Lo dice il sesto rapporto Istat Bes 2018 “Il benessere equo e sostenibile in Italia”, pubblicato in queste ore: lo scorso anno i giovani di 18-24 anni con la licenza media che non sono inseriti in un percorso di istruzione o formazione erano il 14%, lo 0,2% rispetto al 2016. Il vero dramma è al Sud Italia, a partire dalla Sicilia, dove la quota di mancata partecipazione al mercato del lavoro e occupazionale raggiunge il 40,8%: dieci volte di più rispetto a Bolzano. Anche la percentuale di persone di 25-64 anni con almeno il diploma è molto più bassa della media europea (60,9% contro 77,5%). Marcello Pacifico (Anief-Cisal): questi dati Istat ci confermano le difficoltà dei giovani nati nelle aree del Paese prive di agenti culturali e di quel sostegno sociale necessario a supportare giovani che presentano difficoltà a scuola e appartenenti a famiglie non in grado di sostenerli. È in questi contesti che diventa decisivo introdurre il tempo pieno e prolungato: un obiettivo che non si può di certo centrare assumendo appena 2 mila maestri alla primaria ogni anno. Servono poi organici differenziati per territorio, con maggiorazioni da prevedere nelle zone a rischio, con alto tasso dispersivo e di stranieri; puntare alla continuità didattica, attraverso l'assorbimento del precariato con la riapertura delle GaE, operazione indispensabile per evitare i licenziamenti dei docenti precari abilitati; legiferare sull’innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni, con contestuale anticipo dell’avvio scolastico a 5 anni.
Non solo il 24,1% dei giovani italiani sotto i 29 anni non studia e non lavora, mantenendo in vita il record dei Neet, ma nel nostro Paese c’è anche un’altra tendenza a dir poco allarmante: l’aumento delle uscite precoci dal sistema scolastico, fatto registrare per la prima volta dopo dieci anni di ininterrotta diminuzione. Così, nel 2017 i giovani di 18-24 anni con la licenza media che non sono inseriti in un percorso di istruzione o formazione si sono attestati al 14%, dopo che l’anno prima si era fatto registrare il 13,8%.
I dati, pubblicati in queste ore nel sesto rapporto Istat Bes 2018 “Il benessere equo e sostenibile in Italia”, devono far riflettere i nostri governanti. Ancora di più perché è statisticamente provato che i tanti ragazzi che lasciano la scuola prematuramente molto spesso finiscono ad ingrossare le fila proprio dei Neet: non c’è da meravigliarsi, poi, se questo dato è rimasto sugli stessi elevati livelli dell'anno precedente, ai massimi in Europa.
E la situazione è particolarmente difficile nel Sud Italia, a partire dalla Sicilia, dove la quota di mancata partecipazione al mercato del lavoro e occupazionale raggiunge il 40,8%: si tratta di un valore dieci volte maggiore rispetto a quello registrato nella provincia autonoma di Bolzano.
In generale, la nostra Penisola si contraddistingue per la mancata crescita della cultura media dei suoi cittadini: in Italia – si legge nel rapporto – i principali indicatori dell’istruzione e della formazione si mantengono molto inferiori alla media europea. Le persone di 30-34 anni che hanno completato un’istruzione terziaria (università e altri percorsi equivalenti) sono state il 26,9%, una percentuale ancora distante dalla media europea (39,9%). Tra i paesi Ue soltanto in Romania il valore è inferiore (26,3%).
Anche la percentuale di persone di 25-64 anni con almeno il diploma è significativamente più bassa di quella media europea (rispettivamente 60,9% e 77,5%). Solo Spagna (59,1%), Malta (51,1%) e Portogallo (48%) hanno segnato percentuali più basse. Più contenuto appare lo svantaggio rispetto agli altri paesi Ue per la formazione continua: l’Italia occupa il 18esimo posto con il 7,9% di individui, contro il 10,9% della media europea.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, “il dazio da pagare per la poliedricità geografica dell’Italia è altissimo, perché questi dati Istat ci confermano che a farne le spese sono soprattutto quelle aree del Paese prive di agenti culturali e di quel sostegno sociale necessario a supportare giovani che presentano difficoltà a scuola e appartenenti a famiglie non in grado di sostenerli. È in questi contesti che diventa centrale e decisivo, se si vuole davvero cambiare registro, introdurre il tempo pieno e prolungato in tutte le scuole del primo ciclo: un obiettivo che non si può di certo centrare assumendo appena 2 mila maestri alla primaria ogni anno”.
“Come Anief, da tempo chiediamo anche di attuare organici differenziati per territorio, con maggiorazioni da prevedere per tutte le zone a rischio, facenti registrare un alto tasso dispersivo e di stranieri. Bisogna quindi puntare alla continuità didattica, attraverso l'assorbimento del precariato con la riapertura delle GaE, operazione indispensabile per evitare i licenziamenti dei docenti precari abilitati, a partire dal primo ciclo dove operano i maestri con diploma magistrale e laureati in Scienze della formazione primaria. Oltre che legiferare una volta per tutte l’innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni, con contestuale anticipo dell’avvio scolastico a 5 anni, età in cui si svolgerebbe un anno scolastico “ponte” avvalendosi di maestri dell’infanzia e della primaria in compresenza”.
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