La proposta del vice-premier leghista Matteo Salvini non trova consensi nell’ambiente sindacale, perché, sino a prova contraria, l’attuale modello garantisce l’uguaglianza degli italiani a livello scolastico e formativo. Secondo Marcello Pacifico (Anief-Cisal) anziché pensare di risolvere il problema del mancato merito andando a delegittimare il percorso educativo, sarebbe molto più utile valorizzare chi è stato formato dallo Stato per insegnare ai nostri giovani, attraverso una formazione specifica. Cancellando il valore legale del titolo di studio ci ritroveremo con giovani con il ‘marchio’, solo per avere svolto gli studi in un istituto periferico, meno titolato o solo perché collocato in regioni meno ricche. Tornare, invece, ad un Esame di Stato più serio e rigoroso sarebbe più che sufficiente per risolvere la questione.
Si torna a parlare di abolizione del valore legale del titolo di studio: stavolta a farlo è stato il vice-premier leghista Matteo Salvini che, in occasione di un incontro di formazione della Lega, ha detto che "l'abolizione del valore legale titolo di studio è una questione da affrontare", perché "la scuola e l'università negli ultimi anni sono stati serbatoi elettorali e sindacali".
Il sindacato Anief si opporrà con tutto se stesso dinanzi ad un’ipotesi legislativa del genere. Perché i cittadini non possono essere messi alla berlina del governo di turno, il quale ciclicamente si adopera per mettere in dubbio i loro diritti costituzionalmente protetti. Come farebbe la maggioranza parlamentare, ad esempio, a giustificare una simile norma che pone seri dubbi all’applicabilità dell’articolo 34 della Costituzione italiana, in base al quale i cittadini “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”? Perché il valore legale del titolo di studio, sino a prova contraria, questo garantisce: l’uguaglianza degli italiani a livello scolastico e formativo.
Far venire meno quell’uniformità significa mettere in crisi l’unità del sistema d’istruzione nazionale. Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, “anziché pensare di risolvere il problema del mancato merito andando a delegittimare il percorso educativo, sarebbe molto più utile valorizzare chi è stato formato dallo Stato per insegnare ai nostri giovani, attraverso una formazione specifica”.
Pensare di eleminare il valore di legalità di un titolo conseguito a scuola o all’università, inoltre, andrebbe a scalfire dei principi costituzionalmente protetti, come la parità d’accesso al pubblico impiego, il principio di uguaglianza e di ragionevolezza. “Quelli che i nostri istituti scolastici e universitari rilasciano – ricorda Pacifico - sono titoli di studio utili all’accesso per i concorsi pubblici e, in generale, per diventare dipendenti della pubblica amministrazione. Inoltre, sono indispensabili per svolgere la libera professione, per l’accesso agli albi professionali”.
“Far venire meno tali prassi significherebbe portare l’Italia indietro di 900 anni, al magister itinerante. A prima dell’arrivo di Federico II che, nel XIII secolo, fondò l’Università di Napoli, proprio per preparare la classe dirigente e gli amministratori del Regno siciliano. Eliminare l’attuale modello valutativo, quindi, significherebbe conferire dei diplomi di maturità e di laurea con peso specifico diversificato. Il rischio è che solo le scuole e le università più prestigiose potranno in questo modo rilasciare titoli utili per l’accesso in determinati contesti lavorativi, a partire da quelli statali. Cancellando il valore legale del titolo di studio ci ritroveremo con giovani con il ‘marchio’, solo per avere svolto gli studi in un istituto periferico, meno titolato o solo perché collocato in regioni meno ricche. Tornare, invece, ad un Esame di Stato più serio e rigoroso – conclude Pacifico – sarebbe più che sufficiente per risolvere la questione”.
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