La soluzione trovata dal governo gialloverde su formazione e assunzioni dei docenti aumenta il gap rispetto ai Paesi Ue. La storia è datata: quasi trent’anni fa, con gli accordi di Lisbona, il nostro Paese decideva di allinearsi agli altri Paesi Ue sulla formazione universitaria iniziale degli insegnanti; servirono due lustri per fare partire le SSIS, le scuole di abilitazione e specializzazione universitaria, e quasi tutti i corsisti furono assunti dalla GeE. Poi arrivarono il TFA e il PAS che non diedero sblocco per la chiusura delle graduatorie. La stessa sorte è toccata agli abilitati con la laurea in Scienze della formazione primaria conseguita dopo il 2011. Furono però banditi due concorsi riservati, uno per la secondaria e uno per infanzia e primaria. Infine, con la riforma Renzi-Giannini avremmo dovuto avere il Fit triennale, con formazione e reclutamento inclusi, ma ora il Governo, con l’articolo 58 della bozza della manovra di bilancio, “bollinata” e inviata al Quirinale, che modifica il decreto legislativo 59/17, ha deciso di puntare tutto sui vecchi concorsi.
L’Italia continua a reclutare gli insegnanti della scuola pubblica con regole ben diverse dagli altri Paesi del vecchio Continente. Il problema non è mai stato quello della formazione iniziale degli insegnanti, di carattere universitario, quanto la mancata associazione al reclutamento degli stessi: non basta richiedere 24 CFU, i crediti formativi accademici introdotti con la Legge 107/2015, peraltro a fronte di un’ulteriore spesa di alcune centinaia di euro, per poter accedere all’insegnamento quando proprio quell’area trasversale psico-socio-pedagogica rappresentava uno dei tanti moduli dello stesso sistema di formazione ministeriale. Inoltre, il tirocinio, sempre ritenuto importante e centrale per la formazione che porta in cattedra, ora scompare dietro il ventaglio di una vecchia riforma che continua a non risolvere il precariato. Perché 100 mila posti ogni anno continuano ad andare in supplenza annuale, nel 2018 anche di più, e soltanto una piccola parte di essi è destinata alle immissioni in ruolo.
Ecco perché Anief ha sempre chiesto, in primis, di liberare gli organici del corpo insegnante, adeguando l’organico di diritto all’organico di fatto in assenza di ragione sostitutive, e, in seconda battuta, di aprire le graduatorie ad esaurimento al personale abilitato e di utilizzare anche le graduatorie dei precari storici non abilitati fino al loro esaurimento.
“Il ritorno ai concorsi – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal - deve necessariamente tornare a prevedere l’utilizzo pieno del doppio canale; in caso contrario, avremo sempre da una parte posti vacanti e dall’altra personale abilitato o docenti che fanno i supplenti in eterno, senza mai essere stabilizzati nei ruoli. Molti di loro, inoltre, continueranno a fare causa allo Stato italiano per l’abuso dei contratti a termine, con una storia giudiziaria senza fine”.
“Infine – continua il sindacalista autonomo - mi piace ricordare che l’accesso al TFA o alla SSIS ha previsto il superamento di due concorsi, analogo caso con la laurea abilitante in Scienze della formazione primaria e che l’abilitazione alla professione di insegnante si consegue a seguito di superamento di un esame di Stato. Questo deve essere chiaro: quindi, chiederemo al Parlamento di introdurre tutti questi elementi, perché il ritorno puro al ‘concorsone’ non risolve i problemi del precariato, né quello di garantire una maggiore preparazione di chi arriva in cattedra per insegnare alle nuove generazioni”.
Ricordiamo, infine, che il testo della legge di bilancio 2019 prevede di fatto l’addio al FIT, riservato ai vincitori di concorso, che si trasforma in “Percorso annuale di formazione iniziale e prova”, ma anche al concorso riservato ai precari non abilitati con 36 mesi, i quali potranno accedere solo al 10% dei posti del nuovo concorso ordinario, con due prove scritte e una orale. Mentre per il sostegno spariscono gli idonei, per fare spazio a graduatorie biennali per i soli posti banditi con scritto e orale. Secondo Anief si tratta di un percorso non efficace e per questo motivo chiederà l’introduzione di emendamenti utili a migliorarlo.
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