessa in tutto il paese, divisa com'è tra Stato e enti locali. L'idea di far andare tutti a scuola a cinque anni, anticipando così la prima elementare, era stata avanzata per primo dal ministro Luigi Berlinguer nel '93. Ci rinunciò per le difficoltà finanziarie e organizzative di adattare l'offerta formativa della scuola per l'infanzia (oltre che per i grossi malumori dei sindacati degli insegnanti). Una decina di anni dopo, la ministra Stefania Giannini tornò all'attacco, cavalcando lo slogan «tutti alla primaria a cinque anni». Anche lei ha desistito quasi subito: fronda degli insegnanti, riforma troppo costosa”.
Il fatto è che nel Bel Paese il problema è tutt’altro che sentito. “L’eco della decisione d’oltralpe di rendere obbligatoria la frequenza della scuola dell’infanzia – scrive oggi Tuttoscuola - sembra, per il momento, non avere provocato sussulti nell’opinione pubblica di casa nostra. A parte le rilevanti considerazioni di ordine pedagogico, vi sono anche eventuali valutazioni istituzionali e organizzative da considerare, nell’ipotesi che l’Italia segua l’esempio della Francia”, ma di fatto si registra un prevalente disinteresse per la questione.
Eppure, i vantaggi sarebbero trasversali. Anief, da diversi anni si è fatta paladina di questa proposta, presentando formali emendamenti in Parlamento, già nel 2014, per introdurre l’anticipo non a tre anni di età, ma a cinque, prevedendo la compresenza di un anno dei maestri dell’infanzia con quelli della scuola primaria e una rinnovata programmazione e organizzazione degli spazi d’aula, attraverso i quali si sarebbe risposto in modo efficace alle richieste crescenti, già in tenerissima età, di orientarsi, imparare e apprendere nell’era del web e delle nuove tecnologie multimediali. Il giovane sindacato ha ribadito la richiesta durante le audizioni presentati in occasione delle modifiche da attuare al decreto legislativo 65/2017 specifico per la revisione della scuola fino a 6 anni.
“In quell’occasione – ricorda Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – chiedemmo una revisione della normativa italiana, in modo da rinnovare l'idea di anticipare di un anno almeno l'obbligo scolastico, introducendo la compresenza dei maestri dell’infanzia e primaria. Con il nostro progetto, si sarebbe prodotto il prolungamento della scuola dell’obbligo fino a 18 anni, andando in questo modo ad incidere direttamente sulla lotta alla dispersione scolastica, di cui ciclicamente si torna a parlare senza però mai realizzare provvedimenti efficaci, visto che continuiamo a detenere percentuali di abbandoni precoci, senza arrivare al diploma, abbondantemente sopra il 10% indicato da Bruxelles e il record di Neet”.
“La stessa copertura delle attuali sezioni ordinarie Primavera ad ogni bambino – continua il sindacalista autonomo – rimane solo sulla carta. Ricordiamo, a questo proposito, che attualmente le sezioni Primavera sono ordinarie ma soltanto per il 25% della popolazione studentesca coperta dallo Stato. Come sarebbe altrettanto importante ripristinare i moduli nella primaria, con l'abbandono del maestro unico. Infine, va ricordato che occorre colmare il gap di tecnologie applicate alla didattica, considerando che oggi tra Nord e Sud c’è un abisso, e quello delle troppe diversità di andamenti scolastici, anche introducendo degli organici maggiorati e finalmente il tempo pieno nelle zone più in difficoltà. Qualcosa si intravede nel Def 2019, è bene che si passi al più presto ai fatti”.
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