Sull’autonomia e regionalizzazione del Veneto “stiamo lavorando al massimo della forza per ottenere il risultato il prima possibile”: il disegno di legge “è andato in Consiglio dei Ministri prima di Natale, come avevamo detto. Nei prossimi giorni ci sarà un incontro sui punti risolutivi su una serie di punti”. A dirlo è stato il vice-premier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio che nell’occasione si è sbilanciato anche sui tempi di attuazione del progetto: nel mese di febbraio, aggiunge il ministro, “deve essere pronto il documento che poi il presidente del Consiglio deve discutere con i presidenti delle Regioni”. Qualche giorno fa, invece, l’on. pentastellato Luigi Gallo, presidente della VII Commissione alla Camera, aveva detto che il progetto di autonomia “il M5S non lo farà. Ha costruito la sua identità sulla capacità di ridurre la scandalosa forbice di ricchezza che esiste tra cittadini, territori e regioni. È questa la vera chiave di un nuovo sviluppo”. Anief ricorda che non si tratta di una sperimentazione una tantum: il primo partito di governo deve uscire allo scoperto. Secondo il suo presidente Marcello Pacifico, i giudici hanno sempre detto no ad un modello del genere, perché palesemente incostituzionale. Quello che serve per risolvere i tanti problemi di gestione scolastica non è l’autonomia regionale, ma l’adozione di organici differenziati, sulla base delle esigenze territoriali, l’incremento dell’occupazione e dei livelli di istruzione, soprattutto al Sud, la riduzione dei tassi di abbandono. La regionalizzazione non farebbe altro che elevare il ritardo attuale di alcune regioni.
Secondo il vice-premier Luigi Di Maio, l’obiettivo di dare attuazione all’articolo 116/3 della nostra Costituzione, sino ad oggi mai adottato, va centrato alla svelta: “non c’è nessuna volontà di disattendere il referendum e l’autonomia a questa regione come alla Lombardia e a tutte quelle che lo chiederanno. Però l’autonomia si deve dare in un’ottica di un’Italia che deve essere solidale”. Se, come sembra, il ddl andrà in porto, ricorda Orizzonte Scuola, il Veneto otterrà dallo Stato solo le competenze relative all’istruzione o anche il trasferimento del personale, da insegnanti e ATA ai Dirigenti Scolastici? Senza passaggio del personale della scuola il bilancio della regione crescerebbe del 2%, con il personale del 28%. Ad essere interessati circa 70.000 lavoratori della scuola della regione, tra insegnanti, ATA e Dirigenti Scolastici.
L’apertura incondizionata del vice-presidente del consiglio, verso la cosiddetta “Autonomia differenziata”, non sembra raccogliere i dubbi espressi solo qualche giorno fa dall’on. pentastellato Luigi Gallo, presidente della VII Commissione alla Camera, sempre del M5S: “Se si realizza l’autonomia differenziata, senza la definizione dei servizi essenziali e dei consequenziali fondi perequativi dello Stato centrale per garantire i servizi essenziali a tutte le regioni, è sicuramente a rischio l’unità nazionale”. Alla domanda se il suo partito di governo avallerà il disegno promosso della Lega, sempre l’on. Gallo era stato perentorio: “Il M5S non lo farà. Ha costruito la sua identità sulla capacità di ridurre la scandalosa forbice di ricchezza che esiste tra cittadini, territori e regioni. E’ questa la vera chiave di un nuovo sviluppo”.
Anief, che non ha nascosto il suo apprezzamento per le parole dell’on. Luigi Gallo, chiede ora che su questo tema sia fatta chiarezza. Anche perché non si tratta di una sperimentazione una tantum: dietro al Veneto, a premere per l’autonomia ci sono anche già altre regioni, in particolare Lombardia ed Emilia Romagna: “Il primo partito di governo, – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale del giovane sindacato – sulla regionalizzazione della scuola, come della sanità e di altri servizi pubblici essenziali, deve uscire allo scoperto. Senza ripensamenti o posizioni contraddittorie. La nostra organizzazione lo ha fatto da tempo. Ricordando che stiamo parlano di un tentativo che diversi governi hanno tentato, inutilmente, di attuare: in tutti i casi, però, le aule dei tribunali hanno rimesso le cose a posto, stoppando sul nascere i vari progetti per palese incostituzionalità”.
Con le sentenze n. 242/2011 della Consulta, non si sono mai attuate, ad esempio, le norme della provincia autonoma di Trento, in particolare all’art. 92, c. 2bis, legge 5/2006 sull’inserimento in coda del personale iscritto in graduatorie diverse da quelle provinciali trentine e del “super servizio attribuito” al lavoro svolto nelle scuole trentine o ancora alla precedenza di accesso agli asili nido riservata ai residenti o lavoratori per almeno 15 anni nella regione Veneto.
Va poi ricordato che nell’ambito del processo di attribuzione (art. 117) delle competenze relative alle norme generali sull’istruzione (art. 116, lettera n) bisogna tenere conto del rispetto degli articoli 3, 4, 16, 51, 97 della Costituzione, come ribadito dalla stessa Consulta in tema di reclutamento degli insegnanti, residenza professionale e servizi legati ai soli residenti: un tentativo di questo genere è incostituzionale. Come lo è il ddl presentato dalla Lega al Senato, che introduce il domicilio professionale o ancora il divieto di trasferimento nella mobilità (per almeno 5 anni) del personale neo-assunto nella scuola ed introdotto nel contratto in via di approvazione: la norma viola, infatti, gli art. 3 sulla parità di trattamento e sull’uguaglianza sostanziale, 4 sulla promozione delle condizioni per la ricerca del lavoro, 16 sulla libera circolazione, 51 e 97 sul merito e il buon andamento della PA.
“Siamo convinti – continua il professor Pacifico – che i giudici avranno da porre dei rilievi anche in questa occasione. Quello che serve per risolvere i tanti problemi di gestione dei nostri 8 mila istituti scolastici non è l’autonomia regionale, ma l’adozione di organici differenziati, sulla base di effettive esigenze territoriali, l’incremento dell’occupazione e dei livelli di istruzione, soprattutto al Sud, la riduzione dei tassi di abbandono scolastico. Per fare questo non occorrono spinte alla regionalizzazione, le quali non farebbero altro che elevare il ritardo attuale di alcune regioni, soprattutto del Sud, rispetto a quelle più virtuose. Vale per la scuola, ma non solo”, conclude il sindacalista autonomo.
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