Sta procedendo a vele spiegate la regionalizzazione dell’Istruzione, dando seguito all’articolo 116 della nostra Costituzione mai attuato sino ad oggi: l’iter per l’autonomia differenziata, scrive oggi Orizzonte Scuola, farà un passo avanti il 15 febbraio, data in cui si dovrebbe tenere l’incontro fra Governo e Regioni. A fare pressioni all’esecutivo sono, in particolare, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna che si battono dall’inizio della legislatura per una maggiore autonomia in diverse materie, a partire appunto dal sistema scolastico. Marcello Pacifico (Anief): Ci opporremo con tutte le nostre forze. Confidiamo nella lungimiranza dei parlamentari, a partire dal primo partito di governo, il M5S, che in alcune occasioni ha mostrato dubbi sulla fattibilità del provvedimento.
Per quanto riguarda gli stipendi – scrive il Corriere – la retribuzione base resta nazionale, ma le Regioni potranno proporre contratti di secondo livello, incentivi e premi che potranno servire a trattenere gli insegnanti, rendendo però più onerosa la scuola per i contribuenti. Una delle ultime novità è che la regionalizzazione dovrebbe comportare anche il trasferimento del personale scolastico dalle dipendenze statali a quelle regionali, ma con alcuni distinguo: secondo quanto risulta ad alcuni quotidiani, questa condizione sarebbe stata richiesta da Veneto e Lombardia, ma non dall’Emilia Romagna. Qualora si procedesse in questo senso, il 23% dei dipendenti nel mondo della scuola potrebbe diventare dipendenti regionali e non più statali: per Italia Oggi, si tratta di 132 mila lavoratori in Lombardia e di 65 mila in Veneto. La nuova collocazione regionale riguarderà però solo i neoassunti, a partire probabilmente dai prossimi concorsi: chi è già in servizio, invece, continuerà a vantare lo status di dipendente statale fino alla pensione.
La regionalizzazione avrebbe come effetto anche la stabilizzazione del personale nelle regioni dove si comincia a lavorare, a dispetto della bocciatura dell’emendamento nel decreto semplificazioni che prevedeva il blocco dei cinque anni per il personale in servizio sul quale Anief ha messo le mani avanti reputandolo incostituzionale. Per poter richiedere trasferimento, a questo punto, per i neoassunti serviranno accordi tra Regioni o tra la Regione e l’amministrazione centrale del Miur.
Anief ricorda che tutti i tentativi di regionalizzazione sino a ora condotti non sono andati in porto, con i tribunali sempre schierati per la palese incostituzionalità del tentativo di introdurre la nuova norma. Valgono per tutte le sentenze n. 242/2011 della Consulta che hanno bloccato le nuove norme proposte dalla provincia autonoma di Trento, in riferimento all’art. 92, c. 2bis, legge 5/2006, sull’inserimento in coda del personale iscritto in graduatorie diverse da quelle provinciali trentine e a “super servizio attribuito” al lavoro svolto nelle scuole trentine o ancora alla precedenza di accesso agli asili nido riservata ai residenti o lavoratori per almeno 15 anni nella regione Veneto.
Va poi ricordato che nell’ambito del processo di attribuzione (art. 117) delle competenze relative alle norme generali sull’istruzione (art. 116, lettera n) bisogna tenere conto del rispetto degli articoli 3, 4, 16, 51, 97 della Costituzione, come ribadito dalla stessa Consulta in tema di reclutamento degli insegnanti, residenza professionale e servizi legati ai soli residenti: un tentativo di questo genere è incostituzionale. Lo stesso destino riguarda il recente ddl presentato dalla Lega al Senato, che introduce il domicilio professionale o ancora il divieto di trasferimento nella mobilità (per almeno 5 anni), appena bocciato dall’Aula del Senato dopo le forti perplessità espresse dal Capo dello Stato.
“Siamo pronti – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – ad opporci con tutte le nostre forze contro l’eventuale approvazione di progetti di regionalizzazione di servizi pubblici basilari come la scuola e la sanità. Confidiamo nella lungimiranza dei parlamentari, a partire dal primo partito di governo, il M5S, che in alcune occasioni ha mostrato dubbi sulla fattibilità del provvedimento. Perché la scuola non è un ‘affare locale’. Piuttosto che perdere tempo dietro all’autonomia regionale, si provveda ad introdurre norme che favoriscano l’adozione di organici differenziati, sulla base di effettive necessità territoriali, l’incremento dell’occupazione e dei livelli di istruzione, la riduzione dei tassi di dispersione. Anche perché – conclude Pacifico – la regionalizzazione si tradurrebbe in un ulteriore passo indietro del Meridione rispetto alle regioni cosiddette virtuose”.
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