Si chiama inflazione “fantasma”, fenomeno che ha abbattuto i salari dei dipendenti del pubblico impego, sempre più impoveriti per via del blocco del contratto e dell’aumento del costo della vita registrato nell’ultimo decennio. “Con 1.500 in busta paga si può vivere; ma è difficile costruirsi un futuro”, si legge nel Corriere della Sera, in una lucida analisi che mette in evidenza come la classe media si stia sempre più ‘sciogliendo’. Marcello Pacifico, presidente Anief, rinnova alla Ministra per la Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno la richiesta di recuperare il gap nel prossimo rinnovo contrattuale, come già esposto in Parlamento dal sindacato con gli emendamenti al decreto Concretezza.
Insegnanti, impiegati e infermieri sono l’emblema del decadimento del ceto medio in Italia: dalle pagine del primo quotidiano nazionale, si legge che “non possono più permettersi la vita di prima”. Perché, “un insegnante di scuola media, in Italia, porta a casa 1.300 euro al mese; in Germania più del doppio (circa 3.000 euro al mese)”. Certo, continua, “si tratta di un fenomeno europeo, anzi occidentale; infatti, le conseguenze politiche si vedono come nella Ue come negli Usa. Ma in Italia la situazione appare particolarmente delicata”. Quindi, “perché il nostro modello di convivenza resista, la tenuta della classe di mezzo è fondamentale. Se si scioglie, la candela sociale si spegne”.
Il problema è che nel 2018 il blocco decennale degli stipendi è stato solo sulla carta arrestato, perché gli aumenti contrattuali prodotti la scorsa primavera per i pubblici dipendenti, in media 85 euro lordi, ovvero il 3,48% sulla retribuzione tabellare, che ai docenti hanno portato meno di 50 euro netti, hanno appena scalfito il gap rispetto al costo della vita, di quasi 15 punti percentuali venutosi a creare nel corso dei due lustri, come si è preso atto nel settore privato con aumenti stipendiali registrati, tra il 2008 e il 2018, superiori al 20%.
Anche l’attuale governo non è andato oltre la copertura dell’elemento perequativo, che avrebbe fatto perdere una fetta di aumenti, soprattutto a chi percepisce gli stipendi più bassi, e la previsione parziale dell’indennità di vacanza contrattuale, peraltro prevista dell’ex articolo 47-bis del D.lgs. 165/01: questo, infatti, “prevede che, se entro il mese di aprile dell’anno successivo a quello della scadenza del CCNL non si sia ancora provveduto al rinnovo, viene riconosciuto un anticipo dei benefici che saranno stabilizzati al momento della stipula del Contratto stesso”. L’importo riconosciuto comporterà però solo i seguenti aumenti: 0,42 per cento dal 1° aprile 2019 al 30 giugno 2019; 0,7 per cento a decorrere dal 1° luglio 2019. Ovvero la miseria di 8 euro di aprile ai 14 di luglio 2019. Per il rinnovo vero e proprio, la Ministra Giulia Bongiorno ha detto che se ne riparlerà con la prossima legge di bilancio, quindi nel 2020.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, ricorda che “nello stesso periodo gli incrementi stipendiali del settore privato sono stati di ben altro tenore. Mentre i dipendenti pubblici sono diventati sempre più poveri. Addirittura, secondo recenti dati nazionali Aran, il salario medio pro-capite dei nostri insegnanti, considerando compensi fissi, accessori nel periodo che va dal 2001 al 2016, ha addirittura intrapreso una pericolosa parabola discendente. Con il risultato che i 5 punti di stipendio col vecchio contratto rimangono molto distanti dai 14 punti di aumento dell'inflazione registrata tra il 2008 e il 2018”.
Anief, pertanto, ribadisce il consiglio ai dipendenti pubblici, a partire da docenti e Ata, di ricorrere in tribunale per il conferimento dell’indennità di vacanza contrattuale nel periodo 2015-18, in modo da recuperare almeno il 50% del tasso IPCA non aggiornato dal settembre 2015.
PER APPROFONDIMENTI:
Gli aumenti dell’ultimo decennio prodotti (e non) sugli stipendi dei dipendenti pubblici tenendo conto dell’Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i paesi UE:
ANNO |
IPCA |
AUMENTI |
2008 |
1,7 |
|
2009 |
0,7 |
|
2010 |
1,5 |
0 |
2011 |
2,0 |
0 |
2012 |
1,5 |
0 |
2013 |
1,5 |
0 |
2014 |
0,2 |
0 |
2015 |
0,2 |
0 |
2016 |
0,2 |
0,36 |
2017 |
1,2 |
1,09 |
2018 |
1,0 |
3,48 |
9,3 |
4,93 |
|
● 4,4 |
||
2019 |
1,4 |
1,3 |
● 0,1 |
||
2020 |
0,7 |
0,35 |
2021 |
0,6 |
0,30 |
∙ 4,5%: su uno stipendio di 32.500 euro comporterebbe l’aumento di 1.462,50 euro, ovvero quasi il triplo rispetto ai 520 euro previsti per 3,3 mln di dipendenti pubblici. Per realizzare l’operazione, però, servono dalla legge di Bilancio circa 4,8 miliardi di euro, che andrebbero prelevati dalle risorse del reddito di cittadinanza.
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