Il Ministro dell’Istruzione vuole rendere l’insegnamento a scuola una missione che prevarica tutti gli altri diritti dei cittadini che hanno questa ambizione. A breve, chi vorrà fare il docente dovrà prima fornirsi di domicilio professionale: è questa la “patente” che servirà, assieme al titolo di studio, per presentare domanda di accesso ai nuovi concorsi ordinari. E le regole varranno per tutti, anche per i precari storici, che dopo anni e anni di supplenze dovranno adattarsi. L’intento del Ministro appare chiaro: si vogliono selezionare i precari e usarli all’uopo, costringendoli a rimanere per diversi anni, almeno cinque, senza nemmeno la possibilità di presentare domanda di mobilità provvisoria. Anief dice no: non è colpa dei precari se hanno servito il Paese, spesso lontani da casa, in un sistema che ha sempre tenuto un posto su dieci vacante per ragioni di finanza pubblica. Si facciano allora organici differenziati, favorendo il gap con il Centro-Sud del Paese, così da agevolare la mobilità, la ricerca del lavoro, la tutela della famiglia e il diritto all'istruzione, principi costituzionalmente protetti. Non possono essere gli insegnanti, studenti e famiglie a pagare le scelte sbagliate del legislatore.
Il governo sta procedendo a vele spiegate verso i concorsi regionali e il blocco dei trasferimenti dei docenti, facendo di tutto per accelerare l’iter parlamentare del disegno di legge già da prima dell’estate sul tavolo delle commissioni di competenza. Nel progetto della Lega presentato agli elettori – spiega Orizzonte Scuola - si punta su concorsi nazionali ma gestiti dagli Uffici Scolastici regionali. Per partecipare a questi concorsi, bisognerà, però avere domicilio professionale nella regione scelta per la partecipazione. In pratica il bando è nazionale e il docente siciliano potrà partecipare ad es. in Lombardia, purché abbia scelto di individuare in quella regione il proprio domicilio professionale. Occhio, però, perché il domicilio professionale non coincide con la residenza abitativa e si può eleggere nella regione preferita in assoluta libertà.
Ora anche il Ministro dell’Istruzione esce allo scoperto: “Servono disposizioni precise per chi partecipa – dice Marco Bussetti - anche con riferimento alla permanenza territoriale. Non dobbiamo svuotare territori, penso al Sud, portando gli insegnanti altrove. Ma bisogna anche sapere che se si partecipa a un concorso in un’altra regione, per avere maggiori occasioni di lavoro, non si può poi pretendere un repentino ritorno a casa lasciando la scuola senza insegnanti”.
L’intento del Ministro appare chiaro: si vogliono selezionare i precari e usarli all’uopo, costringendoli a rimanere per diversi anni, almeno cinque, senza nemmeno la possibilità di presentare domanda di mobilità provvisoria: “Dobbiamo analizzare con chiarezza in quali discipline e in quali territori ci sono dei vuoti, dei posti scoperti, e capire come si sono creati storicamente. L’analisi è fondamentale per definire al meglio la nostra azione e orientare, anche per i prossimi anni, chi vuole insegnare”, ha detto ancora Bussetti.
E poco importa se quei precari sono quelli che già da anni e anni fanno supplenze, si sono abilitati, hanno vinto i concorsi e attendono con pazienza di essere immessi in ruolo. Le regole sono uguali per tutti. Il sindacato Anief, ovviamente, non ci sta. “Non è colpa dei precari – dichiara il suo presidente nazionale Marcello Pacifico - se hanno servito il Paese, spesso lontani da casa, in un sistema che ha sempre tenuto un posto su dieci vacante per ragioni di finanza pubblica. Questo sistema che il Ministro vuole imporre per via pure legislativa non è praticabile”.
“Si finge di non sapere – continua Pacifico – che al Centro-Sud esistono realtà scolastiche fatte di abbandoni precoci, pochissimi laureati e una valanga di Neet. Per dare una vera svolta a questo andare occorrono organici di personale scolastico differenziati, altro che trasferimenti bloccati. Solo in questo modo si favorirebbe il gap con il Centro-Sud del Paese: la strada da seguire è quindi quella di agevolare la mobilità, la ricerca del lavoro, la tutela della famiglia e il diritto all'istruzione, tutti principi costituzionalmente protetti. In tal modo si risponderebbe a due esigenze: il divario del Centro-Sud e il ritorno a casa di decine di migliaia di lavoratori. Non possono essere gli insegnanti, gli studenti e le famiglie a pagare le scelte sbagliate del legislatore”, conclude il sindacalista Anief-Cisal.
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